giovedì 17 marzo 2011

Perché in Italia l’ateismo è un’eresia?



Mentre in Inghilterra Nick Clegg ha portato dopo un secolo i Lib-Dem al governo professandosi ateo, l’Italia si vergogna del proprio pluralismo religioso e filosofico. L’ossequio della politica alla religione cristiano-cattolica è un conformismo ben sperimentato e – sino ad oggi – di sicuro successo; una lenta processione che vede politicanti di ogni genere e tipo sfilare a messa, in prima fila, ben pettinati e abbigliati, preoccupati di venire inquadrati dalle telecamere nei momenti “salienti” della celebrazione. Beninteso, sono queste persone – che vedete inginocchiarsi con tanta foga, o composte in fila a ricevere il corpo di Cristo – le prime a spargere litri di benzina sul fuoco delle violenze, a spendersi in elogi a regimi autoritari come la Cina, a condannare e giudicare singoli individui in modo sprezzante e selvaggio, a non saper distinguere oltre una stucchevole e dicotomia bianco/nero. L’abbiamo sentito sino alla nausea: Noi partito della vita, voi partito della morte.

Ancor più scioccante è l’atteggiamento delle alte sfere vaticane; dimenticandosi in modo assai palese dell’Art.7 della Costituzione Italiana (Lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani), si preoccupano incessantemente di dispensare giudizi e valutazioni sull’operato politico del Parlamento Italiano mentre discute e vota determinate leggi. E che dire di una Chiesa che arriva ad appoggiare un governo, contestualizzando alcune sgradevoli e rozze uscite di alcuni suoi esponenti?

L’ateismo, oggi, è diventato un’arma elettorale da sfoderare contro chi ha il coraggio (coraggio che è proprio anche di alcuni veri cattolici e cristiani, beninteso) di staccarsi da questo stantio conformismo in modo assolutamente chiaro e onesto; un tabù (come l’essere omosessuali) ancora non completamente sconfitto, un don’t ask / don’t tell, un qualcosa “da tollerare” a denti stretti. Lo si evince con lucida chiarezza da un vero e proprio sottobosco di posizioni (spesso partitiche) che lasciano trapelare un vero e proprio disprezzo per chi non è allineato e in riga.

La dichiarazione di Gasparri (che è quella di altri numerosissimi personaggi) è di carattere squisitamente sostanziale; e merita una lucida risposta sostanziale non solo da chi è ateo, ma anche di chi si professa agnostico o libero pensatore (o per dirla alla Fini, di chi non ha il dono della fede).

Ateo è colui che, non credendo in alcun concetto sovrannaturale, si sforza unicamente di lavorare per e a favore dell’uomo, hic et nunc. Rispondendo unicamente a quei principi che sono il rispetto dell’altro, la laicità e l’autodeterminazione del singolo.

Ateo è colui che innanzi a una proposta di legge sul testamento biologico (qualcuno ha detto ddl Calabrò?) che mutila la volontà del singolo in modo irrimediabile, preferisce una legge più sobria, che permetta a ogni individuo di scegliere autonomamente.

Ateo è colui che ammette la discussione su ogni tema e non bolla nessuno di “eresia”.

Ateo è colui che agisce nel rispetto della vita tanto quanto il Cattolico (o il Musulmano, l’Indù, l’Evangelico, lo Shintoista), ma seguendo un’ottica utilitaristica; tutto deve essere finalizzato all’interesse del singolo, ovvero a quella suprema stella polare della bioetica che è l’autodeterminazione del singolo, bilanciando in modo sapiente e attento più interessi.

Ateo è colui che non usa la religiosità come spot elettorale (richiamante tempi bui e polverosi), ma che si preoccupa di ascoltare ogni voce e ogni morale.

Ateo è colui che serba nel cuore il sogno di un paese alcova di ogni pensiero e religione, il sogno di una tolleranza sincera e genuina. E che lavora perché questo sogno di libertà e accoglienza si faccia realtà.

Ateo non è nulla di cui vergognarsi, carissimo Gasparri e carissimi fondamentalisti. E non comporta nessun disvalore. E’ – come tutte le altre correnti religiose e filosofiche – una conquista intellettuale, una suprema libertà di pensiero, il termine di un lungo percorso riflessivo e interiore che deve essere rivendicato orgogliosamente e pacatamente alla luce del sole e non mestamente – come alcuni vorrebbero – dietro le quinte, a spettacolo concluso.

P.S. Come avrete capito l’elenco di cui sopra è (fortunatamente) sovrapponibile; non è necessario essere atei (o agnostici) per credere nell’autodeterminazione del singolo o in quanto sopra scritto. Si può essere benissimo religiosi e al contempo laici, cioè rispettosi appieno della morale e della libertà altrui (non solo a parole, ma anche a fatti), votati alla realizzazione di questo sogno di accoglienza reciproca. Peccato che moltissimi dei nostri attuali politici italiani di “fede cattolica” (se io fossi cristiano cattolico, mi incazzerei di questa rappresentanza cattolica) sembrano essersi dimenticati di questo piccolo particolare (come se ne sono dimenticati gli “atei dogmatici” e gli “atei devoti”, sia chiaro).