lunedì 20 febbraio 2012

L’ICI E IL NIPOTE DEL CARDINALE

Nella trattativa con il governo il Vaticano ha un dirigente del Tesoro di fiducia.


 Quando si dice la persona giusta al posto giusto. Si chiama Enrico Martino ed è il direttore generale per i rapporti internazionali del Dipartimento Finanze, cioé l’ uomo che dovrebbe curare gli interessi dello Stato italiano nella partita dell’ Ici sugli immobili della Chiesa. Questo 46enne esperto di fisco però è anche il nipote del cardinale Renato Raffaele Martino, fino al 2009 Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e dal 2010 Gran Priore del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.
 
Martino jr ovviamente non cura solo le questioni fiscali tra Italia e Santa Sede ma tutte le trattative tra il nostro Paese e quelli stranieri. Per esempio nel novembre del 2009 ha partecipato agli incontri con la delegazione panamense per il trattato contro la doppia tassazione tra Italia e Panama, del quale Il Fatto si è occupato perché era stato seguito con grande apprensione anche dall’amico dei due presidenti firmatari (Berlusconi e Martinelli): Valter Lavitola. Quel trattato, molto utile a Panama per uscire dalla lista dei paradisi fiscali, fortunatamente non è mai stato ratificato dal Parlamento italiano. Intanto l’ufficio diretto da Martino continuava a occuparsi della trattativa con il Vaticano per l’Ici. E per questo il suo nome è citato in una lettera confidenziale scritta dal presidente dello Ior, la banca del Vaticano, Ettore Gotti Tedeschi, e indirizzata il 30 settembre scorso al Segretario di Stato del Vaticano, il Cardinale Tarcisio Bertone. Nella lettera, mostrata velocemente in tv durante la trasmissione Gli Intoccabili, Gotti Tedeschi delinea la strategia concordata con l’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti per limitare i danni per Italia e Vaticano dall’azione europea sul fronte dell’Ici.

“Su denuncia del mondo radicale”, scrive il banchiere al cardinale, “la Comunità Europea viene spinta a contestare l’esenzione Ici sugli immobili della Chiesa non utilizzati per fini religiosi (....) nel 2010 la CE avvia una procedura contro lo Stato italiano per ‘aiuti di stato’ non accettabili alla Chiesa Cattolica. Detta procedura evidenzia oggi una posizione di rischio di condanna per l’Italia e una conseguente imposizione di recupero delle imposte non pagate dal 2005. Dette imposte [parliamo di centinaia di milioni di euro ed è questo il punto delicato della questione secondo Gotti Tedeschi, ndr] deve pagarle lo Stato italiano che si rifarà sulla CEI (si suppone) ma non è chiaro con chi per Enti e Congregazioni”. Il banchiere spiega poi a Bertone quali sono le mosse concordate con Tremonti (allora ministro) per evitare che Stato italiano chieda indietro l’Ici sugli anni 2005-2011: “Modificare la vecchia norma che viene contestata dalla Comunità Europea per produrre una nuova norma che definisca una categoria per gli edifici religiosi e crei un criterio di classificazione e definizione della natura commerciale (secondo superficie, tempo di utilizzo e ricavo)”. In pratica Gotti Tedeschi perora un compromesso onorevole che eviti guai peggiori. La rinuncia concordata al regime attuale più favorevole frutterebbe alla Santa Sede una sorta di sanatoria per il periodo che val dal 2005 al 2011. Però, aggiunge il banchiere, bisogna sbrigarsi perché l’Unione Europea, dopo quasi due anni di procedura, ha finito la sua pazienza: “Il tempo disponibile per interloquire è molto limitato. Il responsabile della Cei (Conferenza episcopale italiana) che finora si è occupato della procedura è monsignor Mauro Rivella. Ci viene suggerito di incoraggiarlo ad accelerare un tavolo di discussione conclusiva dopo aver chiarito la volontà dei vertici della Santa Sede. L’interlocutore all’interno del Ministero (in realtà Dipartimento Ndr) Finanze - prosegue Gotti Tedeschi nella lettera a Bertone - è Enrico Martino (nipote del Cardinale Martino)”. Perché il banchiere vaticano senta il bisogno di ricordare la parentela tra il dirigente che segue la pratica per conto dello Stato italiano e il cardinale resta un mistero. Una cosa è certa, anche se Martino è certamente un tecnico di alto livello (è stato assunto dall’Agenzia delle Entrate ai tempi del centrosinistra e proveniva da una società di consulenza dove era senior manager) non si può fare a meno di notare che quella citazione in una lettera riservata al capo del governo vaticano, non è per lui un buon biglietto da visita nella trattativa tra Italia e Santa Sede.

Probabilmente il gettito che potrebbe arrivare dalla modifica dell’Ici per gli immobili della Chiesa non è così alto come favoleggiano i comuni (l’intera Ici rende solo 9 miliardi e la previsione di incasso di 600 milioni per gli immobili commerciali della Chiesa è fuori dalla realtà) ma sicuramente si tratta di una questione delicata. Anche perché la soluzione delineata dal presidente Mario Monti il 15 febbraio scorso (“esenzione limitata alla sola frazione nella quale si svolga l’attività di natura non commerciale e introduzione di un meccanismo di dichiarazione vincolata a direttive rigorose stabilite dal ministro dell’Economia circa l’individuazione del rapporto proporzionale tra attività commerciali e non commerciali esercitate all’interno di uno stesso immobile”) sembra ricalcare proprio quanto auspicato dal Vaticano nella lettera segreta del settembre scorso.

Marco Lillo - 19 febbraio 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
http://apocalisselaica.net/focus/la-piovra-cattolica/l-ici-e-il-nipote-del-cardinale