sabato 24 agosto 2013

Stati Uniti: prove tecniche di multiculturalismo

Kerry
Il rapporto tra gli Stati Uniti e i culti religiosi è sempre stato controverso. Dal punto di vista della Costituzione la separazione tra la sfera istituzionale e quella religiosa viene sancita dal primo emendamento che, oltre a garantire ai cittadini la libertà di stampa e quella di parola, proibisce esplicitamente al Congresso, oltre che agli organi legislativi dei vari stati, di emanare leggi per il riconoscimento di qualsiasi religione. Ciò tuttavia non si traduce in una laicità veramente compiuta, gli USA sono e rimangono una nazione decisamente ancorata ad una visione teistica, al punto che si ritrovano riferimenti a Dio ovunque, dalle banconote ai giuramenti ufficiali. Del resto, la colonizzazione di quell’area è pur sempre partita con i religiosi della Mayflower.

 
"la legge proibisce l’accesso a cariche pubbliche a chi neghi l’esistenza di Dio"

Particolarmente avversati sono i non credenti, percepiti generalmente come persone da emarginare e addirittura discriminati ufficialmente da ben sette stati del sud; in questi, infatti, la legge proibisce l’accesso a cariche pubbliche a chi neghi l’esistenza di Dio. Significativo a tal proposito quanto disse l’ex presidente George W. Bush rispondendo ad un giornalista: «Non credo che gli atei dovrebbero essere considerati cittadini». Radicalmente diverso l’approccio di Barack Obama, ad oggi l’unico presidente che abbia citato i non credenti ponendoli sullo stesso piano dei credenti, e per giunta nel suo discorso d’insediamento: «Siamo una nazione di cristiani e musulmani, di ebrei e indù… e di non credenti».

Oggi, però, proprio l’amministrazione Obama sembra aver intrapreso una strada nettamente in contrasto con il contenuto di quel discorso. Il Segretario di Stato, John Kerry, ha appena annunciato l’istituzione di un “Ufficio per i rapporti con le comunità di fede” pensato per rivolgersi alle comunità religiose di tutto il mondo. Secondo Kerry ci sono punti in comune tra le religioni abramitiche, e tra queste e tutte le altre religioni e filosofie, «che si parli di indù, o confuciani, o qualunque altro dei tanti approcci alla nostra esistenza terrena e alla nostra relazione con un essere supremo». È evidente che chi non si relaziona con un essere supremo non è nemmeno preso in considerazione. La direzione di questo ufficio è stata affidata a Shaun Casey, docente di etica cristiana al Wesley Theological Seminary, un’organizzazione universitaria protestante.
 
"4/5 della popolazione mondiale vedono tutti gli aspetti della vita attraverso “un prisma di fede” "

A sentire puzza di bruciato in questa operazione è Austin Dacey, rappresentante presso le Nazioni Unite dell’IHEU, federazione internazionale umanista di cui anche l’Uaar fa parte. Dacey sostiene che questa baracca sembra essere stata pensata apposta per emarginare ulteriormente i non credenti, e lo fa in un articolo in cui spiega alcuni punti discutibili dell’iniziativa. Dacey inizia citando un articolo di qualche mese fa di in cui la giornalista Amy Frykholm faceva notare che il lavoro di coinvolgimento delle comunità religiose iniziò quando a capo della diplomazia statunitense c’era Hillary Clinton. Su iniziativa della ex first lady venne costituito, in seno al Congresso, un gruppo di lavoro su Religione e Politica Estera che lo scorso ottobre presentò un libro bianco in cui proponeva l’istituzione di un ufficio permanente, quello che appunto ha adesso istituito Kerry. In quel documento si poneva l’accento sul fatto che 4/5 della popolazione mondiale vedono tutti gli aspetti della vita attraverso “un prisma di fede”, e che sebbene la fede sia spesso causa di conflitti, essa contribuisce al bene della società civile e può promuovere “il progresso umano e la coesistenza pacifica”.
 
Infine, il libro bianco chiudeva con il consiglio di sviluppare apposite linee guida in ottemperanza al primo emendamento della Costituzione. Questa è secondo Casey la parte più sospetta, perché denota che la preoccupazione di contravvenire alla Costituzione è effettivamente fondata. Finora vi sono state interpretazioni diverse in questo senso, Casey cita in particolare un giudice della Corte Suprema (O’Connor) secondo cui quando un governo intrattiene eccessivamente rapporti con le religioni si è in presenza di una violazione del primo emendamento, in quanto si trasmette il messaggio che chi non è affiliato ad alcuna religione non fa pienamente parte della comunità politica. D’altro canto, però, c’è anche un precedente di segno opposto; una causa intentata da Freedom From Religion Foundation contro un ufficio che aveva organizzato un programma di supporto rivolto a comunità religiose, e in quel caso la Corte Suprema non ravvisò violazioni del primo emendamento in quanto non vi era stato un finanziamento diretto da parte di organi legislativi.
 
"che ne è di quel quinto di cittadini che non appartengono ad alcuna religione?"

Rimane il fatto che l’istituzione di canali di dialogo nei confronti delle religioni comporta necessariamente il riconoscimento indiretto di alcune religioni ed il disconoscimento di fatto di altre. Ma chi può stabilire, in modo oggettivo, quando un gruppo di cittadini, o un’associazione, che magari ha formulato un minimo di regole dottrinali, sia da considerare una religione e quindi in un ente che può rapportarsi con lo Stato? Se la distinzione viene fatta in modo arbitrario allora si è non solo in presenza di una violazione della Costituzione, ma addirittura di una patente forma di discriminazione. È quello che avviene in Italia con il sistema delle intese, dove è il governo a decidere con chi e in che tempi addivenire ad un’intesa con lo Stato, e infatti all’Uaar l’intesa è stata negata basandosi sull’assunto che non rappresenta una religione. Inoltre, rapportarsi con una religione significa anche individuare degli interlocutori, e anche in questo caso non è affatto detto che il procedimento sia semplice e scevro da problemi. E infine, domanda fondamentale, che ne è di quel quinto di cittadini che non appartengono ad alcuna religione? Evidentemente rimangono tagliati fuori da questa iniziativa, e se questa non è discriminazione cos’altro potrebbe esserlo?