lunedì 14 novembre 2011

“O LA TONACA O LA CONVIVENZA”

Jan Peijnenburg con la convivente
In Olanda un prete di 81 anni dovrà interrompere la relazione che dura da 46 anni con una donna 85enne, altrimenti verrà sospeso. “Piuttosto che l’amore della mia vita lascerò il sacerdozio”.
Giacomo Galeazzi - Città del Vaticano.
Ultimatum del vescovo al prete convivente. Entro il 1° dicembre don Jan Peijnenburg, 81 anni, deve interrompere la relazione che dura da 46 anni con la signora Threes van Dijck, 85 anni, oppure verrà sospeso dall’ufficio sacerdotale. 

La decisione è stata ufficializzata dalla diocesi di Hertogenbosch, la più grande dei Paesi Bassi. Il sacerdote svolge la sua missione pastorale nella città di Eindhoven, nel sud-est dell’ Olanda. Quindi, dopo quasi mezzo secolo di convivenza, don Jan ha un mese di tempo per scegliere tra l’amor sacro e l’amor profano, tra i doveri del suo ministero e un legame «clandestino» che lo ha accompagnato per una vita.
L’ ultimatum delle autorità ecclesiastiche arriva in risposta ad libro nel quale don Jan Peijnenburg e la sua convivente Threes van Dijck si appellano alla Santa Sede per l’abolizione della regola celibataria nella Chiesa cattolica. Per molti anni la diocesi ha chiuso un occhio sulla violazione del celibato ecclesiastico da parte del prete olandese. Sorprendente, però, è la motivazione secondo la quale «non è inusuale per i sacerdoti vivere con una compagna», ma, «criticando apertamente il principio del celibato,don Jan si è spinto troppo oltre». E il portavoce del vescovo spiega che quella imposta al prete concubino è «una scelta rilevante nella sua vita», però «si tratta di una condizione che viene necessariamente assunta quando si sceglie il sacerdozio».
Di fronte all’«aut aut» della diocesi, l’ anziano prete ha già fatto sapere che, se obbligato a scegliere, lascerà il sacerdozio piuttosto che abbandonare l’amore della sua vita. E ha definito l’imposizione del celibato «una violazione dei diritti umani». La contrarietà al celibato ecclesiastico obbligatorio è condiviso dal Paul Iby, vescovo di Eisenstadt, secondo il quale «i preti dovrebbero essere liberi di scegliere se sposarsi o meno» e «la Santa Sede è troppo timida su tale questione».
In tutto il primo millennio e anche dopo, nella Chiesa il celibato del clero era inteso come «continenza», ossia completa rinuncia, dopo l’ordinazione, alla vita di matrimonio, anche per chi si fosse precedentemente sposato. Le prime regole scritte in materia a partire dal secolo IV (dopo la fine delle persecuzioni) confermano che fin dall’inizio della Chiesa preti e vescovi erano tenuti ad astenersi dalla vita matrimoniale.
Eppure, con una certa frequenza, si torna a parlare dell’abolizione dell’obbligo del celibato sacerdotale. Nel febbraio 2008 fu la volta dei sacerdoti brasiliani: decisero di inviare una petizione al Vaticano per chiedere una revisione della legge canonica che vieta di sposarsi. Una presa di posizione emersa nel corso del dodicesimo «Incontro nazionale dei sacerdoti» organizzato presso il monastero di Itaici, nello Stato di San Paolo. La petizione fu avviata alla congregazione per il Clero, presieduta allora dal cardinale brasiliano Claudio Hummes, ex arcivescovo di San Paolo. In pratica i preti brasiliani hanno chiesto alla Santa Sede che ci siano due tipi di sacerdozio: uno celibatario, per chi prende i voti di castità negli ordini religiosi, e uno senza obbligo di celibato, riservato a persone sposate dai vescovi perché ritenute degne. Una misura quest’ultima che aiuterebbe anche a reintegrare nella Chiesa i preti «spretati» per essersi uniti in matrimonio. L’ultimatum di Eindhoven dimostra che la strada è ancora lunga.