giovedì 9 febbraio 2012

Ior, il Vaticano si difende


Padre Lombardi replica a chi mette in dubbio la volontà di trasparenza: «Stiamo collaborando con le autorità italiane». La Procura di Roma: «Trasferiti all’estero diversi milioni di euro».
Andrea Tornielli
Città del Vaticano
A pochi minuti dalla messa in onda della puntata de «Gli Intoccabili» su La 7 che la sera dell’8 febbraio ha dedicato la prima parte della trasmissione allo Ior, l’Istituto per le opere di religione comunemente definito «la banca del Papa», il Vaticano interviene per smentire alcune delle informazioni pubblicate negli ultimi giorni e in particolare un articolo del quotidiano italiano l’Unità. L’articolo, intitolato «Riciclaggio, quattro preti indagati. I silenzi del Vaticano sui controlli», rappresenta, ha dichiarato padre Federico Lombardi in una nota che cita il nome della giornalista, «una notevole mancanza di serietà di indagine da parte dell’autrice».
L’Unità, parlando di alcuni sacerdoti indagati dalla magistratura italiana per aver movimentato notevoli somme di denaro in conti presso banche italiane riconducibili allo Ior sosteneva – come poi ha fatto anche la trasmissione tv su La7 – che l’Aif, l’Autorità di vigilanza interna istituita dal Vaticano in applicazione delle nuove normative antiriciclaggio e presieduta dal cardinale Attilio Nicora, tranne che in un caso, «non avrebbe fornito a Banca d’Italia» le risposte richieste. In particolare, si cita il caso di don Emiliano Messina, prete della diocesi di Camerino, sul cui conto Ior avrebbe effettuato transazioni per almeno 300.000 euro una donna sotto il falso nome di «Maria Rossi». La donna si sarebbe presentata agli sportelli di una filiale italiana presentandosi come la madre di un avvocato a cui don Messina aveva dato la delega di operare sul suo conto. E tutto questo sarebbe avvenuto «con il beneplacito del direttore generale dello Ior Paolo Cipriani il quale – saranno le indagini a stabilire se in buona o in cattiva fede – risulta agli atti aver garantito in forma scritta alla banca sull’identità della falsa Maria Rossi».
«Come è noto alle Autorità italiane, e come risulta dalla documentazione accessibile agli ufficiali sia della Santa Sede, sia della Repubblica Italiana, l’Istituto Opere di Religione ha cooperato ripetutamente con le Autorità italiane ad ogni livello», ha puntualizzato il portavoce vaticano, e anche «in ambito giudiziario fra Autorità specificamente competenti e amministrativo da parte dello Ior con le sue controparti italiane». Lombardi dopo aver smentito con insolita durezza le accuse definite «diffamatorie», contestando la professionalità dei giornalisti che le hanno pubblicate, ha assicurato che «lo Ior ha fornito informazioni, anche al di fuori dei canali formali, nel periodo precedente la costituzione dell’Autorità vaticana di Informazione Finanziaria».
Nel merito delle vicende contestate, Lombardi ricorda che «la cooperazione del direttore generale dello Ior, Paolo Cipriani, è stata definita “tempestiva ed esaustiva in documenti di funzionari italiani”». Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede fa sapere inoltre di aver verificato con l’Aif tre precise circostanze: «non è vero che lo Ior non abbia fornito informazioni all’Aif» sulle materie in questione così come «non è vero che l’Aif non abbia inoltrato queste informazione all’Unità di Informazione Finanziaria italiana».
Ed infine, riguardo a una delle persone citate nell’articolo dell’Unità e quindi nella trasmissione su La7, don Messina, padre Lombardi rileva che «le Autorità italiane non hanno mai avanzato una richiesta all’Aif», che quindi non avrebbe potuto «rispondere» alla «sua controparte italiana», in mancanza di domande. «Tutti questi punti, relativi alle comunicazioni fra l’Aif e la controparte italiana, risultano nei documenti conservati dall’Aif con specifici numeri di protocollo», fa sapere Lombardi, lamentando anche l’utilizzo del termine «incriminato», in relazione al presidente dello Ior, professor Ettore Gotti Tedeschi, e al direttore generale, dottor Paolo Cipriani, perché «nè l’uno nè l’altro sono mai stati incriminati, ma piuttosto indagati».
La nota vaticana, bollando come «riciclate» le informazioni pubblicate da l’Unità, si chiede se l’articolo in questione «non costituisca una sorta di pubblicità per una trasmissione televisiva serale», cioè «Gli Intoccabili» su La7. In effetti, sempre l’8 febbraio, le agenzie di stampa italiane hanno rivelato, citando fonti della Procura di Roma, che lo Ior da circa un anno non è più cliente di banche italiane e ha trasferito buona parte delle sue attività in Germania. Proprio l’argomento ripreso in serata dalla trasmissione «Gli Intoccabili», che ha commentato anche un documento riservato, già pubblicato il 31 gennaio dal giornale italiano «Il Fatto Quotidiano». Si tratta di un «memo» che attesta l’esistenza di una discussione interna sul comportamento che deve tenere lo Ior di fronte alle richieste dell’Autorità di vigilanza vaticana sollecitata a fornire informazioni alle autorità inquirenti italiane.
Secondo «Il Fatto Quotidiano» e la trasmissione televisiva, il «memo» dimostrerebbe che le massime autorità d’Oltretevere, a dispetto delle pubbliche dichiarazioni sulla trasparenza, condividono l’idea comune di non collaborare con la giustizia italiana per quanto riguarda ciò che è successo allo Ior fino all’aprile 2011, cioè fino all’entrata in vigore delle nuove normative che porteranno la Santa Sede nella «white list» degli Stati virtuosi in materia di lotta al riciclaggio.
In realtà quel documento fotografa un passaggio della discussione interna, avvenuta tra i responsabili dello Ior, il Segretario di Stato Tarcisio Bertone e il cardinale Attilio Nicora presidente dell’Aif. Pur essendo un principio giuridico quello della non retroattività della legge sulla trasparenza, al termine della discussione, tutti si sarebbero trovati d’accordo sulla possibilità, a determinate condizioni, di rispondere alle richiesre dell’Aif anche se riguardano gli anni precedenti l’entrata in vigore delle nuove norme. Nella sua dichiarazione padre Lombardi ha assicurato che ciò è già avvenuto, anche prima dell’applicazione della nuova legge sulla trasparenza, istituendo la quale, per volontà di Benedetto XVI, il Vaticano intende entrare nella «white list» degli Stati virtuosi in materia di antiriciclaggio.