martedì 13 marzo 2012

“Così la Chiesa vuole screditare le vittime dei preti pedofili”

“Gli avvocati dei sacerdoti ci chiedono di rivelare tutte le nostre informazioni”, è l’allarme dei network di difesa anti-stupro.

C’è un nuovo fronte nella guerra che oppone la Chiesa Cattolica e le vittime dei preti pedofili: per la precisione, secondo quel che si sa, siamo di fronte ad un vero e proprio contrattacco. Dopo l’ondata di denunce e di processi che soprattutto negli Stati Uniti d’America hanno portato alla sbarra sacerdoti, prelati e altri membri della Chiesa, sempre, ovviamente, nell’ambito del dramma, dello scandalo della pedofilia nel clero, ora i Vescovi si sarebbero riorganizzati più o meno esplicitamente per mettere un freno ai processi a carico della Chiesa.


AL CONTRATTACCO – Gli Stati Uniti sono stati devastati, feriti nel profondo dai sacerdoti cattolici e dalle loro violenze. Intere diocesi hanno dovuto svendere tutti i loro beni per soddisfare le richieste in denaro delle vittime; da Roma, il supporto, quasi l’omertà che il Vaticano garantiva quasi in automatico per queste vicende è venuto a mancare dopo che la pentola, per così dire, è iniziata a scoperchiarsi; e le vittime, organizzatesi in network di auto-supporto, credevano di poter finalmente ottenere giustizia. Non che questa eventualità sia da escludersi: ma quel che c’è da segnalare, ora, è un serio allarme, lanciato proprio dallo Snap, il network delle vittime dei preti pedofili: “La Chiesa si sta vendicando contro di noi”, dicono. Il modo, perfettamente legale, di questa presunta ritorsione, ci viene spiegato dal New York Times che riassume una storia già affrontata dalla stampa locale e specializzata statunitense: “Gli avvocati della Chiesa Cattolica Romana e dei preti accusati di abusi sessuali in due casi nel Missouri si sono diretti in tribunale per chiedere al gruppo di difesa delle vittime di rivelare più di due decenni di email che potrebbero includere la corrispondenza con le vittime, con gli avvocati, con i giornalisti, con chi ha rivelato informazioni, con i testimoni, la polizia e i giornalisti”. Nell’ambito dei processi, dunque, sono stati emessi gli ordini legali noti come “subpoena”, che nel sistema americano corrispondono agli inviti a testimoniare o a produrre prove, senza un’effettiva possibilità di rifiutarsi da parte dei soggetti a cui questi documenti vengono richiesti.

ALLARME GENERALE – Il sito ufficiale dello Snap ha un’intera pagina che si occupa di diffondere al pubblico l’allerta su questa minaccia, che ci spiega perché le vittime dei preti sono particolarmente preoccupati da queste richieste da parte dei tribunali. “E’ la minaccia più preoccupante che abbiamo mai affrontato”, scrive lo Snap, “per almeno tre ragioni”. Ovviamente la prima è che se non c’è la sicurezza di un anonimato blindato, “sempre meno persone si faranno avanti per cercare aiuto, per paura che le proprie identità ed esperienze vengano girate ad avvocati di preti violentatori e vescovi corrotti. Secondo, questi attacchi legali consumano massicce quantità di tempo”, prezioso per lo staff dell’associazione che dovrebbe invece di stare in tribunale “proteggere bambini, rivelare i predatori, aiutare le vittime, riformare le leggi e tentare di evitare crimini sessuali futuri e coperture”. Ancora, e forse più preoccupante, “questo processo ci sta portando alla bancarotta” perché spese legali improvvise per “decine di migliaia di dollari” non sono state in grado di coprire nemmeno la prima delle procedure di richiesta, “un processo che andrà avanti per mesi e mesi”, spiega lo Snap. “Alcuni dei nostri membri hanno ora paura che vengano divulgate le loro informazioni personali. Così, hanno chiesto di essere rimossi dalla nostra lista di membri”, dice l’associazione.

ARMI PERICOLOSE – Per questioni così delicate, la privacy è tutto; e, si capisce, non c’è nulla di illegale nella richiesta dei legali della Chiesa Cattolica di accedere ai documenti riservati, o quantomeno la richiesta è stata formulata in tribunale e corrisponde ad un diritto delle difese. E tuttavia, si tratta di un colpo mortale, dell’ennesima dimostrazione, da parte della Chiesa, dell’intenzione di vendere molto cara la pelle dei suoi sacerdoti imputati in giro per il mondo; particolarmente odiosa come strategia, perché se funzionasse a puntino, rischierebbe di seppellire per sempre molti dei casi contro i sacerdoti violentatori. Spieghiamoci: in moltissimi casi, questi processi sarebbero teoricamente incelebrabili, perché caduti in prescrizione; tuttavia le vittime hanno dichiarato di aver completato i loro ricordi solo recentemente, ottenendo che il tempo dello statute of limitation iniziasse a decorrere dalla loro denuncia: se le associazioni di difesa fossero costrette a rivelare i propri carteggi con le vittime, potrebbe saltare fuori che i processi non sono effettivamente validi, decadrebbero immediatamente, e i sacerdoti che hanno spinto al silenzio le proprie vittime magari per anni potrebbero averla vinta.

UNA STRATEGIA? – La strategia della Chiesa è suffragata da voci, ben qualificate, riportate dal New York Times: “Gli avvocati della chiesa e i sacerdoti hanno affermato di non poter commentare, essendo sotto ordine giudiziale”. Nondimeno William Donohue, presidente della Lega Cattolica per i diritti Civili e Religiosi, gruppo oltranzista americano, afferma che “bersagliare lo Snap è più che giustificato, perché il network è una minaccia alla Chiesa”. Donohue afferma senza problemi che prominenti vescovi da lui conosciuti si sarebbero “decisi a combattere ben più aggressivamente contro il gruppo: “Non posso darvi i nomi, ma il consenso cresce dal lato dei vescovi; si inizia a pensare che sia meglio rinforzarsi e prendere qualche avvocato tosto per diventare più duri. Non ci servono chierichetti”, ora come ora, conferma l’attivista.

PROFONDA AMERICA – La battaglia, come spiegato dal Times in precedenza, si gioca nel Missouri, precisamente fra Kansas City (caso Tierney) e St. Louis (caso Carlson/Ross). David Clohessy, alla guida dello Snap, è stato convocato presso il tribunale della città centroamericana alla fine dell’anno scorso. Già allora la questione aveva causato allarme: “I difensori delle vittime affermano che se Clohessy fosse costretto a presentarsi in tribunale, questo potrebbe avere un impatto molto esteso sulla capacità delle vittime degli abusi di identificare i propri accusatori e raccontare le proprie storie senza rivelare i propri nomi in pubblico”, diceva il National Catholic Review, che sentì anche un esperto: “Un docente di legge ha notato che, dato il suo lavoro decennale con le vittime del clero, il risultato finale della deposizione di Clohessy sarebbe stato “un effetto paralizzante delle possibilità di aiutare le vittime degli abusi ad ogni livello”.

TIRA CHE E’ GROSSO – David ha tentato di appellarsi contro l’ordine di comparizione in tribunale, ma non c’è stato nulla da fare (“conosce certamente qualcosa di rilevante riguardo il caso”, ha stabilito il giudice nel confermare la richiesta di comparizione) ed è stato costretto a deporre davanti ad una corte di St Louis “per sei ore” in quella che lui ha definito, poi, “una battuta di pesca” da parte degli avvocati della difesa: “Clohessy afferma di non poter parlare in maniera specifica della sua testimonianza, ma che “uno dei temi principali dell’interrogatorio è stato che gli avvocati difensori volevano ottenere i contenuti delle comunicazioni private fra noi e le vittime, gli informatori, i nostri membri e i nostri sostenitori”. Il perché di questa insistenza è stato già spiegato: allontanare potenziali vittime ed altri informatori dalle reti di difesa anti-pedofili: “Il vero motivo è minacciare, gettare discredito e far fallire la Snap, scoraggiando vittime, testimoni ed informatori a cercare il nostro aiuto”.

SEI ORE, DUECENTO DOMANDE – Clohessy è stato interrogato da cinque diversi avvocati: “Uno a rappresentare la diocesi di Kansas City, un altro padre Tierney” – il prelato imputato – “e altri tre che rappresentavano altri sacerdoti locali accusati di illecita condotta sessuale”; gli avvocati hanno convocato il presidente dello Snap in tribunale dicendo di aver “bisogno di sapere se la signora Randles”, avvocato della vittima del sacerdote negli anni ’70, “abbia violato un ordine di silenzio ufficiale consegnando al gruppo le informazioni riguardo ad uno dei casi Tierney prima che venisse aperto il processo”. Curiosamente, secondo David, durante l’interrogatorio “non c’è stata alcuna domanda riguardante il processo nello specifico”, ma più di 200 domande per un totale di sei ore di interrogatorio “riguardo i membri, i sostenitori, i finanziatori e le operazioni”; non solo: pare che molte delle domande “fossero finalizzate a provare”, scrive il New York Times, “che il gruppo non rientra nella definizione di “rape crisis center”, una sorta di centro di aiuto globale per vittime di violenza che gode di particolari regimi di protezione.

QUALI CONSEGUENZE? – A nome dello Snap si è inoltre rifiutato di consegnare documenti che considerava particolarmente confidenziali, il che potrebbe condurre ad una accusa formale di resistenza e portare ad ulteriori guai, anche se Clohessy affermava di non sapere bene cosa sarebbe accaduto: gli avvocati della Chiesa, si apprende dal Times, hanno proposto una seconda richiesta che porterà ad una ulteriore audizione in Aprile. Secondo la Chiesa, che parla a nome di una portavoce, non ci sarebbe alcuna “strategia nazionale” simile a quella menzionata dall’attivista cattolico William Donohue, né si è mai verificato “un meeting in cui i vescovi hanno deciso di adottare un approccio aggressivo”.

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