lunedì 29 ottobre 2012

La terza rivoluzione della biologia

Gli scienziati annunciano la realizzazione in tempi brevi di organismi viventi del tutto nuovi, mai esistiti in natura. Agricoltura, farmacologia e medicina non saranno più le stesse

Qualcuno l’ha definita «la terza rivoluzione» nella storia della biologia contemporanea. Qualcun altro, addirittura, «la nuova creazione». Ma loro, i protagonisti del grande cambiamento, gli scienziati, preferiscono chiamarla “biologia sintetica” quella promessa di realizzare in breve tempo nuovi organismi viventi con nuove funzioni. Organismi che non esistono e non sono mai esistititi in natura. Che annunciano, appunto, una rivoluzione in agricoltura, in farmacologia, in medicina che cambierà la nostra, di vita. Diciamo subito che l’idea di inventare – perché creare non è solo una parola forte, è una parola fuori luogo – nuovi organismi viventi non è nuova. In un bel libro, Le sfide della biologia sintetica e la fine del naturale, pubblicato di recente con l’editore Ibis, i biologi dell’università di Pavia Carlo Albero Redi e Silvia Garagna, insieme con la giornalista Gianna Milano, ricordano che già nel 1787 il grande poeta e naturalista Johann Wolfgang von Goethe, giunto a Napoli nel corso del suo itinerario italiano, sosteneva di essere in procinto di realizzare una nuova pianta artificiale, una «pianta originaria» che «sarà la più straordinaria creazione del mondo, e la natura stessa me la invidierà» perché servirà da modello per «inventare piante all’infinito». Non si trattava di mera ibridazione. Ma di inventare – a partire da quello che il poeta chiama germe – piante completamente nuove. Goethe non riuscirà nel suo intento. E tuttavia la grande ambizione non tramonterà. I biologi hanno continuato a vagheggiare l’ipotesi di poter inventare “nuova vita”, magari con più metodo e con una maggiore conoscenza di come funzionano i sistemi viventi in natura.

A chiarire le idee di «come fare» e a indirizzare la ricerche in un ambito più strettamente scientifico sarà il biologo francese Stephane Leduc, che nel 1912, pubblica un libro intitolato La Biologie Syntetique, la biologia sintetica. Lungo il loro percorso di sviluppo, tutte le scienze, sostiene Leduc, passano attraverso tre stadi: la descrizione, l’analisi e la sintesi dei fenomeni studiati. Ebbene, continua il francese, all’inizio del XX secolo la biologia sta passando dalla fase della descrizione alla fase dell’analisi puntuale dei fenomeni osservati, ma verrà il giorno in cui i meccanismi della vita saranno così ben conosciuti da consentire il passaggio alla terza e ultima fase, la sintesi in laboratorio di nuovi organismi viventi (capaci di autoreplicarsi) e di nuove funzioni biologiche. Entreremo allora nell’era della biologia sintetica. La fase dell’analisi è durata più a lungo del previsto. Ma nell’ultimo secolo sono nate e si sono sviluppate la genetica, la biochimica, la biologia molecolare. I biologi hanno individuato e srotolato il “codice della vita”. Hanno capito i meccanismi più intimi sia della complessa gestione dell’informazione genetica e del dialogo tra Dna, Rna, proteine e ambiente che consente agli organismi di vivere e di riprodursi, sia si evolvere e di cambiare nel tempo adattandosi alle modifiche dell’ambiente. Cosicché, una decina di anni fa, alcuni biologi si sono detti finalmente pronti a passare alla terza fase, sperimentale, dell’evoluzione delle scienze biologiche: la sintesi.

Sono nati così gruppi di ricerca e istituti dediti alla Biologie Syntetique. In dieci anni sono stati raggiunti anche risultati importanti. Già nel 2002, per esempio, i ricercatori della Suny Stony Brook hanno sintetizzato in laboratorio l’intero genoma di un virus, inanellando con ordine e precisione le sue 7.741 basi. Più di recente, nel 2010, Craig Venter e Hamilton Smith hanno ottenuto la sintesi in laboratorio di un intero organismo vivente, il Mycoplasma micoides, capace di vivere e di riprodursi. Craig Venter ha salutato il batterio nato in laboratorio come il primo esempio di “vita artificiale”.

Il coronamento, sia pure a livello microbico, del sogno di Goethe. In realtà non è proprio così. Venter e Smith non hanno inventato “nuova vita”, hanno copiato in laboratorio una forma di vita già esistente. È come se un ingegnere spione avesse ricopiato in laboratorio il televisore di un’azienda concorrente, ricostruendolo pezzo per pezzo e in maniera perfettamente ordinata. Ma la grande sfida della biologia sintetica non è quella di copiare la vita già esistente. La grande sfida è creare organismi viventi del tutto nuovi, che non esistono in natura. L’approccio che viene considerato più promettente è quello che parte dal basso (bottom-up). Funziona, più o meno, così: immaginiamo di stare nel laboratorio del nostro ingegnere, che ha smontato e magari copiato vari pezzi di diversi televisori e, magari, di proiettori, computer e quant’altro. In termini biologici ha allestito uno scaffale con pezzi di Dna, di Rna, di proteine, di altre molecole. La sfida, per un ingegnere elettronico come per un biologo, è mettere insieme queste parti per costruire un nuovo oggetto, che non esiste. La differenza è che gli ingegneri elettronici sanno come fare. Hanno delle leggi esatte cui riferirsi, conoscono le interazioni tra i circuiti. Ma i bioingegneri non sanno ancora precisamente come fare. Non sanno come legare con estrema precisione tra loro le diverse “parti” per ottenere le funzioni desiderate. Non hanno leggi esatte e principi di base a guidarli. E infatti i biotecnologi hanno ottenuto miriadi di “organismi geneticamente modificati”, ma nessuno è mai riuscito a realizzare un organismo vivente davvero nuovo. Secondo gli scettici il lavoro di biologi di sintesi allo scaffale delle “parti” è del tutto inutile. Non riusciranno mai nel loro intento: la vita, dicono, è troppo complessa per essere inventata.

Ma la gran parte pensa che prima o poi ci si riuscirà. Che la biologia sintetica è una cosa seria. E che sia una cosa seria lo dimostrano almeno quattro fatti. Il primo è che la biologia sintetica è già diventata un gioco. Da dieci anni la International genetically engineered machine consegna a studenti di biologia un fornito scaffale di “parti” e li invita a realizzare nuovi oggetti biologici o, al limite, nuovi organismi che funzionano. Alla prima gara, nel 2004, parteciparono pochi studenti del Mit di Boston divisi in 5 gruppi. Quest’anno partecipano 3mila studenti divisi in 190 squadre provenienti da 34 diversi Paesi. Il secondo fatto è che la biologia sintetica ha destato il forte interesse dei servizi segreti e delle autorità preposte alla biosicurezza: il timore è che alcuni tra i “nuovi organismi” possano diventare “nuove armi”. Il terzo fatto è che la biologia sintetica ha destato l’interesse anche dei bioeticisti. Alcuni la considerano un “ponte verso il futuro”. Altri, appunto, la manifestazione finale di arroganza dei nuovi Prometeo che vogliono sottrarre a Dio il segreto della vita. Il quarto fatto ci riguarda da vicino. In Italia si parla ancora poco di biologia sintetica. Ma in Francia hanno nominato ministro dell’Istruzione Superiore e della Ricerca, proprio un’esperta di biologia di sintesi, Geneviève Fioraso. Nessuno tra i protagonisti di questi quattro fatti ha completamente torto o ragione. Né chi gioca, né chi si preoccupa, né che investe risorse finanziarie e umane nella «terza rivoluzione della biologia». Tutti, però, ci ricordano che quella di sintesi è una biologia di là da venire, ma è una biologia molto seria. Che è necessario parlarne, perché tutti siano informati di ciò che accade. E tutti possiamo partecipare, in qualche modo, alla partita. Per imparare come si fa. Per distribuire le opportunità. E per impedire a chiunque di giocare sporco o di impossessarsi del gioco.

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