lunedì 19 marzo 2012

Dimissioni del papa. La teoria e la pratica

Benedetto XVI non le esclude. Ma un conto è ammetterne la possibilità, un altro ritirarsi per davvero. I pro e i contro di una scelta mai sperimentata nell'epoca moderna

di  Sandro Magister

CITTÀ DEL VATICANO, 16 marzo 2012 – Hanno suscitato un certo scalpore due recenti articoli apparsi in Italia nei quali si prefigura l’ipotesi che Benedetto XVI si dimetta, anche al fine di influenzare la scelta del proprio successore.

Gli autori di questi articoli sono Giuliano Ferrara sul quotidiano "Il Foglio" di cui è direttore, il 10 marzo:

> Le dimissioni del papa

e Antonio Socci sul quotidiano "Libero", l'11 marzo:

> Le (im)possibili dimissioni del papa

Ferrara non è credente, Socci è cattolico militante. Entrambi sono noti per una sincera ammirazione nei confronti di papa Joseph Ratzinger.

Al di là comunque delle buone intenzioni dei due, l’ipotesi da loro adombrata non risulta avere fondamento.

Intanto perché chi ha avuto modo di incontrare Benedetto XVI, anche dopo l’uscita dei due articoli, non ha avuto affatto l’impressione di avere di fronte un papa che stia meditando di dimettersi. Tutt’altro. Sia per quella sua capacità di cogliere i nessi necessaria per ogni atto di governo, sia per l’orizzonte non temporalmente ristretto con cui, sempre "a Dio piacendo", egli procede nella guida della Chiesa universale.

E poi perché nulla è più alieno dalla storia e dalla personalità di Ratzinger che il solo pensiero di manovrare, anche se con nobili intenti, per la propria successione. Un’ipotesi, questa, canonicamente “eversiva”. L’unico modo legittimo per un pontefice di influenzare la scelta del futuro papa sta nella creazione dei cardinali. E scorrendo i nomi di quelli scelti da Benedetto XVI dal 2006 a oggi non risulta che vi sia un chiaro disegno di ipotecare il futuro conclave, che nella "mens" di Ratzinger, come in quella di ogni buon credente, deve essere affidato innanzitutto allo Spirito Santo.

Ciò detto, rimane il fatto che nel libro-intervista "Luce del mondo", uscito nel novembre 2010, Benedetto XVI afferma (ribadendo un pensiero da lui già espresso prima d'essere eletto al soglio di Pietro): ''Se un papa si rende conto con chiarezza che non è più capace, fisicamente, psicologicamente e spiritualmente, di assolvere ai doveri del suo ufficio, allora ha il diritto e, in alcune circostanze, anche l'obbligo, di dimettersi".

È lo stesso codice di diritto canonico a prevedere questo caso al canone 332 comma 2: "Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti".

Più complicato è il caso in cui il papa sia colpito da una malattia invalidante che gli impedisca di comunicare in qualsiasi modo o lo renda incapace di intendere e di volere. Non ci sono norme pubbliche (ma potrebbero esserci dei protocolli riservati) che regolino questo caso e quindi stabiliscano, tra l'altro, quale sia l’autorità che abbia la facoltà di dichiarare impedito il papa.

A questo “vuoto legislativo” sembra si sia pensato di poter sopperire con una sorta di lettera di dimissioni “in bianco” firmata anticipatamente dal papa, da ufficializzare nel caso di una grave malattia invalidante. Documenti in questo senso sono stati pubblicati nel 2010 nel libro “Perché è santo. Il vero Giovanni Paolo II raccontato dal postulatore della causa di beatificazione”, scritto da monsignor Slawomir Oder con Saverio Gaeta per l'editore Rizzoli:

> Quando Wojtyla voleva dimettersi

Ma anche le dimissioni di un papa previste dal diritto canonico sono semplici solo in teoria. Non in pratica.

Giovanni Paolo II una volta disse che nella Chiesa "non c’è posto per un papa emerito". E il cardinale Franz Koenig dichiarò all’agenzia stampa tedesca DPA nel novembre 1996: "Il papa sa, e l'ha detto, che l'elezione di un nuovo pontefice mentre il vecchio è ancora in vita rappresenterebbe un problema. Un papa in pensione, un altro in Vaticano: la gente si domanderebbe chi dei due conta".

In effetti, basterebbe solo immaginare cosa accadrebbe se il “papa” emerito continuasse a vergare articoli e concedere interviste come un cardinal Carlo Maria Martini, oppure a scrivere libri e memorie come un cardinal Giacomo Biffi.

Ecco perché anche un papa come Paolo VI, che aveva abbracciato sul serio l’ipotesi di dimettersi, alla fine non lo fece. Nel settembre 1997 il cardinale Paolo Dezza, che di papa Montini fu confessore, ricordò a proposito delle dimissioni: "Egli avrebbe rinunciato, ma mi diceva: 'Sarebbe un trauma per la Chiesa', e quindi non ebbe il coraggio di farlo".

Con Giovanni Paolo II si cominciò a parlare di sue dimissioni dopo l’attentato del 1981. Poi una seconda forte ondata di voci arrivò nel 1995 in occasione del compimento dei 75 anni. In entrambe queste occasioni le reazioni ufficiali degli organi di comunicazione vaticana furono di smentita, spesso ironica.

Fu a partire dal 2000 che l’ipotesi di sue dimissioni fu rilanciata non più da testate giornalistiche ma da ecclesiastici di primo piano.

Nel gennaio di quell'anno fu il vescovo Karl Lehmann, creato cardinale l’anno dopo, a dire: "Credo che il papa in persona, se avesse la sensazione di non essere più in grado di guidare responsabilmente la Chiesa, credo che allora avrebbe la forza e il coraggio di dire: Non posso più adempiere al mio compito come necessario".

Nell’ottobre successivo il cardinale belga Godfried Danneels aggiunse: "Non sarei sorpreso che il papa si ritirasse dopo il 2000".

Il 16 maggio 2002 fu lo stesso Ratzinger, allora prefetto della congregazione per la dottrina della fede, a non escludere, in caso di peggioramento della sua salute, un ritiro anzitempo di Giovanni Paolo II, in una dichiarazione al "Münchner Kirchenzeitung", il settimanale dell'arcidiocesi di Monaco e Frisinga: "Se il papa vedesse di non poter assolutamente farcela più, allora sicuramente si dimetterebbe".

Nello stesso giorno un concetto simile fu espresso, in un'altra intervista, dal cardinale honduregno Oscar Andres Rodríguez Maradiaga.

Il 7 febbraio 2005 il cardinale segretario di Stato Angelo Sodano, alla domanda dei giornalisti se papa Karol Wojtyla avesse pensato alle dimissioni, rispose: "Questo lasciamolo alla coscienza del papa".

Nell’attuale pontificato le voci di dimissioni papali non sono ancora arrivate ad essere discusse pubblicamente da ecclesiasstici di rango. Ma a livello giornalistico sì. Prima degli ultimi due articoli di Ferrara e di Socci, infatti, ne avevano già scritto lo stesso Socci (su "Libero" del 25 settembre 2011) e il vaticanista Marco Politi in un recente libro molto critico dell’attuale pontificato.

In ogni caso, per chi volesse approfondire le implicazioni canoniche e pratiche derivate dalle dimissioni di un pontefice o quelle riguardanti il caso di un papa impedito nel proseguire la propria missione, sono da tenere presenti due dotti articoli apparsi nel 2000 sul settimanale "America" dei gesuiti di New York.

Il primo è uscito sul numero del 25 marzo a firma di monsignor Kenneth E. Untener, vescovo di Saginaw, scomparso nel 2004 a 67 anni:

> If a Pope resigns…

Il secondo è uscito postumo sul numero del 30 settembre a firma di monsignor James H. Provost, docente di diritto canonico nella Catholic University of America, scomparso a 60 anni il 26 agosto di quello stesso 2000:

> What if the Pope became disabled?


http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350197?ref=hpchie

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