mercoledì 5 ottobre 2011

FEDE E RAGIONE A CONFRONTO



Il problema di scegliere tra fede e ragione -così come l' ha trattato la chiesa in questi duemila anni- è sempre stato un falso problema, poiché l' una non può mai prescindere dall' altra. Ogni argomentazione (teologica o di filosofia religiosa) che cerchi di dimostrare il primato della fede sulla ragione, è destinata a contraddirsi, poiché la fede può avere un primato sulla ragione solo quando la ragione non c' è, ossia nei casi di irrazionalismo.
Con ciò naturalmente non si vuol sostenere che l' uomo debba necessariamente credere in dio, 

ma semplicemente che gli atteggiamenti di "fede" fanno parte dell' esperienza umana, non meno di quelli basati sulla ragione.
Che poi la chiesa abbia strumentalizzato il concetto di "fede", trasformandolo in una devozione per la divinità, questo è un altro discorso.
E' un compito specifico del laicismo quello di riscoprire l' uso semantico originale delle parole, depurandole dalle incrostazioni ideologiche formatesi nel corso dei secoli.
E' molto probabile, tra l'altro, che sul piano storico il concetto di "fede cristiana" abbia prevalso su quello di "ragione ellenistica" non tanto perché questa avesse fallito nelle sue previsioni o si fosse rivelata non sufficientemente fondata, ma perché essa rifletteva un tipo di società in cui la divisione in classi contrastava con le aspirazioni di giustizia sociale da parte delle masse.
Nonostante l'esperienza cristiana non fosse alcunché di sconvolgente sul piano sociale (essa in fondo non ha mai predicato alcuna rivoluzione politica), nondimeno i suoi principi sembravano offrire al senso represso di "democraticità" uno spiraglio maggiore di quello offerto dalla filosofia greca o dal diritto romano, i quali o restavano tenacemente legati agli interessi delle classi privilegiate, oppure non sapevano risolvere la fondamentale contraddizione tra principi teorici democratici e prassi concreta schiavistica. Seneca, Marco Aurelio, Quintiliano… erano vicinissimi, sul piano teorico, al cristianesimo, ma lontanissimi su quello pratico.
La religione cristiana ha avuto buon gioco sul pensiero laico-razionale classico non perché la fede sia di per sé migliore della ragione (astrattamente parlando, fede e ragione si equivalgono), ma perché era migliore l'esperienza sociale che quella religione rifletteva.
Finché gli uomini non sapranno costruire sul piano umano (cioè non religioso) un'esperienza socialmente più significativa di quella cristiana, questa religione non avrà mai fine.
Chi si limita a sostenere che la ragione di per sé è migliore della fede, fa il gioco della religione. Anche se un novello Tertulliano affermasse che alla morte e resurrezione del Cristo si deve credere perché "assurda", non bisognerebbe mai limitarsi a sostenere che una fede del genere è pura follia.
Bisogna dimostrare coi fatti che la propria ragione non lo è. Anche perché nessuno può escludere a priori che un'esperienza del tutto laica si muova nella realtà basandosi di più sulla "ragione" che non sulla "fede" dei propri sostenitori.
OTTO DOMANDE SUL RAPPORTO SCIENZA-FEDE
1) Religione e Scienza possono lavorare insieme?
Religione e Scienza non solo "possono" ma "devono" lavorare insieme, soprattutto nei campi fondamentali della pace, dei diritti umani e civili, dello sviluppo dell'umanità. Si pensi all'impegno profuso dalle varie chiese del mondo in settori come il volontariato, l'assistenzialismo, il pacifismo... Oggi i problemi che affliggono l'umanità sono così grandi e complessi che occorre il contributo di tutti, mettendo da parte ciò che divide (teoria, ideologia...).
Ovviamente tale collaborazione non può sussistere sul terreno più propriamente filosofico, epistemologico, ontologico. Ci potrà essere un confronto, uno scambio di opinioni, ma né la scienza né la religione possono pretendere di porre delle condizioni per accettare un'intesa in tale campo. La scienza non può credere, neppure in via ipotetica, nell'esistenza di dio, così come la religione non può essere costretta a rinunciare ad alcuno dei propri dogmi. Il fatto che -come vuole la religione- scienza e fede non possono che andare d'accordo poiché provengono entrambe da dio e sono soltanto gli uomini che le mettono in contrasto tra loro, non ha alcun significato per la scienza. Il contrasto tra fede e scienza non è solo nei mezzi e nei metodi che si usano ma anche nei fini che si perseguono, seppure relativamente agli obiettivi più generali esse possano anche convergere su qualche aspetto.
Religione e Scienza sono alternative perché alle domande fondamentali della vita danno risposte completamente diverse. Il che, se vogliamo, non agevola certo la collaborazione pratica sui terreni cosiddetti "comuni". Certo, il fatto che la scienza si basi sulla ragione e la religione sulla fede o il fatto che la scienza affermi che l'universo s'è creato da solo, mentre per la religione, senza "la volontà di dio", nessuna foglia si muoverebbe -possono essere considerati delle mere "opinioni", dei "punti di vista" d'importanza equivalente, ma l'esperienza dimostra che, appena questi "punti di vista" vengono accettati, essi sono in grado di modificare tutto il corso dell'esistenza umana.
Non a caso la religione, specie quella cattolica, è sì disposta ad ammettere "l'autonomia delle realtà terrene", in quanto esse non dipendono più direttamente dalla chiesa, ma non è disposta a riconoscere in modo assoluto tale autonomia; in ultima istanza, infatti, la chiesa si riserva, attraverso il giudizio etico-religioso, d'influenzare quelle realtà (specie quando esse manifestano segni di crisi), allo scopo d'indurle ad accettare le posizioni religiose. E' difficile per la chiesa, nel momento in cui critica i difetti della società laica, pensare al bene di tutti i cittadini prima che a quello di se stessa.
2) Può esistere un cittadino che allo stesso tempo sia laico e credente?
Oggi è difficile incontrare una persona che sia solo religiosa e che non creda nella scienza. E' più facile incontrarne una che crede solo nella scienza e affatto nella religione. Oggi le persone religiose credono nelle verità della scienza perché a partire da Galileo la scienza riesce a dimostrare con prove concrete la verità delle cose che dice. Se col tempo le verità scientifiche appaiono false, è solo perché esse sono state smentite da altre verità scientifiche, basate su altre prove concrete. La religione non può contraddire la scienza, perché le prove della religione sono indimostrabili e vanno credute solo per fede. Anche le religioni più razionaliste (come la protestante, la cattolica e tutte le filosofie borghesi para-religiose) conservano sempre alcuni aspetti fondamentali che prescindono da un atteggiamento razionale e realistico. Le verità della fede religiosa sono per la scienza delle mere opinioni cui ci si può credere o non credere e, se non possono essere verificate, esse vengono ritenute dalla scienza un non-senso. E' vero, a volte succede che la religione critichi, a buon diritto, gli errori della scienza, ma quando ciò avviene in maniera costruttiva è perché essa si esprime con un linguaggio laico-umanistico, mettendo l'uomo contemporaneo in grado di capirla.
Oggi molti credenti accettano sia le verità della religione sia le verità della scienza. Naturalmente quando si tratta di rispondere alle domande fondamentali della vita (ad es. com'è nato l'universo o l'uomo, cosa c'è dopo la morte, ecc.), essi preferiscono le risposte della religione, ma tale preferenza viene sempre più circoscritta nell'ambito della coscienza privata, in quanto che ci si rende conto che con molta difficoltà si riuscirebbe a sostenerle in un dibattito pubblico.
I credenti vivono all'interno di società che hanno per fondamenta le verità della scienza. E' quindi impossibile al credente dubitare di queste verità: se lo facesse si autoemarginerebbe dal contesto sociale, dai rapporti umani (soprattutto se osasse mettere in discussione le verità della scienza non in modo scientifico, ma secondo la logica della religione). Nel migliore dei casi essi devono imparare ad accettare secondo ragione le verità scientifiche, nel momento stesso in cui accettano per fede le verità religiose. Se le verità scientifiche si concretizzano negativamente, il cittadino-credente dovrebbe criticarle come "cittadino", anche se nessuno ha il diritto d'impedirgli di farlo come "credente".
3) La scienza è capace di dare una risposta a tutte le domande dell'uomo?
Se gli uomini continuano a porsi domande esistenziali o metafisiche del tipo: "Chi sono io?", "Da dove vengo e dove vado?", significa che o la religione non li soddisfa più o che la scienza non è ancora in grado di soddisfarli. L'umanità infatti ha saputo dare a quelle domande, fino ad oggi, solo due grandi risposte: quella religiosa e quella scientifica. Fra l'una e l'altra va collocata quella filosofica, che però fino al marxismo altro non era che una risposta religiosa laicizzata (come già Feuerbach dimostrò). Il marxismo non solo ha definitivamente spiegato perché va superata l'esigenza di fare riferimento a una divinità nella spiegazione dei fenomeni e dei processi storici e naturali, ma ha posto anche per la prima volta all'ordine del giorno la necessità di trasformare le società antagonistiche, basate sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, in società comunistiche, in cui tale sfruttamento non debba più esistere. Nessuna religione e nessuna filosofia pre-marxista è mai riuscita a risolvere praticamente questo compito: al massimo è riuscita a porselo come problema.
E' importante qui sottolineare che ai fini della costruzione di tale società o civiltà è impossibile partire da compromessi tra religione e scienza (o tra scienza e filosofia) che riguardino i principî di fondo. I compromessi devono riguardare le azioni politiche, le attività sociali, la tutela giuridica dei diritti umani. Perché questo? Perché le risposte della religione, della filosofia e della scienza coinvolgono interamente tutte le manifestazioni dell'essere umano (hanno cioè una pretesa "totalizzante", "integrale", anche se non per questo la scienza è tenuta, come si sono sentite tenute fino ad oggi le religioni e le filosofie, a non rispettare chi la pensa diversamente). Se la scienza ancora non è in grado di rispondere alle suddette domande, deve comunque ricercare in se stessa le risposte adeguate, non può andarla ad "elemosinare" dalla religione o dalla filosofia para-religiosa.
In genere, gli uomini che si pongono quelle domande di "senso" lo fanno continuando a vivere la vita di tutti i giorni. Anzi, si può dire che gli uomini in genere vivono la loro vita senza porsi quelle domande e che cominciano a porsele solo quando qualcosa di negativo, di traumatico, è accaduto nella loro vita o attorno alla loro vita (ad es. la morte improvvisa di un bambino o di una persona cara, una calamità naturale, o un licenziamento in tronco...). Ciò significa che per quanto il senso di quelle domande sia sempre lo stesso, non è sempre uguale l'interesse che ci spinge a farle (cioè il motivo di fondo, che è strettamente legato all'ambiente, al contesto vitale della nostra esistenza, alle situazioni). Di conseguenza non sempre sono uguali i mezzi e i metodi con cui cerchiamo di soddisfare questo interesse, di rispondere a quelle domande.
Questo è il motivo per cui, pur usando uno stesso linguaggio, spesso non ci s'intende, poiché si dà alle parole un diverso peso e significato (ad es. la gerarchia cattolica parla di Gesù "redentore", pensando alla "salvezza" degli uomini; i teologi della liberazione, invece, pensando alla stessa "salvezza", preferiscono parlare di Gesù "liberatore" -e questo avviene all'interno di una medesima religione!). Tutto quindi sembra dipendere dal punto di vista, dalla prospettiva con cui si guardano le contraddizioni della società (un operaio cattolico -per fare un altro esempio- non può certo avere gli stessi interessi di un imprenditore cattolico e capitalista). Gli uomini in sostanza vivono la loro vita così come viene richiesto dalle società in cui esistono. E alle domande suddette rispondono usando le risposte che la società mette loro a disposizione. Se però essi si accorgono che la società non offre risposte adeguate, ecco che scatta l'esigenza di trovare nuove risposte, e queste risposte vengono ricercate o nella scienza o nella religione (intendendo col termine di "religione" tutto ciò che non è scientifico, ma illusorio, evasivo..., inclusa la filosofia).
Marx affermò che gli uomini cercano delle risposte solo a quelle domande che sono in grado di porsi. Non possiamo, in effetti, accusare il passato di non aver saputo rispondere alle nostre domande, né possiamo assegnare al futuro tale compito, risparmiandoci ogni fatica. E non è detto che solo per il fatto di porsi certe domande o di pretendere delle nuove risposte, gli uomini siano anche in grado di trovare le giuste risposte. In particolare gli uomini si sentono indotti a cercare sempre nuove risposte ogni volta che incontrano situazioni di sofferenza, di disagio materiale e ambientale e spirituale. Là dove c'è ingiustizia, oppressione, schiavitù, sotto le forme più diverse, lì gli uomini hanno elaborato la maggior parte delle loro risposte.
Insomma è ingiusto e insensato porsi delle domande per le quali ancora non abbiamo i mezzi con cui trovare delle risposte. Le domande possono essere speculative ma nei limiti di una concretezza di fondo, altrimenti si rischia di cadere nelle astrazioni più arbitrarie. E le domande più concrete, più utili, sono quelle per le quali possiamo almeno intravedere la possibilità di una risposta. Ad es. sarebbe assurdo far dipendere la condotta della nostra vita dalla risposta che possiamo dare alla seguente domanda: "Esistono nell'universo degli esseri simili a noi?". Non dobbiamo neppure pensare che siccome un giorno moriremo tutti, allora non dobbiamo far nulla per migliorare la società in cui viviamo. Peraltro, queste soluzioni di comodo contrastano con l'esigenza naturale dell'uomo di vivere sulla terra una vita felice.
Se la scienza fosse capace di rispondere a tutte le domande dell'uomo, non esisterebbe alcuna religione. Un credente oggi può accettare contemporaneamente le verità della religione e quelle della scienza appunto perché la scienza non è ancora capace di spiegare, dal suo punto di vista, con gli strumenti della ragione, tutti i perché dell'uomo, tutti i "misteri" della natura. In ogni caso se si pretende che la scienza risponda alle domande di "senso" (esistenziali o metafisiche) dell'uomo, occorre che essa si serva dell'aiuto di quelle discipline che fino a ieri si consideravano "umanistiche" (storia, politica, etica, psicologia, ecc.); occorre cioè accettare l'idea che anche l'etica umanistica o la morale laica possono essere considerate valide scientificamente, appunto perché umanistiche.
Tuttavia, è vero che molte domande restano ancora oggi senza risposta (anche perché spesso succede che i regimi autoritari amano tenere i popoli nell'ignoranza per meglio dominarli), ma non si può certo dire che la soluzione dei molti problemi pratici che attualmente affliggono gli uomini (malattie, miseria, ecc.) dipenda dalla risposta a quelle domande di "senso". Ad es. se gli uomini avessero individuato l'anello mancante che li separa dalla scimmia, non avrebbero per questo risolto il problema dei debiti del Terzo mondo. Se gli uomini sapessero che l'uomo nell'universo esiste perché la natura tende a creare cose sempre più perfette, non avrebbero certo dimostrato, solo per questo, d'essere perfetti. Ecco perché non possiamo considerare la nostra ignoranza (relativa) come un pretesto per non mettere in pratica, per il bene dell'umanità, le conoscenze di cui già disponiamo. La storia dimostra che esiste un cammino irreversibile, lento e faticoso (con rovesciamenti di fronte) verso la conoscenza della verità assoluta. Il percorso può andare più spedito solo se noi mettiamo in pratica quella parte di verità che già conosciamo. Il tutto, in definitiva, è proporzionato alla nostra autoconsapevolezza.
4) Quando la scienza avrà risposto a tutti i perché della vita ci sarà ancora la scienza?
Quando avremo risposto a tutti i perché della nostra vita non solo scomparirà la religione ma anche la scienza e resterà solo l'autocoscienza. Se noi dicessimo che la conoscenza è infinita dovremmo anche ammettere l'infelicità come costitutiva dell'uomo. Ciò che va considerato infinito è il processo di acquisizione personale della verità. Quando verrà il momento della verità assoluta gli uomini non avranno più bisogno di chiedersi: "chi sono io? da dove vengo e dove vado?"; essi avranno soltanto il compito di realizzare in loro stessi il contenuto della verità appresa.
Oggi sappiamo soltanto che quanto più la conoscenza s'approfondisce tanto più diminuisce non la ragione ma la fede, non la fede in quanto tale ma quella nelle cose indimostrabili. Il punto tuttavia è proprio questo, che la dimostrazione della verità delle cose non è detto che sia un'operazione meramente intellettuale. L'acquisizione della verità, già da ora, è piuttosto un fenomeno che coglie tutto l'essere umano.
Si potrebbe qui aggiungere che se uno vuole credere nelle verità della scienza, può farlo anche prima ch'essa abbia dato una risposta esaustiva a tutti i perché dell'uomo (non foss'altro perché a tale ricerca ogni uomo deve collaborare); e se, al contrario, uno decidesse di non volerci credere, neanche tutte le risposte esaurienti ad ogni domanda, lo convincerebbero del contrario.
5) Vi è ancora un senso per la religione?
E' impossibile dimostrare che nell'uomo vi è il bisogno di una religione. Se nell'uomo vi è questo bisogno, nessuno può dimostrare che una religione sia migliore di un'altra, poiché ogni credente considera la propria come la migliore in assoluto. Dentro l'uomo dunque cosa c'è? Come mai tutti gli uomini possono arrivare più o meno facilmente a credere nelle verità della scienza e trovano tante difficoltà a credere nelle verità di un'unica religione? E, per converso, come mai molti uomini, così tenacemente legati alla loro religione, non solo non riescono ad accettare i valori positivi delle altre religioni, ma neppure le verità della scienza? Il criterio della maggioranza qui non può valere per dimostrare la verità di una religione, come non serve per dimostrare la verità di una tesi scientifica. Il Cristianesimo è presente da duemila anni, eppure dal giorno in cui è nato le religioni non sono affatto diminuite, anzi sono aumentate.
Nell'uomo dunque c'è sia la fede che la ragione, ma la storia ha dimostrato due cose: 1) che la fede religiosa tende a diminuire mentre la ragione scientifica tende ad aumentare (benché questo di per sé non implichi un progresso verso la democrazia, in quanto, oltre alla ragione scientifica va affermata anche una nuova democrazia sociale); 2) che l'aumento della ragione non danneggia la realtà della fede in quanto tale, ma solo quella della fede religiosa. In altre parole, se la ragione, col tempo, s'è mostrata più disponibile a credere in cose apparentemente inverosimili (p.es. che possano esistere degli extraterrestri o che il Cristo sia scomparso in maniera misteriosa), la fede, al contrario, s'è sempre più disabituata a credere in cose indimostrabili. La realtà del "paradosso" (che è un aspetto della dialettica) può non dare fastidio alla ragione, a condizione naturalmente che le cose in cui credere siano in qualche modo percepibili, verificabili.
La fede, di per sé, non è estranea alla concezione laica dell'esistenza. La società borghese -è vero- l'ha trasformata in una sorta di fiducia sotto condizione di precise garanzie. Il laicismo non avrebbe nulla da temere se ammettesse che l'unica vera garanzia di cui si può disporre, in un atteggiamento di fede, è la fiducia reciproca. Occorre togliere alla religione il monopolio ideologico sull'atteggiamento di fede e fare della fede umana uno strumento al servizio della ragione scientifica.
La religione, nei secoli passati, esprimeva una concezione ingenua, primitiva, dell'esistenza. L'uomo aveva bisogno di sentirsi "fisicamente" al centro dell'universo, aveva bisogno di credere, per paura, che attorno a lui non ci fosse alcun altro essere vivente (se non le anime dei morti) e che tutto ruotasse attorno a lui (vedi il geocentrismo). Le scoperte di Copernico, Keplero, Galilei, Newton... hanno in un certo senso "umiliato" quest'immagine superficiale di uomo, presuntuosa suo malgrado, narcisista per ignoranza, e hanno stimolato, anche se spesso con un atteggiamento non meno fideistico di quello che combattevano, il bisogno di conquistare l'intero pianeta (oggi si parla addirittura di conquista dello spazio).
Tuttavia, in luogo dell'orgoglio che fino ad oggi abbiamo dimostrato nell'usare in modo indiscriminato, incontrollato, le conquiste della scienza e della tecnica, nel nostro rapporto con la natura, si va facendo strada, negli ambienti più consapevoli, un atteggiamento più realistico, più obiettivo, veramente più scientifico, in virtù del quale sia possibile all'uomo convivere in maniera equilibrata, armonica, con la natura, approfondendo gli elementi di superiorità umana esclusivamente nell'ambito della coscienza e dell'esperienza personale, a livello d'interiorità spirituale e di rapporti sociali. L'uomo cioè deve dimostrare la sua grandezza non pensando d'essere l'unico o il migliore, ma pensando che l'obiettivo che deve realizzare è quello di una civiltà democratica, tollerante, rispettosa dell'ambiente. Il giorno in cui si dovessero incontrare altri esseri viventi che abitano l'universo, se siamo stati abituati a vivere secondo questi criteri, la prima cosa che ci verrà in mente forse non sarà quella di come sfruttarli e opprimerli.
La scienza borghese ha distrutto la fede nelle verità religiose riguardanti la materialità della vita, ma non è stata coerente in questo compito, poiché la scienza borghese ha bisogno della religione (cioè di tutto ciò che non è scientifico) per permettere alla società borghese di sopravvivere. Il marxismo non solo ha completato quest'opera, ma ha anche distrutto la fede nelle verità religiose riguardanti il significato della vita, seppure fino ad oggi l'ha fatto più in chiave politica che etica.
6) Scienza e Religione quando sbagliano da chi devono essere corrette?
Se la religione avesse delle pretese scientifiche e sbagliasse nel formulare certe tesi, allora dovrebbe essere corretta dalla scienza, ma questo problema è stato tipico del Rinascimento, allorché la scienza sperimentale e induttiva stava appena per nascere. E' anche vero che la chiesa cattolica si intromette in molti campi nei quali solo la scienza dovrebbe parlare, per cui le possibilità di contrasti non vengono mai meno. D'altra parte non si può pretendere che la chiesa s'interessi unicamente di questioni religiose (culto, riti, dogmi, testi sacri, ecc.), poiché ogni religione pretende d'essere un'esperienza di vita per l'uomo contemporaneo. La scienza non può esigere che la religione resti ferma al tempo delle problematiche in cui è nata.
Naturalmente quando la scienza commette degli errori essa deve autocorreggersi, ma la scienza ha prodotto anche degli errori così grandi (vedi ad es. l'uso bellico del nucleare o della chimica, la vivisezione o la sperimentazione genetica sull'uomo) che la religione tradirebbe i suoi principî se non intervenisse. Se gli stessi uomini di scienza non protestano, perché non possono farlo i credenti? Se la protesta è a fin di bene, ha molta importanza da quale fonte proviene? Oggi la scienza è così sofisticata che non possiamo permetterci errori di sorta. Certo, la scienza non va posta sotto il controllo della religione, ma gli uomini di scienza (inclusi tutti i cittadini) devono saper discernere quanto reali, nelle proteste della religione, siano i motivi di allarme e quanto invece si tratti di ennesimi tentativi d'ingerenza. Scienza e fede possono competere benissimo sul piano della democrazia, del rispetto dei valori umani.
7) E' forse giusto che la scienza critichi quei credenti che accettano per fede cose che la ragione non accetterebbe mai (come ad es. i miracoli)?
La scienza ha il diritto di criticare solo le idee religione, non le persone che credono, ma questa possibilità va concessa anche alla religione nel suo confronto con la scienza. L'importante è che non si offendano i sentimenti, la sensibilità delle persone, solo perché si ritengono sbagliate le loro idee. Tuttavia, una religione "intelligente" non si metterà tanto a discutere sulla validità di certe idee scientifiche, quanto semmai sulla loro applicazione. Se dopo una spiegazione scientifica, con tanto di "prove ed errori", permane l'atteggiamento religioso su un determinato problema, il rischio, per la religione, sarà quello di trasformarsi da "fede spontanea" a "pregiudizio". In effetti, oggi la religione sembra sempre meno un prodotto istintivo della debolezza o dell'ignoranza umana, e sempre più un prodotto cosciente di certe forze regressive che se ne servono per alienare gli ingenui e sprovveduti, per contrapporli allo sviluppo della scienza e della democrazia.
Il fatto che uno sia credente non significa, di per sé, che sia più soggetto alla superstizione, o al fanatismo. Gli scienziati nazisti, in questo senso, non erano certo migliori degli inquisitori medievali. Una persona va criticata quando commette cose negative, che danneggiano la collettività, ma se la possibilità dell'errore dipende molto dalla consapevolezza intellettuale delle cose, la decisione di perseverarvi dipende da un atteggiamento interiore, morale o immorale, estraneo ad un intelletto aperto alla ricerca.
8) E' possibile che la scienza arrivi a dimostrare con la ragione la verità di quelle teorie in cui la religione credeva per fede?
La religione è prevalentemente basata sull'intuizione, sulla percezione sensibile delle cose, sulla fantasia, anche se, per darsi una credibilità, dice di essere basata su una "rivelazione". In queste intuizioni a volte si possono ravvisare elementi di verità universali, non dimostrati ma che possono trovare conferma nei processi scientifici e laico-umanistici.
Certo, la scienza non arriverà mai a credere nella "resurrezione dei corpi" (anche perché questo concetto è anacronistico rispetto alla sensibilità dell'uomo moderno), però essa crede nella perenne trasformazione della materia, e siccome fino ad oggi ancora non sappiamo tutto della materia (e assolutamente nulla dell'antimateria, di cui pur supponiamo l'esistenza), è allora probabile che un giorno la scienza arrivi a dire cose simili a quelle dette, per solo intuito, dalla religione, anche se lo farà in modo completamente diverso (come oggi si usa la silice per i computers e non per fare il chopper).
Oggi esistono alcuni pranoterapisti che ridanno la vista ai ciechi, l'udito ai sordi, ecc. Forse gli scienziati dicono che si tratta di miracoli religiosi? No, parlano soltanto di effetti psicotronici, medianici e di altro tipo, del tutto reali, scientificamente osservabili, anche se non si riesce a spiegare la loro forte presenza in alcuni individui e non in altri. Anche il Cristo nei vangeli faceva la stessa cosa, ma mentre la chiesa ne ha dedotto ch'egli era "divino", la scienza deve limitarsi a considerarli fenomeni puramente umani, sebbene non così frequenti. Per la scienza la vita, se non quella biologica, non finisce con la morte; in realtà per la scienza la materia è un processo di eterna autotrasformazione.
Si può anche sostenere che la scienza non sarà mai capace, neppure in futuro, di spiegare i misteri della religione (ad es. il concetto di Trinità, la divinoumanità del Cristo, ecc.), ma a parte il fatto che questi sono misteri solo per la religione e non anche per la scienza (a meno che la scienza non arrivi a riformularli in termini più accessibili all'uomo moderno), resta il fatto che essi non vengono spiegati neppure dalla religione, che infatti li considera dei misteri insondabili. La religione può soltanto dire che "ci sono", non può spiegare "come sono".
Una grande differenza tra Scienza e Religione consiste nel fatto che mentre la Religione considera "oggettiva" solo la divinità, la scienza invece tende sempre più a considerare tali la storia e la natura. Quanto più infatti l'uomo si rende autonomo dalla religione (e quindi dalla fede nella divinità), quanto più aumenta la sua autocoscienza e comprende d'essere artefice, in prima persona, della vita che vive, tanto più è costretto a rendersi conto che esistono delle leggi oggettive da rispettare, a livello fisico-naturale, ambientale, ma anche storico-sociale, economico e persino etico. L'uomo cioè può vivere la propria libertà solo nella misura in cui comprende il valore oggettivo di queste leggi, adeguandovisi in maniera creativa.
La religione ha intuito: 1) che la natura non è il frutto del caso o del destino o del kaos (come volevano i greci), né del terrore primordiale di qualche dio (come ad es. nei racconti assiro-babilonesi), in quanto nell'universo vi sono precise leggi di cui occorre tener conto; 2) la natura procede dalle cose inanimate a quelle animate, dal semplice al complesso, dall'inferiore al superiore. Animali e piante sono relativamente recenti e l'essere umano va considerato come un prodotto finale della natura.
Su quest'ultimo aspetto si potrebbe sostenere che pare quanto meno semplicistico affermare -come fanno molti scienziati- che l'essere umano è il prodotto di un'evoluzione naturale. La sua differenza rispetto a qualunque altra specie animale è troppo grande perché si possa pensare a qualcosa che progredisce in maniera uniforme, regolare. Si ha addirittura l'impressione che l'essere umano non sia un momento dell'evoluzione naturale, ma il suo prodotto finale, quello più complesso e perfetto, assolutamente ineguagliabile, tanto che, a partire dall'essere umano, pare non essere più possibile parlare di "evoluzione naturale" senza parlare, allo stesso tempo di "evoluzione storica". Nel senso che l'unica evoluzione possibile è quella stessa dell'uomo.
Storia e natura si condizionano reciprocamente, ma la storia ha delle leggi infinitamente superiori a quelle della natura. Si può affermare che la storia è un processo della natura che supera la materia stessa. In questo senso è valido il principio della dialettica hegeliana secondo cui una progressiva trasformazione quantitativa delle cose produce, ad un certo punto, la formazione d'una nuova qualità. L'essere umano rappresenta appunto questa assoluta nuova qualità della natura.
Gli scienziati dovrebbero scoprire il momento in cui è avvenuto il passaggio dalla quantità alla qualità. Se lo scoprissero, capiremmo anche che non siamo un semplice prodotto della natura, in quanto nella nostra costituzione psico-fisica è presente un elemento che non si trova in alcuna parte della terra e che ci è stato offerto dall'universo: si tratta dell'autocoscienza, cioè della capacità di distinguere il bene dal male, il desiderio forte della verità, della libertà e della giustizia. Un desiderio che è molto più di un istinto. Infatti quanto più si sviluppa tanto più avvertiamo limitato l'universo in cui viviamo.
In sintesi
Una religione che si servisse della scienza per avvalorare le proprie tesi non sarebbe meno ridicola di una scienza che si servisse della religione per fare altrettanto. In genere, quando ciò avviene, le finalità sono di natura antisocialista o antiateistica. In questo senso, sarebbe meglio che scienza e religione marciassero separate, anche se tale processo non può essere imposto con strumenti coercitivi nella speranza d'ottenere buoni risultati.
Il fallimento del socialismo reale ci ha insegnato che bisogna rischiare che la religione, contestando apertamente la scienza, sul piano ideologico, possa poi giungere a rivendicare determinate posizioni politiche. La scienza, dal canto suo, deve dimostrare la propria superiorità nei fatti e non tanto nelle parole (o, peggio ancora, servendosi del potere politico).
La scienza non può pretendere che la religione non abbia "fatti" significativi o che debba essere rivolta solo al "passato" o che debba basarsi esclusivamente sulla "coscienza" (e non sull'esperienza) o sul "culto" o sui "testi sacri", emarginandola nettamente dalla vita sociale.
E' insostenibile il principio secondo cui l'ateismo, proprio in quanto tale, è migliore di qualunque religione, a prescindere cioè dal comportamento degli individui atei. Se tale comportamento, nei credenti, è più democratico, più tollerante, più rispettoso dei diritti umani, bisogna piuttosto affermare che la religione è migliore della scienza. Anche la religione può dimostrare che la scienza ha torto, proprio sulla base di un confronto tra i risultati pratici che entrambe realizzano. Una scienza che porta all'intolleranza, alla discriminazione, al pregiudizio, all'insicurezza... è una scienza che va superata, abolita. Che poi debba essere la religione a farlo o un'altra scienza, questo solo la storia potrà deciderlo.
Quello che deve essere chiaro è che non ha senso affermare che la scienza, sul piano oggettivo, ha sempre più ragioni della religione, poiché le ragioni vanno dimostrate in modo soggettivo. La verità oggettiva va dimostrata soggettivamente, altrimenti essa è un'astrazione, un dogma, di cui si può facilmente abusare. La scienza socialista aveva dato per scontata la soluzione della contraddizione che il credente in coscienza avvertiva tra fede religiosa e ragione scientifica; aveva cioè detto al cittadino-credente che l'antinomia sul piano pubblico era stata risolta a favore della scienza, mentre sul piano privato, personale, era compito dello stesso cittadino risolverla. Questo adeguamento forzato alle leggi dello Stato oggi non è più accettabile.
CATTOLICI, PROTESTANTI E ORTODOSSI SUL RAPPORTO SCIENZA E FEDE
Oggi, le tre religioni principali esistenti in Europa: cattolica, protestante e ortodossa, hanno tre diversi modi di rapportarsi alla scienza.
Vediamo ora quello cattolico, che si può sintetizzare nella formula "R > S" (Religione superiore alla Scienza). I cattolici, nei confronti della scienza, hanno, in genere, un duplice atteggiamento: rifiutano a priori quella "socialista", perché sostanzialmente atea (nelle sue conclusioni filosofiche) e accettano con riserva quella "borghese", perché più ambigua: a volte è atea ma altre volte è soltanto agnostica, cioè sospensiva, dubbiosa, problematica circa l'esistenza di un "dio" o di un "aldilà" o di un'"anima" (Einstein, ad es., affermò che "non può esistere un vero conflitto tra religione e scienza").
(Naturalmente qui si usa l'aggettivazione "socialista" e "borghese" in riferimento al contenuto filosofico della scienza o alle sue finalità politiche. Non si vuol certo dare l'impressione che esistano molte "scienze", come molte sono le religioni, per quanto -è bene precisarlo- se è vero che può esistere un uso diverso della scienza, allora possono esistere anche più scienze; questo poi senza considerare che la scienza "occidentale", frutto del capitalismo, non può essere ritenuta la "scienza" qua talis).
I cattolici non amano discutere con la scienza marxista e preferiscono quella kantiana (oggi diremmo "popperiana"), al massimo optano per quella hegeliana. Essi cioè accettano la scienza solo fino al punto in cui le loro verità di fede non vengono clamorosamente contraddette: quando ciò avviene, spesso accade che la chiesa, a livello istituzionale -naturalmente dopo molti contrasti-, decide di trasformare l'interpretazione "letterale" di certi fenomeni o passi biblici in un'interpretazione "simbolica" (allegorica, figurata). Basta vedere come si legge oggi, dopo la polemica con l'evoluzionismo darwiniano, il racconto del Genesi relativo alla creazione dell'uomo e dell'universo.
Nel dialogo con la scienza borghese i cattolici sono da principio scettici e ostili, ma in seguito si mostrano condiscendenti, seppure a malincuore, fanno cioè delle concessioni non perché convinti della verità della scienza borghese, ma perché sanno di non avere alternative, cioè di non avere la forza sufficiente per opporvisi, inoltre perché temono che l'unica vera alternativa alla scienza borghese rischi di diventare quella socialista. Fra scienza e religione cattolica vi è quindi un rapporto di forza, eminentemente politico: spesso però, sul piano ideologico, emergono posizioni cattoliche secondo cui la religione avrebbe il diritto di dire l'ultima parola circa i risvolti "etici" di qualunque tesi scientifica.
Mentre dunque sul piano ideologico il cattolicesimo considera la scienza subordinata (inferiore) alla religione e, per non dover mettere in discussione tale principio, tende a rifiutare il confronto; sul piano politico esso sostiene tale pretesa attraverso una continua lotta per il potere e la salvaguardia dei propri privilegi. La religione cattolica è appoggiata incondizionatamente dalla scienza borghese solo quando è in gioco la sopravvivenza di entrambe. Questa reciproca strumentalizzazione è evidente nei momenti di lotta anticomunista.
La religione dei cattolici ha sempre avuto la pretesa (soprattutto a partire dalla Scolastica) di porsi come una scienza, ovviamente in senso lato o anagogico rispetto a quella laica e profana (la cui esistenza, fino a Galilei, ma sarebbe meglio dire fino alla Rivoluzione francese, non era neppure ammessa). I cattolici sono gli unici in Europa ad avere ancora la pretesa di dimostrare "scientificamente" (cioè con ragionamenti logici apodittici) le loro verità di fede, ivi inclusa l'esistenza di dio. La religione dei cattolici è, in questo senso, una religione razionalista, che però, essendo legata alla politica, ha accettato del razionalismo solo il discorso formale, l'aspetto esteriore, non il contenuto intrinseco.
I presupposti della fede infatti non vengono mai messi in discussione, cioè il suo razionalismo non conosce autocritica intellettuale (l'eccezione più significativa, perché più vicina alle idee del socialismo, è costituita dalla Teologia della liberazione). La scienza fondamentale, ufficiale, del cattolicesimo contemporaneo resta il Neo-tomismo, la cui modernizzazione più autorevole è rappresentata dal Concilio Vaticano II e dalle encicliche di Giovanni Paolo II.
Va detto tuttavia che la società borghese, non essendo in grado d'imporre alla chiesa una netta separazione dallo Stato poiché ha bisogno della stessa chiesa nella lotta contro la classe operaia, costringe la scienza ad essere agnostica, ambigua. Questo atteggiamento della borghesia e dei suoi scienziati e ricercatori si manifesta nei confronti di qualunque religione. L'unica differenza, in questo senso, dei cattolici dai protestanti sta nel fatto che mentre i primi vivono il rapporto con la scienza dal punto di vista soprattutto politico (cioè nella pretesa di porsi come uno Stato nello Stato), i secondi invece lo vivono soprattutto dal punto di vista ideologico, avendo accettato la presenza di un solo Stato, quello borghese. In entrambi i casi però la reciproca strumentalizzazione di Stato e chiesa ha sempre una funzione anti-socialista.
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La posizione protestante è la seguente: "S > R" (Scienza superiore alla Religione). I protestanti hanno fatto un passo avanti rispetto ai cattolici, in quanto hanno accettato gli sviluppi della scienza borghese, ma hanno fatto un passo indietro rispetto alle esigenze democratiche ed egualitarie della religione, così come essa le intendeva prima che fosse sviluppata razionalisticamente e clericalmente dai cattolici latini.
I protestanti non sono passati, di fronte alle conquiste della scienza borghese, dall'interpretazione letterale a quella simbolica, ma da quella letterale a quella a-religiosa, "demitizzante". Il dio dei protestanti oggi viene considerato come una pura e semplice "questione di coscienza". Sono stati definitivamente cancellati i riferimenti al passato religioso della chiesa cristiana, non esistono tradizioni ecclesiastiche cui rifarsi con autorità, non esistono concili o magisteri o padri della chiesa superiori alla Bibbia, la quale può essere interpretata in modo del tutto individuale, sulla base di acquisizioni scientifiche che certe discipline come la critica storica, testuale, formale, ecc. hanno desunto dalle moderne scienze filologiche sorte in ambito laico.
I protestanti hanno sviluppato un discorso scientifico non della religione ma sulla religione, servendosi più della ragione che della fede. La loro religione resta appunto nei limiti della ragione e tutti i fenomeni considerati contro-natura o extra-razionali vengono rifiutati in blocco, appunto perché ritenuti mitici (miracoli, resurrezione di Cristo, apparizioni, reliquie, iconografia sacra, ecc.). Al massimo tutto ciò viene interpretato in maniera simbolica (come ad es. la presenza del Cristo nell'eucarestia), lasciando alla libertà del singolo fedele il diritto di crederci o meno. In questo senso si può sostenere che mentre la corrente demitizzante potrebbe portare, se svolta in modo consequenziale, all'ateismo, quella simbolica porta invece al deismo filosofico o al panteismo.
Quali sono le conseguenze pratiche di questo sviluppo religioso del protestantesimo, relativamente ai rapporti col fenomeno scientifico? Anzitutto va considerato positivamente il fatto che, almeno sul piano intenzionale, i protestanti hanno con la scienza un rapporto più ideologico che politico (la scienza socialista può dialogare più facilmente con questa confessione). Resta però il fatto che la stragrande maggioranza dei protestanti ha acquisito, nei paesi capitalisti, la scienza borghese. Essi cioè, pur non pensando, giustamente, di far riconoscere alla scienza le classiche verità di fede, cercano però di farle ammettere i suoi limiti fondamentali, in forza dei quali la scienza stessa debba sentirsi in dovere d'essere giudicata. Il che vuol dire accettare la superiorità della scienza sulla religione, ma non la separazione ideologica. La superiorità è relativa, non assoluta, per cui la loro religione, in ultima istanza, si riserva di dire (con meno enfasi di quella cattolica) cose che la scienza non può dire.
Da un lato quindi la religione protestante permette alla scienza borghese di svilupparsi senza limiti, senza controlli di sorta, dall'altro si serve dei fallimenti di questa scienza per sostenere che la religione è migliore. Tuttavia, il protestantesimo, rispetto al cattolicesimo, si presta di più ad essere strumentalizzato dal potere borghese.
Discorso a parte andrebbe fatto per quei protestanti che pretendono di vivere una religiosità non razionale, cioè di tipo mistico, ai limiti del fanatismo..., oppure per quei protestanti che avvalorano tesi regressive servendosi di argomentazioni speculative (filosofiche o scientifiche): ad es. i Testimoni di Geova o la Chiesa Fondamentalista Americana, che presumono di servirsi di argomenti scientifici per sostenere la tesi "creazionista", opponendosi strenuamente all'evoluzionismo.
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La posizione ortodossa -prevalentemente vissuta nei paesi socialisti- può essere espressa nella formula S // R (Scienza e Religione marciano su binari separati). Gli ortodossi in genere accettano la separazione di scienza e religione, per quanto sia giusto dire che nell'ambito del socialismo, l'accettazione di tale separazione avviene a prescindere da questa o quella confessione. Non si può cioè dire che un ortodosso, solo perché ortodosso, accetti meglio di un cattolico, nell'ambito del socialismo, la separazione di Chiesa e Stato. Il problema è un altro. Gli ortodossi non hanno mai accettato alcun rapporto con la scienza e questa si è sviluppata prescindendo completamente dall'apporto dell'ortodossia. Essi non hanno mai formalizzato il discorso religioso come la Scolastica o come la teologia razionalista e liberale dei protestanti, né sono mai scesi a compromessi con la scienza accettando di rivedere le loro fondamentali verità di fede.
L'ortodossia è una religione tenacemente legata al proprio passato, alle tradizioni più antiche, alla patristica, all'autorità dei concili, all'esperienza liturgica, sacramentale, rituale... Gli ortodossi sono più "religiosi", sia rispetto ai cattolici, perché meno clericali, sia rispetto ai protestanti, perché meno razionalisti. Essi non conoscono i concordati né la moderna esegesi biblica. Per loro la religione è anzitutto fede, culto, tradizione, conciliarità, comunione ecclesiale. Gli ortodossi nei paesi socialisti, se accettano il regime di separazione (e la maggioranza di essi lo fa), sanno comportarsi adeguatamente come "cittadini" (laici) nello Stato e come "credenti" nella loro chiesa.

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SCIENZA, FEDE E RAGIONE
Roberto Renzetti - www.fisicamente.net
Religione, Magia e Scienza nel Rinascimento italiano. (Pubblicato, in forma ridotta, su "Sapere" di Dicembre 2001)
Galileo condannato e dileggiato una seconda volta! (Pubblicato su "Sapere")
Le cause del mancato sviluppo della scienza in Spagna. L'abbraccio mortale tra Stato e Chiesa (Pubblicato su "Sapere")
Bibliografia su "Fatti e misfatti della Chiesa di Roma"
Astrologia, Alchimia, Magia e Religione (alle loro origini note)
La Taxa Camarae di Leone X
Educazione al Cattolicesimo
La Chiesa Cattolica e la pena di morte
Il Signore Dio loro di Carlo Bernardini
Vaticano S.p.A. di Paolo Ojetti
Lettura laica della Bibbia
I sistemi di tortura della Santa Inquisizione da eretico.com
Come nacque la Bibbia (da disinformazione.it/Bibbia.htm) di David Donnini
Le macellerie cattoliche nella Grande Croazia di Karlheinz Deschner
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