lunedì 14 marzo 2011

SCIENZIATI E CHIESA


Pio XII condannò per quattro volte la fecondazione artificiale, anche col seme del marito. Ma il no di fronte alla speranza di tante coppie crea disagio anche ai credenti.
di GIANCARLO ZIZOLA.
"Io vi supplico, Padri. Non facciamo un nuovo processo di Galileo. Uno basta alla storia". La voce del primate del Belgio cardinale Leo Joseph Suenens risuonava più grave nell'aula del Concilio, in quel 30 ottobre 1964, mentre invocava un riequilibrio della dottrina cattolica tradizionale sull'amore umano, il matrimonio e la famiglia. E l' argomento principale su cui la sua proposta si fondava era che il progresso scientifico contribuiva a mettere in valore aspetti dell' amore umano:
"Ai tempi di Aristotele e Sant' Agostino noi non avevamo la stessa conoscenza delle leggi naturali. Oggi capiamo meglio la finalità dell' unione coniugale. Si ha una concezione più giusta dell' unione tra anima e corpo".
Il monito lanciato allora alla Chiesa è tornato a rimbalzare successivamente. Il ritardo a recepire i risultati delle ricerche della psicanalisi è uno dei nuovi incidenti galileiani che ha portato il Vaticano, solo tre anni fa, a emarginare l'intervento sistematico della psicanalisi nella formazione e selezione dei candidati al sacerdozio: un'esclusione che è stata ripensata solo sotto la bufera della pedofilia del clero.
Ma è principalmente sui grandi nodi di ogni esistenza umana, rappresentati dalla vita nei suoi primi e nei suoi ultimi momenti, che le relazioni tra Chiesa e mondo scientifico hanno conosciuto negli ultimi decenni fasi di malessere, talora di esplicito conflitto. Un cattolico di fede tradizionale, anzi neo-tomista come il filosofo Pietro Prini, non esitava anzi a denunciare "uno scisma sommerso" nella Chiesa, ormai incapace - diceva - di far comprendere i suoi dogmi ad una cultura lavorata strutturalmente dalla scienza moderna.
I fronti critici citati sono il mito creazionista e quello del peccato originale, la condanna del piacere sessuale, la riproduzione di pretese dottrinarie fondate sull'essenzialismo religioso, tendenzialmente negatore della dimensione storica e della struttura relazionale dell'embrione umano, e pertanto lanciato sulla retorica fumosa e scomposta della denuncia di "olocausti in provetta" o di "deliri del ventre".
D'altra parte anche ai tempi dell'enciclica "Humanae vitae" con la quale Paolo VI proibiva nel 1968 il ricorso alla "pillola" antifecondativa, l'argomento chiave della posizione della Chiesa si fondava sulla ripresa della categoria della "legge naturale" per giustificare il rifiuto della strumentalizzazione della persona umana e per difendere la causa del valore della vita. Pio XII aveva condannato quattro volte tutte le inseminazioni artificiali, compresa quella fatta col seme del marito. Da allora si è verificata un'evoluzione e anche la dottrina morale ufficiale della Chiesa ha finito per ammettere che l'inseminazione artificiale da parte del marito non ponga alcun problema etico. Nel 1978 Giovanni Paolo I si congratulò con la signora Leslie Brown per aver dato alla luce il primo bambino fecondato in vitro. Successivamente le posizioni ecclesiastiche divennero più caute. Nell'aprile 1984 "L'Osservatore romano" intervenne duramente commentando la nascita di Zoe, una bimba australiana nata mediante fecondazione in vitro e conservata allo stadio di embrione mediante congelamento. I bambini in provetta, ottenuti per congelamento o meno - dichiarava il giornale vaticano - non sono ammessi dalla morale cattolica. Il prelievo degli ovuli e la loro eventuale distruzione, nel caso in cui la fecondazione non fosse coronata da successo, sollevano gravi problemi morali.
Il motivo di fondo del dissenso della Chiesa - a parte le questioni della dispersione degli embrioni o alla produzione di embrioni soprannumerari - è dato dal fatto che il bambino non è generato mediante l'incontro sessuale tra uomo e donna ma è "fabbricato" mediante la bio-tecnologia. Tuttavia, sono numerosi i teologi cattolici che si distanziano dalle posizioni tradizionali del magistero sulla questione dell'inizio della vita. Anche adottando la concezione scientificamente più restrittiva, per la quale una persona ha inizio a 6-7 giorni dal concepimento, la conclusione cui si arriva è che la persona non sussiste ancora all'atto della fecondazione, ciò che rende improponibili le teorie pre-scientifiche di Sant'Agostino e di San Tommaso d'Aquino. Si tratta di certezze favorite dalla scoperta del Dna, dati analoghi al concetto di "morte cerebrale" per il quale si considera che la cessazione di ogni attività del cervello coincida con la fine della persona. "Non si vede - commenta il teologo cattolico Giannino Piana - perché un criterio scientifico possa essere utilizzato per affermare che la vita non esiste più e un analogo criterio, altrettanto scientificamente sicuro, non possa invece venire assunto per affermare che la persona non c'è ancora".
Disagi anche più forti per l'atteggiamento negativo della Chiesa su ogni forma di "procreazione medicalmente assistita", fosse anche omologa, che pure apre alle coppie spiragli di speranza altrimenti preclusi. La Chiesa sembra influenzata dal timore che si ceda all'euforia tecnologica, a un neo-scientismo che si farebbe totalitario, ma a sua volta dà motivo talora di restringere i suoi responsi entro categorie giuridiciste e persino materiali del significato della persona, della vita e della morte, rinunciando a liberare visioni capaci di storicizzare l'evento fondante della fede cristiana, cioè la Resurrezione di Cristo dal regno dei morti.
Le sue messe in guardia dinanzi alle prodezze della biologia risentono del terrore verso sperimentazioni pericolose sugli embrioni umani, fino alla clonazione terapeutica o all'eutanasia deliberata. Le varie forme di manipolazione rese possibili dalle nuove bio-tecnologie hanno spinto il papato negli ultimi decenni a lanciare l'allarme sulle derive faustiane della modernità, sulle false audacie liberatrici e sulla mercificazione dei progressi scientifici: secondo le dottrine di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI (autore quest'ultimo di un rilancio della "legge naturale") non si può arricchire la conoscenza del feto nel ventre della madre, discernere la sua singolarità misteriosa, e nello stesso tempo trattarlo come un organo sprovvisto dei diritti propri di un essere umani, tanto più in ragione della sua debolezza. Allo stesso modo si rifiutano di passare sotto silenzio la tendenza a gestire gli ultimi istanti dell'esistenza in funzione delle convenienze immediate. Per cui il ricorso alla "legge naturale" funziona come antidoto (virtualmente universale) ad una progressiva riduzione tecnica dell'uomo: tesi sostenuta dai pontefici recenti, ma convalidata anche da Jurgen Habermas, secondo il quale l'idea di "natura" fonda il limite etico da istituire agli interventi illimitati della scienza sul patrimonio biologico umano.