lunedì 8 agosto 2011

SPIRITI, COSMOLOGIA ED ERRORI DIMENSIONALI


Il dio della Bibbia"Ogni cosa corporea, essendo estesa, è composta, quindi ha delle parti. Ma Dio non è composto: pertanto, non è corporeo. Ecco dunque distrutto l'errore dei primi filosofi naturali, che non contemplavano altro se non cause materiali" (1.20).
Così scriveva Tommaso d'Aquino nella Summa contro i Gentili: dubito però che l'Aquinate possa aver distrutto alcunché, con amenità del genere. Già a suo tempo, Origene aveva stabilito che in nessuna parte delle "Scritture" Dio sarebbe stato descritto come un essere "immateriale"; anzi, gli ebrei, così come i greco-romani, effigiavano il dio della Bibbia in maniera antropomorfa. "Il modo in cui Dio dovrebbe essere inteso", continuava l' Alessandrino, [..
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 "se corporeo o con una natura diversa dai corpi normali, non è chiaramente indicato nelle Scritture".
Un essere onnipotente, onnipresente ed onnisciente, ma invisibile, suscita domande che ben difficilmente possono essere liquidate come il frutto della pochezza dei "materialisti", "incapaci" di comprendere "nozioni superiori", che appartengono al "credere per fede".
La Bibbia non ha mai fatto mistero che il Dio di cui parla sia ben concreto ed abbia fattezze umane; la divinità "eterea" e antropomorfa della mitologia cristiana, è piuttosto il tentativo di superare il limite della determinazione umanizzante, attuata tramite il naturale processo di antropomorfizzazione del divino.
Allo scopo d'evadere dai limiti umani, l' oleografia popolaresca ama immaginare Dio come un vecchio canuto che giganteggia sulla volta del cielo, osservando l'uomo con ciglio austero: ma quando ci avvediamo che tale icona è sin troppo simile al suo imperfetto ideatore, affinchè possa davvero essere fonte di sensazioni infinitesime e di alienazione dal certificabile, si passa a un'ulteriore funzione di fuga, parlando di un Dio la cui natura sarebbe costituita da una qualche "essenza sopraffina", diversa dalla "materia comune".
Così, Dio diventa un quid esistente ma invisibile, in quanto sin troppo perfetto e raffinato per poter essere colto dai nostri sensi: ulteriormente insoddisfatti dal limite impostoci da questa nuova scoperta, i teologi tendono a parlare di un dio "privo di forma" e "indefinibile", ma comunque e sempre invisibile, sebbene nella nostra immaginazione intima persista lo stereotipo antropomorfo di sottofondo.
Queste disperate trovate servono al teologo allo scopo di camuffare le evidenze con paroloni e giri tortuosi, come tipico corollario del credere per fede; nel tentativo d'evitare la determinazione, i teologi dimenticano che tutto risulti comunque e sempre determinato, persino nella pretesa che possa esserci qualcosa di "indeterminato".
Non è improbabile che in un universo fisico esistano altre "realtà" e strutture materiche oltre quella che ci riguarda. A parte il fatto che si tratterebbe comunque di "quanticità" omogenee a quelle con cui interagiscono (quindi, comunque e sempre materia, Presenza, Esistenza), la domanda verterebbe su come sarebbe possibile conoscere realtà diverse da quella che ci compete, e che non dovrebbero essere relative ad uno stato attuale; il corollario a tale domanda implicherebbe lo stabilire se possa essere razionale asserire che parte di questa fantomatica realtà sia qualitativamente diversa dalla nostra, malgrado (come vorrebbero le "Scritture") abbisogni tanto disperatamente d'interagire con essa.
Il concetto di un corpo "etereo", abbastanza vicino a quello del mondo delle ombre omerico-vergiliano, alle origini era anche per i cristiani un'idea fisica, non iperbolica: dottrine stravaganti quanto recenti, come l'assunzione del corpo di Maria in cielo, ci offrono ampie prove sulla contraddizione implicita nella pretesa di integrabilità tra "dimensioni" come quella umana ed il regno "spirituale" dei cieli, glorificato dalla carnea — e sempre immacolata — presenza della "madre di Dio".
Fino ai primi due secoli successivi al periodo dei primi concilii, Padri della Chiesa come Ireneo avevano presupposto che gli angeli caduti fossero stati degli esseri in carne e ossa, per poter giustificare l'accoppiamento con le donne della specie umana; proprio Origene (poi seguìto da Geronimo, Ilario ed Ambrogio) fu il primo ad aver parlato dell'anima come un quid estraneo al "piano materiale", postulando che, per poter congiungersi con le "figlie degli uomini", i nephilim (gli angeli caduti del Genesi) avessero dovuto per forza di cose esser dotati d'ammennicoli atti alla bisogna!
Per poter osservare un cambio di guardia, occorrerà attendere Basilio di Cesarea; il quale, parlando delle violenze subite dalle donne da parte di questi esseri, ipotizzò che i demoni fossero una concentrazione di "vapori condensati". Con più decenza, il buon Cassiano — non per nulla eretico — scriveva che
"quando dichiariamo che vi sono nature spirituali, come gli angeli, non dobbiamo pensare che siano incorporee. Hanno invece un corpo che le fa sussistere: ma questo corpo è più "sottile" del nostro".
Il termine "sovrannaturale" indica un concetto che significa "oltre il naturale", nella misura in cui definiamo "naturale" tutto ciò che riusciamo a comprendere o che mostra caratteristiche note e comprensibili. Dal momento che il canone di paragone del naturale è l'uomo, il "sovrannaturale" assume inoltre la valenza di "incontrollabile", "superiore alle forze umane", quindi (impropriamente) sovrumano.
Siamo propensi a collegare sovrannaturale e immateriale, intendendo quest'ultimo termine come "non costituito da materia", ove per "materia" intendiamo quella che compone gli oggetti del sistema di riferimento in cui viviamo, noi compresi: pertanto, dato che la materialità pertiene a noi ed a ciò che ci circonda, l'"immateriale" sarebbe il suo opposto.
Qualora connesso al preconcetto dell'esistenza di esseri creatori invisibili, questo assunto comporta l'ipotesi che esista qualcosa capace d'essere esistente, ma opposto a ciò che ci compone: sennonché, se un dato sistema di riferimento è costituito da un dato tipo di materia, esso potrà essere popolato soltanto da entità composte da quest'ultima, sicché qualsiasi cosa che condivide il piano d'esistenza di un'altra con cui potrebbe interagire, deve esserle per forza omogenea. In secondo luogo, se la Materia è Presenza-Esistenza, l'unica cosa che potrebbe essere qualitativamente diversa da essa è ciò che non possiede la qualità dell'esistenza, ossia il Nulla: quel medesimo non-Ente che dovrebbe "esistere" comunque, dato che, viceversa, le favole della creazione ex nihilo non possiederebbero alcuna validità.
La concezione del "dio immateriale", intimamente connessa al suo atto creativo e dell'Aldilà, ha reso il credente incapace d'accettare critiche apportate ad evidenze che, data la loro immediatezza, suscitano reazioni ironiche o rabbiose nel credente stesso.
Dovremmo immaginare un essere di dimensioni superiori all'universo, che, dopo aver tratto l'Uno dallo Zero, si sarebbe munito di un'immenso microscopio o addirittura ristretto a misura d'per uomo discendere sulla Terra e dotare le sue creature di leggi e canoni comportamentali, affinchè potessero meritare d'accedere al "regno divino" dopo la morte. Poichè tutto ciò è palesemente ridicolo, ne conseguirà non solo che sia fallace la premessa della creazione dal Nulla, tanto quanto lo è la pretesa dell'esistenza di un essere creatore, ma anche che l'universo non si stato creato da alcun essere superiore: a meno che il cristiano non voglia chiamare "Dio" l'universo stesso.
Coloro i quali propugnano l'immaterialità di Dio e simili, equivocano volutamente terminologia secondo i più tipici artifici di polemica verbale: la differenza è sottile, dacché per definizione immateriale significa non-tangibile, e non certo non-materiale, poiché quest'ultima definizione indica "l'opposto del materiale", cioè il Nulla).
Questo genere di equivoci sono degli "errori dimensionali", e nascono dal tentativo di rapportare le cose a misura d'uomo. Vediamone alcuni esempi.
Con le recenti scoperte scientifiche nel campo della fisica delle particelle, gli apologeti hanno tentato d'appropriarsi delle moderne terminologie per definire ad esempio l"antimateria" — la cui "catturabilità" è tuttora ipotetica, seppur probabile — come estensione di immaterialità o di materia "diversa" da quella "normale", così da tentare di avallare il Divino tramite qualcosa di diverso dalla normalità: purtroppo, essendo presente nel medesimo sistema di riferimento della materia "normale", e possedendo dimensioni e vettori (massa, velocità etc.), l'antimateria sarebbe comunque Presenza, Essenza, per quanto la sua natura è casomai quella d'essere l'inverso (non l'opposto, che è ciò che non esiste, il Nulla) della materia "normale" (viceversa, non interagirebbe con quest'ultima, poiché non avrebbe la qualità d'omogeneità per farlo). Pertanto, pur nel caso in cui si accertasse cosa sia l'antimateria, ciò non implicherebbe un impeachment per la validità della scienza, se non agli occhi di chi si appropria delle conoscenze scientifiche per rivestirle di garantismo divino.
Su questa falsariga, in certi casi si giunge a mescere fantasia scientificheggiante con l'ipotetico teologico, parlando di universi paralleli nei quali esisterebbe un "tipo di materia" diversa da quella del "nostro" universo: che esistano ennesimi universi o soltanto il "nostro", pur a differenza di composizione risulterebbero comunque assimilabili per il mero fatto d'essere esistenti. Postulato che l'unica cosa diversa da ciò che esiste sia ciò che non esiste, a noi compete questo sistema di riferimento, non ipotetici altri.
Passiamo quindi a definire il canone pratico di differenza tra verificabile — o verosimile — ed improbabile. Nei primi mesi del 2004 si diffuse la notizia del ritrovamento di quello che sembrava un "cucciolo" di drago, conservato in un barattolo di formaldeide sin dagli inizi del '900 fra gli scaffali di un'autorimessa, quasi per ricambiare la cortesia all'aneddoto del drago invisibile nel garage di Sagan. Commentando al ritrovamento, su parecchie testate cattoliche si inneggiava condizionalmente alla rivincita nei confronti dello scetticismo e del tecnicismo, come fece un redattore de L'Avvenire:

"Vero drago o scherzo dei tedeschi ai rivali inglesi, per ricoprirli di ridicolo? Se il drago fosse venuto fuori a un talk-show o alla convention di una setta religiosa, non avremmo dubbi: finto. Ma questo che spunta da un garage ci piacerebbe fosse vero, se non altro per vedere l'imbarazzo di quanti ritengono che nulla di misterioso ci sia al mondo, tutto sia stato detto e fatto, la natura non possa riservarci sorpresa alcuna ma solo la tecnica, con l'uomo come artefice, possa stupirci. Certo, se fosse vero i parenti potrebbero venire a reclamare il reperto facendo fuoco e fiamme. In tal caso, gli innumerevoli sedicenti salvatori dell'umanità dai più svariati pericoli (quali salvatori da quali pericoli? Via, guardatevi attorno...) avrebbero la possibilità di misurarsi con una minaccia degna di loro. Ma sì, caro draghetto, dove sono mamma e papà?" (martedì 27 gennaio).
Questi sono esempi emblematici del metodo di appropriazione indiretta cui ci ha abituato la Chiesa. La "ragionevolezza" non consiste nel dire per partito preso che i draghi non esistono poiché "non ne abbiamo mai visto uno", bensì nell'accertamento dell'evento in termini razionali per quel che riguarda la condizione d'esistenza dell'oggetto in questione, partendo non già da presupposti, bensì da certificabilità (1).
Se il drago esisterà, ciò non implicherà che sia automaticamente convalidata anche l'esistenza di Dio e tutto il resto, poiché non significherà di certo che si tratti di Satana in persona né che la scienza sia presuntuosa, dato che ci troveremmo sempre dinnanzi a un essere materiale, possibilmente sovrumano ma non certo sovrannaturale. Per dirla con Feynmann, "è scientifico dire solo quel che è più probabile e quel che lo è meno, non il dimostrare sempre ciò che è possibile e ciò che è impossibile".
Chiaramente, se dal verosimile passassimo all'improbabile, risulterebbe impossibile credere in qualcosa che sfugge non solo ai sensi, ma anche al controllo causale.
Al pari di tutto quanto lo circonda, l'essere umano è costituito da particelle elementari: praticamente, si tratta di fotoni, quanti basilari d'energia, a loro volta costituiti da "qualcos'altro" di molto più piccolo. Però, per quanto piccolo possa risultare tale "mattoncino", chiaramente non potrà essere infinitamente divisibile: a un determinato limite, dovremo fermarci. Non si potrà più andare oltre. La materia è finita: dire che essa sia infinitamente divisibile non concorda né con la legge di conservazione dell'energia, né con il principio entropico, né, alfine, con l'esistenza della massa, che garantisce alla Materia la "qualità" d'essere Presenza (solo ciò che non ha massa è omnitemporalmente ubiquo; e ciò che non ha massa è solo e soltanto il Niente).
La vetusta differenza tra "materia senziente" ed "insensibile" consiste soltanto in una diversa "qualità" dell'aggregazione dei componenti fondamentali, comuni a qualsiasi aggregato incluso nell'insieme chiuso chiamato "universo". L'essere umano stesso è un aggregato di atomi che si configurano secondo schemi complessi, originando molecole che a loro volta si aggregano in tessuti organici: per sostenere questa "macchina", il corpo umano trae "carburante" da altri composti, sia naturali che sintetici. In parole povere, scomponiamo nuovamente degli atomi che vanno a "rinverdire" i processi chimici delle molecole del corpo.
L'universo è composto dai medesimi "mattoni"; per quanto potessimo disperderci nelle macro-categorie, in fondo esse saranno comunque e sempre l'espressione aggregata di qualcosa che è comune a qualsiasi altra "entità" inclusa in questo dato sistema di riferimento, pur a disparità di modalità d'aggregazione e di estensione dell'oggetto incluso. Va da sé che tutto ciò sia stato inconcepibile per chi, alle origini, ha avuto e continua ad avere la presunzione di presentarci un "dio" capace di creare il Tutto dal Nulla et similia.
La Materia è un limite determinativo, la cui esistenza esclude l'attività di un essere superiore: una stella può svanire in un batter d'occhio dentro una buca nera dopo eoni di fatua esistenza; un fotone viaggia a una tot velocità, non ad infinite; un neutrino non può essere arrestato da nessuno schermo fisico. Un mondo costituito soltanto da materia e nulla più, collide con concetti come l'aldilà, l'anima, le manifestazioni sovrannaturali, l'immateriale, il numinoso, il miracoloso; ma se da un lato il materialismo tende a voler circuire nel razionalizzabile certe concezioni, dall'altro canto esse continuano a sfuggire dalla cavezza a causa della selettività con cui si verificano.
Ad esempio, se possiamo definire allucinazione collettiva e isteria di massa il caso di Fatima, la percentuale di probabilità d'indovinare la diagnosi rimane sempre comodamente circoscritta nel "vago certificato" del credente, sempre pronto a definire sacrosanta pure un'allucinazione che si palesa secondo le medesime metodologie classiche del passato, dall'esperienza di Damasco paolina alle apparizioni degli dèi omerici nei sogni degli eroi, senza che il credente comprenda per quale motivo un essere sovrumano debba palesarsi nei sogni, negli stati alterati della mente, in circostanze di pericolo etcetera.
Abbiamo, in tal modo, l'occorrenza di una serie casistica eterogenea, il cui minimo comune denominatore è costituito dall'intrusione nel piano di realtà umano da parte di "entità superumane". La spiegazione fornita dagli "esperti" al modo in cui si innescano simili processi, è attesa: ricerca del proibito, adesione al culto del Male, azioni compiute da operatori malevoli, e via di seguito. La spiegazione razionale verte, invece, su altre realtà che riguardano le capacità della mente e la soggezione verso le tradizioni: anche in questo caso non si tratta di "razionalizzare" per partito preso, bensì di cercare le cause onde spiegarle e classificarle.
Si tende a equivocare come "sovrannaturale" o "immateriale" quanto sfugge alla nostra avvertenza macroscopica, pur qualora in certe condizioni fosse visibile a causa della predisposizione della mente di chi lo percepisce; parliamo di "prodigi" semplicemente accodandoci a un'ininterrotta tradizione atavica nella quale tutto ciò che, per ignoranza, era ancora inspiegabile, assumeva i crismi del trascendente. Con questo genere di equivoci si soleva indicare delle entità che, pur esistendo e interagendo con ciò che è concreto, non sono concrete, come del fumo, una proiezione di immagini, un suono, un pensiero: Dio, i fantasmi, i demoni e quant'altro del genere, fanno parte di tale campionario.
La convinzione popolare risponde che l'errore umano consista nel volere a tutti i costi "prove materiali" di "fenomeni che non sono di natura materiale", classica inferenza arbitraria attinente a prediche di stampo liguoriano, che sorvolano sul fatto che se i nostri sensi materiali percepiscono certi effetti, ciò vuol dire che essi non sono poi tanto sovrannaturali: gli occhi e il tatto reagiscono alla materia del corpo dell'essere "sovrannaturale", l'olfatto all'odore di zolfo o di gigli, l'udito a cori angelici o lamenti demoniaci, l'immagine si "veicola" con la luce, il suono e l'odore con l'aria. Se questi "esseri" non fossero materia, non sarebbero omogenei a tutto quanto è incluso in un dato sistema di riferimento composto da quella materia, né potrebbero interagire con esso.
A tutto ciò, il credente non si accorge nemmeno di negare al razionalista la possibilità di cogliere Dio con quegli stessi sensi tramite i quali essi dicono d'esser capaci di farlo. Concordo alfine con l'esorcista Amorth, quando asserisce che l'ottava delle sette virtù cardinali sia l'ignoranza!

(1) Dopo qualche mese di grande propaganda e laute interviste, lo "scopritore" del "drago" in bottiglia ammise d'aver perpetrato la frode.