sabato 10 marzo 2012

Trapani: l’odore dei soldi dentro le stanze della chiesa trapanese

Il Vaticano pronto a rimuovere un vescovo che ha denunciato i malaffari di un sacerdote
di Rino Giacalone - 10 marzo 2012
Non è proprio un bel periodo per le sacre stanze del Vaticano e Papa Benedetto XVI si trova a rifare i conti con una indagine della magistratura rispetto alla quale però il comportamento delle tonache eccellenti è di parecchio fastidio.
La storia non è nuova e lo scorso 8 marzo pare essere giunta ad una svolta, nello stesso giorno in cui l’anno scorso era esplosa con un lancio di agenzia che annunciava come gli investigatori della sezione di pg della Finanza avevano deciso di andare a guardare tra i conti di alcune fondazioni appartenenti alla Diocesi di Trapani che secondo notizie giornalistiche nella fase della fusione avevano visto volatilizzarsi ben 1 milione di euro.

Tutto cominciò per un “barattolo di nutella”. Scherzo? No fu davvero così. Perché dopo che per decenni la gestione delle fondazioni di assistenza era stata lontana da ogni attenzione, di colpo questa si materializzò quando l’amministratore decise di togliere la famosa nutella dalla mensa dei giovanissimi assistiti e face mettere una sottomarca. Era quello il modo per potere mal parlare di questo amministratore che non era altro che il cognato del vescovo della Diocesi, Francesco Miccichè. Ora nutella a parte, per decenni, ma ancora oggi, degli ospiti sfortunati e sventurati che sono passati per le due fondazioni di assistenza non è che in giro ci sia stata tanta attenzione. Se non quando nell’arco di tanti anni e sotto la gestione di tanti vescovi c’erano i soliti che andavano a bussare alla porta degli alti prelati per chiedere raccomandazioni e posti di lavoro. Perché nel contesto della società a quello servivano le fondazioni, ossia garantire posti di lavoro e qualche burattinaio ne guadagnava anche qualcosa. Ma di questo non troverete nulla di scritto. Niente scandali. Per la nutella si.
Un quadro scandalistico che cominciò a puntare dritto contro il vescovo Francesco Miccichè che nel frattempo in città aveva avuto modo di non mandarle a dire rispetto alla presenza della mafia e della massoneria nelle stanze del potere cittadino, a proposito della gestione della famosissima processione dei Misteri del venerdì santo, facendo togliere dalla processione la sfilata degli incappucciati che per quanto antica di secoli rappresentava in città anche altro. Il vescovo Miccichè se le era presa anche male quando nelle giornate di Pasqua, 24 ore dopo la conclusione della processione, che comincia alle 14 del venerdì santo per concludersi alle 14 di 24 ore dopo, le chiese invece non erano così particolarmente affollate come se la Pasqua per i trapanesi fosse quel rito che raccontava la morte di un uomo, e non la resurrezione di quest’uomo, e così andò a rispolverare un altro rito che si svolgeva in una delle chiese più antiche della città che riproponeva la deposizione dalla croce e quindi la resurrezione. Ecco tutto questo poco a poco divenne occasione per mettere alla berlina quel vescovo cui piaceva avere la celebrazione del Venerdì santo quanto anche la celebrazione della resurrezione di Pasqua. E gli appelli e gli inviti a essere contro mafia, massoneria e poteri forti? No quelli ufficialmente nessuno li commentava in città. Le voci di corridoio si, e si raccontò di una celebre parentela che mons. Miccichè avrebbe dovuto avere, con Giovanni Brusca, il boss mafioso capo della cosca di San Giuseppe Jato, il paese di mons. Miccichè. Lui per la verità non aveva fatto un buon esordio quando si presentò alla città e a chi gli chiese se avesse mai incontrato la mafia, lui rispose che questa “signora mafia” lui non l’aveva mai incontrata. Musica per le orecchie di una Trapani che ha sempre negato l’esistenza della mafia, ma presto quel vescovo nonostante questo cominciò a non piacere più. E una precisa pietra dello scandalo divenne la nomina da parte sua di un suo cognato ad amministratore delle fondazioni di assistenza.
Questa la premessa. Dicevamo dell’8 marzo dello scorso anno. Nel corso di questi 12 mesi le cose rispetto a quella notizia battuta dall’agenzia hanno conosciuto ben altra evoluzione, e nemmeno tanto tempo dopo quel lancio di agenzia,  e a scorrere gli atti della magistratura, a far male non era il vescovo di Trapani Miccichè ma un sacerdote, padre Ninni Treppiedi, per qualche periodo fedele braccio destro dello stesso vescovo, direttore di uffici delicati, e poi diventato monsignore andando a guidare una delle chiese più importanti della provincia di Trapani, quella di Alcamo. Le voci contro il vescovo, a  proposito di quell’ammanco, sarebbero state fatte finire sulla stampa apposta da monsignore Treppiedi forse perché sperava di coprire le sue di malefatte, tanto da essere lui oggi indagato, e non il vescovo, assieme ad una decina di persone, per una lunga sfilza di accuse, dalla calunnia alla truffa, dalla diffamazione all’appropriazione indebita, e questo dopo che monsignore Miccichè aprendo di colpo gli occhi, certo con ritardo, sul lavoro svolto dal suo ex collaboratore, cominciando a scoprire atti e rogiti con firme false, cessione di fabbricati, terreni e immobili a sua insaputa, non tanto per dire, si era deciso di presentare una denuncia alla Procura di Trapani che nel frattempo a proposito dell’ammanco di un milione di euro “ricavato” dalla fusione delle due fondazioni della Diocesi non scopriva nulla di fuori posto, e restava pure in attesa anche che chi si era occupato dello scandalo, portasse quei documenti super segreti dei quali si era dichiarato il possesso, e invece non solo queste carte non sarebbero mai arrivate, ma i magistrati più tempo passava più trovavano grossi buchi nella gestione di padre Treppiedi, intanto sospeso dalla Diocesi, sia quando era a Trapani, sia quando si ritrovò ad Alcamo. Ad un anno di distanza dall’esplodere dello scandalo pare che la conclusione sia vicina.
E qui c’è un altro capitolo da cominciare a scrivere. Ad annunciare imminenti decisioni non è stato nemmeno il Vaticano, che per vederci chiaro proprio l’anno scorso nominò un “visitatore apostolico”, una sorta di “ispettore”, il vescovo di Mazara mons. Domenico Mogavero, ma addirittura un avvocato, non l’avvocato nominato dal vescovo Miccichè individuato dalla Procura parte lesa, ma il difensore di mons. Treppiedi. L’avv. Vito Galluffo, peraltro storico esponente del Partito Socialista, e che in altri tempi era stato anche legale di mons. Miccichè a proposito ancora di rapporti tumultuosi con la stampa, stavolta un avvocato nella parte di “accusatore” del vescovo: in Tribunale ha dato annuncio, parlando con un paio di magistrati e giudici, e nemmeno tanto a bassa voce, della imminente rimozione di mons. Miccichè. Se in Curia a Trapani nessuno dice di sapere nulla, a sapere qualcosa è addirittura il difensore del principale indagato dello scandalo che ha scosso e non poco le mura della chiesa trapanese. E non viene difficile pensare che la voce dal sen fuggita sia giunta all’avv. Galluffo solo perché passata per le orecchie di Ninni Treppiedi il sacerdote (che forse non può definirsi più tale, ma di questo nessuno parla e nessuna voce fugge via) che durante le indagini, ma anche quando era in auge in città, non avrebbe mai nascosto i suoi buoni rapporti con gli alti vertici della Chiesa Romana, tanto per esempio da potersi permettere, lui semplice sacerdote, di tenere un conto corrente aperto presso lo Ior, la banca vaticana, possibilità concessa solo ad alti prelati. Profumo di soldi dentro questa storia ce ne è tanto. Odore forte che stona con quello di una chiesa che tra la sua attività principale ha quella della carità. E invece fiumi di denaro secondo le indagini della Procura trapanese sarebbero passate tra le mani sbagliate, tra le mani di soggetti, come Treppiedi, che da una parte si sarebbero battuti il petto e però con le stesse mani firmavano assegni e riscuotevano denaro che in qualche caso avrebbero riscorso grazie a particolari conoscenze presso sportelli bancari. Non è un caso che abile a fare queste manovre contabili sarebbe stato proprio Treppiedi, che avrebbe profittato dell’esperienza del padre, ex funzionario di banca.
Una chiesa quella di Trapani che non è stata mai del tutto brillante sul fronte dell’impegno antimafia in una città dove la presenza di Cosa nostra e del malaffare non sono state mai avvertite come vera emergenza. Mons. Miccichè ha provato in tutti i modi a porre la Chiesa di Trapani sulle barricate contro mafia, massoneria e poteri forti, ma da quando decise di “accogliere” padre Treppiedi, apprezzandone per lungo tempo quello che lui riteneva essere una preparazione eccellente a servizio della Diocesi, tutta una serie di tensioni cominciarono ad affievolirsi e padre Treppiedi divenne anche famoso quando un giorno per un settimanale locale scrisse un articolo protestando contro un servizio tv su Trapani andato in onda all’interno di un programma di Michele Santoro. Il segnale era quello che dentro la Chiesa si era tornato all’antico e mons. Miccichè che di questo comportamento non ebbe a lamentarsi era come se avesse rivisto le sue posizioni. La Curia con padre Treppiedi in prima linea cominciò ad essere frequentata da politici – di centrodestra – importanti, come il senatore D’Alì, ex sottosegretario all’interno, non era difficile incontrare padre Treppiedi nelle stanze e nei salotti che contano, si divideva tra la sua chiesa di Xitta, gli uffici della Curia, le aule, diceva lui, della pontificia università (che però ne ha smentito appartenenza e insegnamento), e le barche di vip e supervip come Briatore spesso di quei tempi presente nelle Egadi. Piano strategico quello di mons. Treppiedi? Può darsi. Non si trattava solo di accattivarsi la fiducia del vescovo e aspirare a fare carriera veloce perché forse il suo più forte alleato dentro la chiesa non si è mai chiamato Francesco Miccichè, ma cardinale Romeo, e nella politica mons. Treppiedi la persona con la quale spesso si trovava in compagnia era il senatore Tonino D’Alì; secondo quello che emerge dalle indagini della Procura di Trapani padre, o ex tale, Ninni  Treppiedi avrebbe messo in piedi un sistema di potere e di controllo che gli sarebbe servito semplicemente …ad arricchirsi. Ragioni per denunciarlo il vescovo di Trapani, mons. Miccichè, ne avrebbe avuto perciò diverse, il Vaticano ha anche aperto gli occhi, approvando quella sospensione a divinis contro Treppiedi, ma alla tirata delle somme pare abbia deciso di non salvare il vescovo se è vera la voce riferita dal difensore di padre Treppiedi, l’avvocato Galluffo che nel tempo aveva anche annunciato altri scandali. Uno di quelli più dirompenti doveva essere costituito dalla scoperta di una lettera a firma del vescovo Miccichè con la quale questi s rivolgeva al capo della P4 il manager Bisignani. Una lettera tarocco, una lettera falsa.
Di situazioni anomale in questa storia che comunque ancora non giunta al capitolo finale ce ne sono diverse e il Vaticano non ne esce molto bene. Ci sarebbe per esempio la contestazione che il vescovo Miccichè avrebbe ricevuto, non si sa se ufficialmente o solo verbalmente, dal prefetto della congregazione, a proposito delle sue denuncie alla magistratura. Una decisione che non sarebbe stata apprezzata, nel senso che i “panni sporchi la chiesa li deve lavare dentro le sue mura”, ma infine va succedendo che oggi la stessa Chiesa sta buttando “l’acqua sporca” con tutto quello che c’è finito dentro. C’è la circostanza che un paio di indagati assieme a padre Treppiedi oggi riescano a frequentare indisturbate le più delicate stanze del Vaticano, trovandosi a poca distanza dal Papa,  pubblicando sulla bacheca di Facebook, dove i tam tam continuano, foto e commenti, salvo poi ritirare e fare sparire tutto, quando però quelle foto erano già finite sul tavolo del magistrato. Quest’ultimo fatto risale al 18 febbraio scorso quando si è svolto a Roma il concistoro per la nomina di nuovi 22 cardinali. Uno dei nuovi è mons. Bertello, ex Nunzio Apostolico in Italia. Su Fb è finita la foto che lo vede assieme a due alcamesi, Antonella Aprile e Aldo Mirabile, tutti e due indagati con padre Treppiedi; ma c’è anche un’altra foto, sempre la coppia alcamese con un altro neo- cardinale Monteiro De Castro, ex segretario della Congregazione dei vescovi: la congregazione che ha portato avanti l’ispezione nella Diocesi di Trapani  e che ha il potere di decidere, con un potere assoluto, sui vescovi. La Aprile e Mirabile si sarebbero trovati proprio nelle sale del Vaticano invitati da mons. De Castro, il prelato che firmò la vista apostolica a Trapani dopo lo scandalo dell’anno scorso. Anche quella visita apostolica fu anticipata a tutti da una solita voce dal sen fuggita, e ancora una volta la gola profonda sarebbe stato padre Treppiedi. Controllori e controllati dalla stessa parte? Sembra proprio di si.  Ma spesso questo risvolto non è solo roba da Chiesa ma anche comportamento degli umani laici. E padre Treppiedi che in questa storia non ha ruoli di secondo piano sembra essere fatto più per restare uomo che diventare un santo.
Uno scandalo che diventa sempre più scandalo e che a parte gli annunci a squarciagola su imminenti novità (ancora su Fb sono comparsi messaggi che fanno capire quanto sia monitorato  il sito web del Vaticano nella parte delle nomine e rimozioni) sembra che presto potrebbe arricchirsi di ulteriori particolari vicende: da qualche giorno infatti carabinieri del nucleo tutela artistica sono andati spesso in Curia a controllare foto di oggetti d'arte risultati sottratti alle chiese, e qualcuno di questi reperti si dice che sarebbe stato trovato durante le perquisizioni del caso Treppiedi.