domenica 10 giugno 2012

Civiltà Laica - Le religioni e la violenza

Sabato, 10 Dicembre 2011, si è tenuto, a Terni, l’incontro del Gruppo di studio di "Civiltà Laica" sul tema: "Le religioni e la violenza".

Relatori dell’incontro sono stati:

  • Maurizio Magnani, che ha coordinato l’iniziativa ed ha svolto la "Relazione introduttiva";
  • Marcello Ricci: "Il problema della tolleranza";
  • Maurizio Magnani: "Le religioni abramitiche e la violenza";
  • Eraldo Giulianelli: "Perché il Cattolicesimo è un integralismo fondamentalista";
  • Alessandro Chiometti: "La famigerata propensione al dialogo dei Cattolici".

RELAZIONE INTRODUTTIVA

Maurizio Magnani

1) Scrive Chris Hedges nel suo libro Il fascino oscuro della guerra [1], lui che, da giornalista inviato di guerra in svariati punti caldi del pianeta, è stato picchiato, torturato e segregato, ha udito esplodere migliaia di granate e colpi di arma da fuoco ed ha assistito all’uccisione di molta gente, tra dolore e sofferenze di ogni genere:

"La guerra spaventa, terrorizza ma al contempo attrae, poiché possiede una sua cultura, un suo irresistibile fascino oscuro; attrae i sanguinari, i sadici, i violenti ma attrae anche moltissimi mediocri, perché offre loro l’opportunità di migliorare il rango sociale, di sentirsi importanti, di uscire dall’anonimato, di sperimentare sentimenti di potenza, di superiorità, con un fucile in mano, potendo perfino disporre della vita di qualcuno.

La guerra mette a nudo il potenziale di malvagità umana ma fa emergere anche manifestazioni di solidarietà profonda, di intensa collaborazione, di amicizia autentica e consente di sperimentare sentimenti forti e genuini.

Inoltre, in guerra si combatte e si fugge, e non c’è spazio per la depressione; in guerra il suicido è rarissimo: la disperazione aiuta a vivere, l’odio aiuta a vivere.

In tempo di guerra, numerosi privilegi scompaiono, i parassiti e i vigliacchi vengono smascherati, tutto sembra diventare più semplice, scorrevole, e pare che la giustizia e l’equità trionfino, che la vita sociale, seppur scombussolata, riacquisti un senso, un ordine, uno scopo. Per quello scopo si sopportano anche il sacrificio e il patimento.

In guerra, anche in quelle guerre combattute internamente contro fazioni politiche e religiose avversarie, si rivivono i forti vincoli propri dei gruppi ancestrali, l’ubbidienza a uno o pochi capi, e il pensiero autocritico è soppresso, mentre vengono euforicamente esaltate, sublimate, nobilitate le proprie azioni, ancorché sanguinarie e crudeli, atte a raggiungere le finalità prefissate, politiche o religiose che siano."


Le parole di Hedges riecheggiano quelle di Eraclito sulla "guerra come padre della vita", ma esse non sono un’apologia della guerra, tutt’altro; d’altronde chi ritenesse che la violenza non è consustanziale all’animo umano (pensiamo a J. J. Rousseau) rifletta sui miliardi (secondo il calcolo di qualche storico) di uomini e donne morti sui campi di battaglia, nelle carneficine e nei massacri che hanno insanguinato ogni zolla di terra di ogni continente, testimoniati sin da quando il primo cronista iniziò a redigere un diario sugli avvenimenti storici.

La violenza dei popoli si nutre di miti, miti della propria grandezza e dell’altrui nefandezza, miti elaborati dal "Potere", che fomenta odio e avversione, seguendo logiche di mantenimento e accrescimento del dominio, logiche tutto sommato semplici, dacché non vi è nulla di più congeniale agli apparati di potere di indirizzare l’insoddisfazione delle masse e la loro rabbia verso un nemico esterno che funga da capro espiatorio, capace di catalizzare l’aggressività al di fuori della comunità. E funziona sempre!

La demonizzazione dell’avversario e l’autoesaltazione di se stessi, che la propaganda di guerra persegue, acceca le folle, le infiamma e le compatta intorno al condottiero, alla guida (Führer, in tedesco).

Perché i miti, che alimentano le guerre, falliscono raramente nella loro funzione? Perché vengono così facilmente recepiti, accettati, ascoltati? Perché, risponde E. O. James [2], essi attribuiscono significato e senso al caos, offrono giustificazione alla violenza, ammantano e glorificano le proprie azioni e i propri operati, anche i più insensibili e nefasti, mascherano l’impotenza, celebrano il destino supremo della propria etnia o gruppo politico o religioso, rinforzano i sentimenti di identità, impediscono il dialogo e ogni ricerca di compromesso con l’indegno avversario.

I miti manipolano la verità, nascondono la menzogna, trasmutano il volto della violenza, che da orripilante si fa ideale eroico. Nelle guerre, ogni genere di guerra, la regressione culturale asseconda quella civile: inni, scritti, opere d’arte, musica sono usualmente monocordi nella celebrazione degli ideali, degli obiettivi, delle idee e degli slogan partoriti dai miti.

La primordialità e rudezza dei sentimenti, la essenzialità dei comportamenti ottengono una (provvisoria) rivincita sulla sensibilità dell’animo e la raffinatezza del pensiero della civiltà avanzata, cosicché la poesia, l’arte e la letteratura dialoganti, critiche, aperte al confronto e alla considerazione dell’altro, vengono mortificate, perseguitate, represse, accusate di viltà e perfino di tradimento.

2) Ho dato rilievo al ruolo dei miti nelle guerre, non soltanto perché esso è realmente essenziale, ma anche perché esso è congeniale all’argomento oggetto del nostro incontro di studio: le religioni e la violenza.

Infatti, è fuor di dubbio che i miti siano stati e siano, in buona parte, nutriti e custoditi dalle autorità religiose di ogni tempo e luogo, talché, se proprio non si vuole dire che le religioni siano state e siano causa diretta di odio e di guerra, quanto meno si può sostenere che religione e sacralità sono connaturate alla violenza, come ben ha argomentato René Girard nel suo saggio: La violenza e il sacro [3] .

Nei miti di creazione e di fondazione, come l’Enuma Elish babilonese, che tanto ha influenzato la Bibbia giudaica, vi è sempre uno scontro titanico e battaglie favolose tra gli eroi e gli dei del bene e dell’ordine contro quelli del male e del caos.

Marduk uccide Tiamat, il principio femminile delle acque e degli oceani, una Grande Madre che racchiude nel grembo mostri e draghi; il dio Baal sconfigge il drago Yam; il grande dio egizio Ra batte e abbatte ripetutamente il mostro Apophis; Giove uccide Chronos, che aveva ucciso Urano; i mostruosi Titani, come Medusa dai capelli di serpe, devono essere annientati da eroi misericordiosi come Perseo. Anche nel nostrano mito di fondazione di Roma, il pio Romolo uccide il fratello Remo.

Agli dei ed agli eroi dei miti di creazione e di fondazione, intrinsecamente religiosi e portatori di sacralità, ci si è sempre richiamati come modelli ideali di sacrificio per il destino luminoso dei popoli e delle etnie.

In apparenza, le tre religioni abramitiche sembrerebbero fuori dal discorso, che collega miti di creazione ed esaltazione della violenza, ma così non è: non soltanto perché il dio di Abramo era, in origine, un dio orientale, che partecipò alla cacciata delle forze oscure del cielo (come ben conferma il termine Jahveh Sabaoth, Signore degli eserciti) insieme al gran padre El ed al pantheon degli dei semiti (naturalmente, ci si guarda bene dall’insegnarlo nei catechismi delle tre religioni), ma ancor più perché i tre monoteismi sono portatori dei miti escatologici, prolifici e intensi generatori di violenza.

Infatti, Ebraismo, Cristianesimo ed Islam racchiudono la esplosiva miscela di dualismo tra bene e male (la lotta contro il male demoniaco deve essere inesorabile, totale e senza tregua), destino escatologico (il divenire è palingenesi, è ritorno alla condizione di beatitudine, di alleanza col Dio, ma alla condizione di sacrificio e della battaglia apocalittica contro il male e i nemici di Dio), ecumenismo (tutto il mondo dovrebbe e dovrà credere nell’unico e vero Dio) e messianismo ( la guida va seguita acriticamente e obbedita con fede, poiché conduce a una meta straordinaria e/o ha incarico sovrannaturale).

A ben guardare, dualismo, escatologia, messianismo e anche progetto ecumenico hanno intriso i miti nazisti e fascisti e non hanno risparmiato nemmeno lo Stalinismo ed i programmi di tiranni e dittatori sanguinari moderni.

Più e più volte ho udito i Cristiani opporsi all’accusa che la loro religione condividesse con gli altri monoteismi la passione per la violenza, ma, nei suoi libri, lo storico K. H. Deschner testimonia con inesorabile puntualità, e certamente non solo ma in affollata compagnia, quanto la storia della religione cristiana sia stata storia di persecuzioni, assassini, roghi, massacri ed orrendi crimini perpetrati verso eretici, atei, Ebrei e chiunque non si proclamasse di quella confessione.

Ne dirò più dettagliatamente nella mia relazione: "Le religioni abramitiche e la guerra".

NOTE

[1] Hedges Chris, Il fascino oscuro della guerra, Edizioni Laterza, Bari.

[2] James, E.O., Gli eroi del mito, Il Saggiatore, 1996.

[3] Girard René, La violenza e il sacro, Edizioni Adelphi, Milano.

http://www.homolaicus.com/religioni/violenza.htm