sabato 10 agosto 2013

I diritti calpestati in Siria, Turchia, Egitto, Tunisia

turchia
Dopo la cosiddetta “primavera araba”, dopo l’ascesa al potere dei partiti islamisti, dopo le manifestazioni di piazza laiche, qual è il futuro dei numerosi (e popolosi) paesi mediterranei a maggioranza musulmana? Se si scorrono i paesi dove vi sono turbolenze, si nota che siano formalmente “laici” ma caratterizzati da derive autoritarie.

In Siria è esplosa nel 2011 una guerra civile che vede contrapposti il regime del presidente alawita Bashar al-Assad e i vari gruppi di insorti, tra cui diversi islamisti che vogliono imporre la sharia, e per giunta a loro volta in lotta con le frange più democratiche dell’opposizione. Proprio in questi giorni è stato reso noto che un padre gesuita, Paolo Dall’Oglio, è stato rapito sembra da miliziani islamisti dell’opposizione. Il religioso era già stato espulso l’anno scorso dalla Siria perché contro il regime, ma era tornato durante la guerra civile e si era messo a fare da mediatore. Forse non del tutto consapevole dei rischi che poteva correre, tenendo presente la sua duplice funzione religiosa e “politica”.
 
"partito islamico di Erdogan che sta smantellando il sistema laico"

In Turchia, con il crollo del sultanato già nel 1923 fu imposta dai militari una repubblica autoritaria fortemente laica con Kemal Ataturk , ma negli ultimi anni si è vista l’ascesa al potere del partito islamico di Erdogan che sta smantellando il sistema laico e intaccando pesantemente i diritti civili. In risposta, da mesi ci sono proteste di piazza, specie con il caso dell’abbattimento di Gezi Park per far posto a varie strutture, tra cui una faraonica moschea.
 
In Tunisia, dopo l’indipendenza nel 1956, si afferma il governo autoritario di Habib Bourghiba che dà il via ad alcune riforme laiche (parità femminile, divieto del velo nelle scuole, apertura ad aborto e contraccezione) ma reprime duramente con la forza le contestazioni, sia degli islamisti sia delle forze laiche socialiste. Nel 1987 il potere passa al militare Zine el-Abidine Ben Ali, mentre cresce l’opposizione dei Fratelli Musulmani. Nel 2011 Ben Ali è costretto alla fuga e si afferma il partito Ennahda, emanazione proprio degli integralisti islamici che avevano combattuto il regime precedente. Il nuovo governo tenta di imporre delle contro-riforme confessionaliste e una stretta nella società, alcuni atei vengono condannati e frequenti disordini vengono scatenati dagli estremisti salafiti in occasione di episodi di presunta “immoralità”, come la proiezione del film laico dell’attivista Nadia El Fani. A questa deriva si oppongono gli altri partiti con imponenti mobilitazioni (anche questi giorni), ma non mancano scontri e uccisioni di leader d’opposizione.

In Egitto, con il crollo del regime autoritario e pseudo-laico di Hosni Mubarak a seguito della rivoluzione di piazza Tahrir spalleggiata dall’esercito, sale al potere il partito Libertà e Giustizia. Ovvero l’emanazione dei Fratelli Musulmani, forte della sua radicata e capillare rete di organizzazioni sociali e nonostante la repressione del governo. Mohamed Morsi, esponente degli islamisti, viene eletto presidente e con il suo governo prende il via il consueto smantellamento della laicità dello stato e dei diritti civili (specie quelli delle donne) che è nell’agenda degli integralisti religiosi. Sono diversi i casi di incriminazione per offesa alla religione e anche il blogger ateo e attivista politico, Alber Saber, viene condannato ed è costretto all’esilio. Continuano però le manifestazioni dell’opposizione tamarrod contro la deriva islamista e l’attribuzione di eccessivi poteri al governo. Seguono altri scontri e anche i militari intervengono, stavolta per deporre Morsi e dar il via a una transizione che esclude, con un golpe, i Fratelli Musulmani. Il rischio di una deriva militare è palpabile e desta le proteste della comunità internazionale, le proteste di piazza degli integralisti islamici vengono represse duramente con decine di morti.
 
"chi subisce la repressione potrebbe a sua volta scegliere strade violente"

Ieri Ian Buruma su Repubblica ha riproposto il sempiterno dilemma dei democratici, parlando proprio delle turbolenze nel mondo arabo. Fa notare che la repressione militare degli integralisti islamici crea un grave vulnus alla democrazia. Non solo, può infatti alimentare instabilità perché chi subisce la repressione potrebbe a sua volta scegliere strade violente per imporsi. Conveniamo sul fatto che anche gli estremisti abbiano un seguito di milioni di persone di cui bisogna tener conto, ma ci pare che Buruma sottovaluti i danni e i rischi dagli integralisti islamici (“forse non si trattava di perfetti democratici, né di individui particolarmente tolleranti verso chi ha delle opinioni diverse dalla loro”) e Morsi (le cui “tendenze dispotiche hanno forse danneggiato la democrazia”).
 
Interessante che faccia riferimento al divario esistente nei paesi in via di sviluppo tra “élite urbane, laiche e più o meno occidentalizzate” e “i poveri delle zone rurali”. Ne avevamo accennato parlando tempo fa del Bangladesh, come elemento utile per comprendere come le rivoluzioni che partono dalle città in questi paesi vengano poi “normalizzate” e confessionalizzate dalle componenti rurali più conservatrici. “Imporre un processo di modernizzazione secolare senza tener conto dei poveri e delle organizzazioni religiose” non funziona, fa notare Buruma. “In alternativa, si potrebbe lasciare che la democrazia faccia il proprio corso” e “consentire qualche forma di espressione religiosa nella vita pubblica”, perché in Medio Oriente “nessuna democrazia che non prenda in considerazione l’islam potrà mai funzionare”. Ma ricorda che bisogna anche garantire le libertà di opinione e i diritti che gli integralisti religiosi cercano sistematicamente di soffocare: “molti islamisti” “preferirebbero una democrazia illiberale a una democrazia liberale”. L’alternativa è “tornare alla tirannia illiberale”.
 
"se e quanto si può essere tolleranti con chi è strutturalmente intollerante?"

Buruma offre spunti interessanti sulla necessità del bilanciamento tra democrazia, libertà e diritti, ma non risponde alle domande fondamentali: può un sistema democratico accettare che al confronto elettorale partecipino anche coloro che vogliono abbatterlo, infiltrandosi nelle istituzioni grazie al voto e poi smantellandole dall’interno per imporre un regime dispotico? L’ascesa al potere del nazismo nel 1933 è un’eccezione alla regola, o un rischio sempre presente? Anche i nazisti purtroppo avevano un nutrito seguito nella società e hanno ottenuto un largo sostegno popolare, il tutto condito con diffuse violenze. Una volta eletto, Hitler ha demolito la democrazia e soffocato libertà e diritti, dando vita ad un regime totalitario che prevedeva l’eliminazione fisica di qualunque oppositore al suo progetto folle. Quindi se e quanto si può essere tolleranti con chi è strutturalmente intollerante?
Non è facile rispondere, né in un senso né nell’altro. Quel che è certo è che noi ci sentiamo “naturalmente” dalla parte dei giovani che scendono in piazza chiedendo che i loro stati siano democratici, laici, civili, rispettosi dei diritti umani. Quei giovani, molto probabilmente, rappresentano soltanto una minoranza nelle urne elettorali, e forse persino nella loro stessa fascia d’età. Ma rappresentano anche la parte più bella, e probabilmente anche l’unica vera speranza di quei paesi per uscire dall’integralismo e dal sottosviluppo.