martedì 22 marzo 2011

IL VALORE DELL'ATEISMO


Sono stati persino degli intellettuali a sostenere che la grande sofferenza nel mondo esclude l'idea che possa esistere un dio onnipotente.
Con grande superficialità si vorrebbe che il bene fosse frutto non della libertà dell'uomo ma della volontà di un dio, cioè proprio mentre si vuole negare a dio una qualunque esistenza, la si nega all' uomo, privandolo di ciò che meglio lo rende umano: la libertà.
E siccome nel mondo il bene non trionfa, se ne deduce che dio non può esistere. Quale mirabile sillogismo! Anche i credenti più sprovveduti sorridono di fronte ad argomentazioni del genere.
Forse sarebbe stato meglio fare il ragionamento opposto, che, per quanto nulla aggiunga alle verità dell'ateismo, induce almeno il credente a riflettere un po'.
Se la sofferenza, il dolore, le assurdità di questo mondo contrastano con l'idea di un dio buono e onnipotente, allora il credente farebbe meglio a sostenere l' idea di un dio "totalmente altro",
 

come esattamente diceva l' Areopagita, che certo ateo non era: "dio è l'assoluta tenebra".
Cioè "dio non è", puramente e semplicemente. Tutto quanto può essere considerato "non essere" forse è "dio", per quanto il "non essere", agli occhi dell'uomo, coincida col "nulla". Il "non essere" è la possibilità di un "essere" diverso, al momento inconoscibile.
Se un credente volesse davvero salvaguardare la purezza dell'assoluto, dovrebbe affermare la sua totale alterità rispetto alle vicende di questo mondo, e quindi l'assoluta impossibilità, da parte dell'uomo, di farne esperienza, di conoscerlo. L'unica esperienza possibile è appunto quella della consapevolezza del "non essere", cioè dell'inconoscibile, del noumeno kantiano.
Chi dice di vivere un' esperienza "divina" non dovrebbe essere considerato più credibile di uno psicopatico. Dio, se esiste, non è alla portata dell' uomo, proprio perché "totalmente altro".
La conseguenza più immediata di questo ragionamento è che l' uomo deve interessarsi unicamente delle vicende terrene, cercando di renderle il più possibile conformi al senso di umanità che alberga nel suo cuore, non foss'altro che per colmare, almeno un po', il grande l'abisso che, a causa del male, lo separa dal "totalmente altro".
A queste considerazioni -come noto- i credenti obiettano che il Cristo è mediatore tra l'uomo e dio e, come prova di ciò, usano quella della resurrezione (al pari di Paolo duemila anni fa).
Ma oggi sappiamo che tutti i racconti di apparizione del Cristo sono stati inventati e che l'unica esperienza che gli apostoli ebbero fu quella, inspiegabile, della tomba vuota. E sappiamo anche che in vita il Cristo non cercò mai di dimostrare di essere più di un semplice uomo.
Esiste però un secondo ragionamento, correlato al primo. Se un dio onnisciente esiste, questo dio non può non avere coscienza delle infinite possibilità del male. In altre parole è assurdo pensare che l'uomo sia in grado d'inventarsi delle forme di malvagità che un dio non possa prevedere.
Ora, se esiste un dio del genere, e il male ovviamente non alberga in lui al pari del bene (come esperienza di vita, come forma dell'essere), allora significa che questo dio è totalmente imperturbabile a tutte le forme del male, da chiunque esse siano prodotte.
Se l'uomo potesse essere totalmente imperturbabile alle influenze del male, non avrebbe bisogno di credere in un dio. Quindi l'esperienza di questo dio è impossibile all'uomo.
La storia è proprio il frutto del male. Se l'uomo non avesse rifiutato la storia naturale, non sarebbe nata la storia innaturale.
Se non si fosse opposto al comunismo primitivo, in cui la libertà era vissuta spontaneamente, in cui l'identità di uomo e natura era molto stretta, non ci sarebbero state tutte quelle forme di esperienze negative della libertà, che poi hanno fatto la storia: schiavismo, servaggio, capitalismo, socialismo amministrato.
L'uomo deve addebitare solo a se stesso le conseguenze dello sviluppo storico, e deve quindi cercare solo in se stesso le modalità per porvi rimedio.
Su questa terra e nell'intero universo esistono solo due cose: l'uomo e la natura. L'uomo è un essere di natura con capacità sovrannaturali, in quanto la libertà di cui dispone è facoltà ignota a qualunque altro essere animale.
Perché l'uomo abbia questa capacità non ci è dato di sapere. Ma che debba usarla in modo da poter vivere in armonia con le leggi di natura, questo è certo, pena il rischio dell'autodistruzione.
La natura si ribella alla violenza su di sé. E gli stessi uomini non possono sopportare oltre un certo limite le sofferenze inflitte da altri uomini come loro.

Dunque il nostro destino è quello di vivere come uomini che possono vivere senza dio, dobbiamo vivere come se dio non esistesse.
L'uomo ormai ha raggiunto una tale maturità sociale, culturale e politica che solo a se stesso può e deve attribuire i meriti delle sue vittorie e i difetti delle sue sconfitte. E' finito il tempo in cui dei mediatori tra uomo e dio si assumevano l'onere di giudicare le conquiste o le disfatte dell'umanità.
L'uomo è divenuto mediatore di se stesso e tutte le mediazioni ch'egli si può dare sono soltanto per se stesso; si badi, non nel senso che ognuno ha finalmente acquisito il potere di fare ciò che vuole e di giudicare le cose secondo il suo arbitrio, ma nel senso che, una volta scoperte le leggi obiettive della natura e della convivenza civile e sociale, l'uomo è in grado di procedere autonomamente secondo la dinamica del vero umanesimo.
Che dio non esista non significa che all'uomo sia tutto permesso -come vuole Dostojevsky. Il compito dell'uomo è quello di rispettare delle leggi oggettive, indipendenti dalla sua volontà soggettiva. Si può anzi dire, in tal senso, che l'idea di un dio perfetto e onnipotente oggi è stata sostituita dall'idea di una società il cui sviluppo è regolato da leggi oggettive la cui conoscenza è scientifica.
La pianificazione economica ha sostituito le suppliche che gli uomini rivolgevano a dio nei momenti critici della loro esistenza. Se ciò non è possibile, il motivo va cercato unicamente nel modello di società che gli uomini si danno e non nel fatto che "l'uomo è molto imperfetto", "le leggi non si conoscono"... Queste sono considerazioni che non solo giustificano gli abusi che si compiono nelle società basate sull'antagonismo, ma alimentano anche illusioni di tipo religioso.
Vivere come se dio non esistesse significa porre in primo piano le questioni di carattere sociale ed economico. E' infatti realizzando la socializzazione dei mezzi produttivi che l'uomo perde il motivo di credere in una speranza ultraterrena.
Al socialismo non interessa il problema di dio perché non interessa dio come problema. Al socialismo interessa unicamente la storia e l'uomo che fa la storia. Da questo punto di vista la religione altro non è che un fenomeno storico da studiarsi scientificamente.
Anche ammettendo la possibilità ch'esista un "totalmente altro" da noi, cioè un'esistenza "extraterrestre", o addirittura la possibilità di una tale trasformazione della materia che per ogni individuo della storia sia possibile continuare a vivere la propria vita in altre forme e modi, il socialismo non potrebbe certo per questo rinnegare l'esigenza di vivere su questa terra una vita libera dalle contraddizioni antagonistiche: è assurdo pensare che la verità della socializzazione dei mezzi produttivi possa essere smentita solo perché -secondo alcuni- esiste un aldilà. Se il socialismo è vero, lo sarà anche nell'aldilà...

L'ateismo, in questo senso, è l'equivalente sovrastrutturale dell'abolizione della proprietà privata. Tuttavia, come tale abolizione non implica di per sé un diverso costume di vita, in quanto l'uso democratico della proprietà collettiva lo si acquisisce solo col passare del tempo, così non è detto che la pura e semplice socializzazione dei mezzi produttivi comporti, da subito, la fine dell'ateismo oltre che della religione. Anche qui, come sul piano socio-economico, occorre una paziente opera di educazione al valore umano che coinvolga la stragrande maggioranza dei cittadini.
Il compito umanistico si pone dunque a un duplice livello: uno di contrapposizione democratica al clericalismo e alla superstizione; l'altro di autoposizione, come esperienza positiva e autonoma del valore umano o della morale socialista. Autoposizione o automovimento significa che la morale socialista si pone come forma immediatamente riflessa dell'organizzazione socialista del lavoro e dei rapporti umani.
In una società socialista la laicità affermata a livello istituzionale col regime di separazione (che è una forma di contrapposizione) deve progressivamente, senza forzature di alcun tipo, essere riconosciuta dai cittadini a livello personale, altrimenti tutto è inutile.
Ateismo non significa "lottare contro dio": gli atei non possono lottare contro ciò che per loro non esiste o non è oggetto di esperienza. Ateismo significa semplicemente umanesimo integrale, totale, globale, senza altre aggiunte. E quindi significa lotta democratica, civile, contro tutto ciò che si oppone alla realizzazione e valorizzazione dell'identità umana.