martedì 20 agosto 2013

Medio oriente: si moltiplicano gli scontri interconfessionali

Funerale_islamista
Difficile allo stato attuale azzardare un quadro sintetico ed esaustivo dei disordini in atto un po’ in tutta la regione mediorientale/magrebina e dei loro riflessi in campo internazionale. Dal 2011 in Egitto il potere è passato di mano per ben tre volte e in corrispondenza di ogni avvicendamento al vertice c’è stato anche un avvicendamento tra i rivoltosi. Il regime di Hosni Mubarak si concluse a seguito delle contestazioni di piazza con le dimissioni del presidente e con nuove elezioni democratiche. Il responso delle urne premiò, nemmeno tanto sorprendentemente, il movimento islamista dei Fratelli Musulmani rappresentato dal partito Libertà e Giustizia e dal suo leader Mohamed Morsi. Dopo meno di due anni anche la presidenza Morsi è terminata con la rivolta dei suoi oppositori, ma stavolta l’esercito è intervenuto contro il presidente e al posto delle dimissioni c’è stato l’arresto di Morsi.

"L’odio religioso si conferma dunque ingrediente principale"

Ma i fedeli a Morsi non ci stanno e adesso gli scontri sono tra gli islamisti da una parte e l’esercito nelle mani del Generale Sisi dall’altra. Viste le caratteristiche delle parti in campo non ci si potevano certo aspettare delle manifestazioni pacifiche, e infatti il sangue scorre a fiumi. Il 14 agosto le forze di sicurezza hanno sgomberato con la forza i sit-in organizzati dai manifestanti pro-Morsi e il bilancio è tragico: più di 500 morti secondo le fonti ufficiali, migliaia secondo i leader degli islamisti che, a distanza di due giorni, chiamano a raccolta tutti i sostenitori proclamando il “Giorno della rabbia”. Perfino le moschee si trasformano in covo di ribelli e teatro di scontri tra esercito e manifestanti. Nuovi scontri e ancora morti, rigorosamente all’insegna del fondamentalismo religioso, tant’è che a farne le spese sono anche i cristiani copti, oltre che di altre confessioni minoritarie, ritenuti tra i principali responsabili della deposizione di Morsi. L’odio religioso si conferma dunque ingrediente principale dell’escalation di violenza; il principio è il solito “chi non è con me è contro di me”, da sempre presente in qualunque gruppo ideologico omogeneo a cominciare da quelli su base confessionale e/o etnica.

Volgendo lo sguardo altrove ci si rende ulteriormente conto di quanto la rivalità tra diverse confessioni rappresenti non benzina almeno paglia su cui poggiano insofferenza, contestazioni e disordini. Basta una scintilla per far scoppiare il fuoco e generare battaglie che possono sfociare in veri e propri massacri. E certamente nella fase di forte instabilità che permea tutto il cosiddetto mondo arabo le scintille non mancano. Sunniti e sciiti, i due principali rami della religione musulmana, cercano di approfittare della situazione per espandere le rispettive aree di influenza, e naturalmente non lo fanno certo con la diplomazia. In Iraq i sunniti hanno fatto esplodere 10 auto in vari quartieri a maggioranza sciita mietendo oltre 70 vittime, in Pakistan la tensione tra sciiti e sunniti è alla base di una serie di attacchi kamikaze che solo nel mese di agosto hanno ucciso circa 40 persone, la maggior parte delle quali partecipavano ad un funerale sciita. Ma tutta l’area mediorientale è interessata dal conflitto interconfessionale, a cominciare da Siria e Libano dove gli attentati non si contano neanche più, passando da Tunisia e Yemen per finire in Bahrein dove le forze dell’ordine sono intervenute per disperdere una manifestazione di sciiti contro la famiglia reale sunnita.
 
"non può esserci democrazia senza un minimo di laicità"

E intanto il mondo è semplicemente impotente. Sembra proprio non esserci modo di avviare un processo di democratizzazione in questa parte del globo e il motivo è anche abbastanza semplice: non può esserci democrazia senza un minimo di laicità. Fintanto che una parte consistente della popolazione continuerà a sostenere gruppi fondamentalisti religiosi, il cui unico obbiettivo è la disintegrazione di qualunque altra concezione del mondo, sarà difficile la nascita di uno stato di diritto perché qualunque processo democratico avrebbe altissime chance di concludersi con l’ascesa al potere dei fondamentalisti.  E con i fondamentalisti al potere la democrazia è destinata a sparire nel giro di breve tempo. È successo vent’anni fa in Algeria con l’affermazione del Fronte Islamico di Salvezza, è successo in Tunisia con la vittoria di Ennahda ed è successo in Egitto con il partito di Morsi.
 
Come abbiamo già avuto modo di dire, nessuna democrazia può ammettere alla competizione elettorale una forza politica che mira alla distruzione della democrazia stessa, e noi italiani in particolare dovremmo esserne consci perché è proprio per questo motivo che nella nostra costituzione è stato inserito il divieto di riorganizzazione del partito fascista. Ma l’Italia post bellica era comunque uno stato con forti vocazioni democratiche, cosa che allo stato attuale non si può certo dire dell’Egitto in cui anche la sola ipotesi di mettere fuori legge la Fratellanza musulmana potrebbe portare ad un inasprimento dei conflitti, o a «conseguenze devastanti» per dirla con le parole del ministro degli Esteri Emma Bonino. L’unica alternativa per ora, e non si può sapere fino a quando, sembra essere tra un regime militare e un regime fondamentalista. Gli scontri intraconfessionali e interconfessionali che continuano ad affliggere l’umanità dovrebbero far riflettere su affermazioni gratuite che escono dalle labbra di politici, oltre che ovviamente da quelle di capi religiosi: no, non sembra davvero che l’ateismo e l’agnosticismo siano fenomeni perversi che minacciano la società, né tantomeno che in loro nome sia o sia mai stata combattuta alcuna guerra.