martedì 9 agosto 2011

Giuliano Pisapia propone un piano islamico per Milano

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 09/08/2011, a pag. 11, l'articolo di Magdi Cristiano Allam dal titolo " Milano è ora di ribellarsi alle moschee di Pisapia ". Da LIBERO, a pag. 39, l'articolo di Massimo Costa dal titolo " Islam moderato contro Pisapia: parla con un estremista ". Dalla STAMPA, a pag. 19, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Passo necessario ora progetti anche per le altre città ",

Solo un’amministrazione che odia i milanesi e ama l’islam ha potuto prendere la decisione di imporre ai cittadini la presenza di una moschea in ogni quartiere di Milano.
Ma veramente il sindaco comunista, buonista, islamicamente corretto e multiculturalista Giuliano Pisapia pensa che i milanesi subiranno questo arbitrio che minaccia la nostra civiltà laica, liberale e democratica senza reagire con tutti i mezzi legali?
Ma, aggiungo, veramente quest’amministrazione che è infatuata di ideologismi che portano a mettere in soffitta la ragione prima ancora del legittimo amor proprio, pensa che la proliferazione delle moschee corrisponde all’interesse e al bene della maggioranza dei musulmani che anche a Milano, come avviene in Italia e altrove in Europa, non sono praticanti e non hanno nulla a che fare con le organizzazioni integraliste, radicali e apertamente terroristiche che usano i luoghi di culto come roccaforti per espandere il loro potere non solo religioso, ma anche politico, mediatico, finanziario e talvolta esplicitamente violento?

Ecco perché Pisapia e la sua amministrazione catto-comunista si rivelano non solo nemici dei milanesi ma anche nemici della maggioranza dei musulmani onesti, che vivono nel pieno rispetto delle nostre leggi e condividendo una comune spiritualità che tende a costruire una Milano e più in generale un’Italia dove i loro figli possano sentirsi a tutti gli effetti milanesi e italiani.
Purtroppo Pisapia ha trovato un sostegno ideologico forte nel cardinale uscente Tettamanzi, che già nel discorso pronunciato il 5 dicembre 2008 nella Basilica di Sant’Ambrogio dal titolo «La città rinnovata dal dialogo», aveva apertamente chiesto la presenza di moschee in ciascun quartiere di Milano: «In tante zone della Città, inoltre, mancano anche gli spazi fisici e le occasioni concrete per fermarsi a riflettere e a pregare. Abbiamo bisogno di luoghi di preghiera in tutti i quartieri della Città. Ne hanno un bisogno ancora più urgente le persone che appartengono a religioni diverse da quella cristiana, in modo particolare all’Islam».
Mi domando come possano Pisapia e l’amministrazione catto-comunista ignorare che Milano è la capitale del terrorismo islamico in Italia, che la moschea di viale Jenner è la più inquisita e collusa con il terrorismo islamico globalizzato, che l’imam della moschea di viale Jenner sta scontando una condanna definitiva per aver praticato il lavaggio di cervello ai fedeli trasformandoli in terroristi suicidi che sono effettivamente andati a farsi esplodere in Iraq; che Milano è la roccaforte dell’Ucoii (Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia), sigla legata ai Fratelli Musulmani che è un movimento radicale che predica la distruzione di Israele, legittima il terrorismo suicida e mira ad imporre il credo di Allah ovunque nel mondo; che Milano ha già sperimentato il 12 ottobre 2009 un attentato terroristico suicida da parte del libico Mohamed Game di fronte alla Caserma Santa Barbara in piazzale Perrucchetti, attualmente in carcere con una condanna a 14 anni; che a Milano esistono già ben otto moschee che hanno già ampiamente dimostrato di rappresentare un problema serio per i milanesi.
Indubbiamente il concedere una moschea ai vari gruppi che si contendono il monopolio dell’islam a Milano e che sono profondamente in contrasto l'uno con l’altro, è la soluzione ottimale per questi «professionisti dell’islam» che usano le moschee per imporre il loro potere sui musulmani e condizionare la vita di tutti noi che non vogliamo in alcun modo sottometterci al culto di Allah.
Ma se Pisapia e i suoi catto-comunisti sono riusciti ad accontentare al meglio i Signori delle moschee, sappiano che i milanesi e i musulmani perbene non sono affatto contenti.
Lancio dalle pagine del Giornale l’appello a promuovere subito un referendum contro la costruzione di queste moschee in ciascun quartiere di Milano. Proprio perché si tratta di una realtà fortemente problematica e critica, le moschee non possono essere imposte dall’alto e in modo arbitrario ai milanesi. Noi, a differenza di Pisapia e dei suoi catto-comunisti, amiamo i milanesi e amiamo i musulmani perbene, ma diciamo no all’islam e no alle moschee che generano odio, violenza e morte.

di Magdi Cristiano Allam

LIBERO - Massimo Costa : " Islam moderato contro Pisapia: parla con un estremista "

Giuliano Pisapia
Ieri si è presentato a Palazzo Marino come il nuovo coordinatore del “Caim”, il neonato coordinamento delle moschee milanesi che raduna una decina di comunità tra cui quella di viale Jenner. Ma Davide Piccardo, fondatore dei giovani Musulmani, è diventato famoso per aver coperto di insulti Silvio Berlusconi davanti al Tribunale. Era il 2 maggio, e Davide, 29 anni, candidato al consiglio comunale per Pisapia nella lista di Sel, non ha resistito alla tentazione: «Mi fa schifo l’immagine che lui dà del nostro Paese». Fallita la corsa a Palazzo Marino, ieri il fan di Pisapia è diventato il principale interlocutore di Pisapia come portavoce del Caim, il coordinamento delle moschee che raduna una decina di gruppi islamici. «Siamo soddisfatti dell’incontro» esulta Piccardo, «l’amministrazione ha la volontà di risolvere i nostri problemi ». Il volto di Piccardo non è certo quello dell’islam moderato: figlio di Hamza Piccardo, fondatore estremista dell’Ucoii, ha costituito il gruppo di “Musulmani per Pisapia” e aveva organizzato una manifestazione in Duomo per sostenere l’ex parlamentare di Rifondazione (annullata per paura di perdere voti). La sua nomina, ieri, ha già diviso la comunità islamica. L’imam Yahya Pallavicini, della Coreis, è chiaro: «Noi non siamo entrati nel Caim enonlo riconosciamo come interlocutore unico del Comune.Nonsi ragioniconla logica dei “soviet”, l’incontro è nato all’in - segna del pluralismo, non per fagocitare tutti nella sua concezione». Contro le “convocazioni” diramate dal vicesindaco Maria Grazia Guida si è schierato anche Gamal Bouchaib, esponente dei Musulmani moderati: «Siamo stati tenuti fuori. L’incontro ci indigna perchè testimonia una volontà esclusiva operata a danno dei moderati. Questi gruppi non rappresentano l’Islam italiano, la consulta per l’Islam del Viminale è l’unico organo dei moderati». Polemica anche l’opposizione. «Pisapia e i suoi passano più tempo a incontrare rom e islamici che i milanesi» tuona Matteo Salvini, «una valanga di firme li seppellirà». Alessandro Morelli, consigliere comunale lumbard, propone «referendum zonali e comunali sulle mini-moschee». Nel Pdl, è durissimo l’ex vicesindaco Riccardo De Corato: «Non è il Comune che si deve far carico di trovare gli spazi. Se sono fuorilegge vanno chiusi ». Più possibilista, sui piccoli centri, il capogruppo Carlo Masseroli: «Ci siano soggetti interlocutori riconosciuti e non si creino squilibri nel tessuto sociale dei quartieri».
La STAMPA - Francesca Paci : " Passo necessario ora progetti anche per le altre città "

Chi ha paura della grande moschea? Se l'accordo di Milano chiude (almeno per ora) il contenzioso cultural-politico su cui si è combattuta l'ultima battaglia elettorale meneghina, la questione dei luoghi di culto islamico interessa tutta l'Italia almeno da quando, ultimi in Europa, ci confrontiamo con quella fetta della galassia migrante che dopo l'11 settembre 2001 è diventata il Problema. Paure e dubbi nascono in buona parte dal fatto che la comunità musulmana nostrana (circa un milione e mezzo di persone) è cresciuta in un periodo di tempo piuttosto breve e in maniera non omogenea, concentrandosi soprattutto in alcune zone (Lombardia, Emilia Romagna, Lazio, Veneto, Piemonte). Il risultato è che il solo evocare il canto del muezzin tuona come un inno bellico nelle regioni di frontiera.

«La polemica è strumentale, prova ne siano quel sindaco leghista della provincia di Vicenza che ha inaugurato la moschea cittadina o il ricorso contro il progetto della sala di preghiera di Torino presentato al Tar dal Carroccio locale e poi ritirato» osserva il sociologo Stefano Allievi, autore del saggio «Guerra delle moschee. L’Europa e la sfida del pluralismo religioso». La prassi evolve spesso più rapida della teoria, accade così che l’amministrazione di Verona, paladina della chiusura del campo nomadi di Boscomantico in stretta osservanza alla fede padana, fili invece d’amore e d’accordo con il centro culturale islamico. Eppure il minareto divide ancora politicamente al punto da essere costato la poltrona all’aspirante sindaco di Correggio.

«Il riconoscimento delle moschee è veicolo d’integrazione ma anche di sicurezza: è un bene che alcuni Comuni, a partire da Torino, inizino a lavorarci» insiste Abdellah Mechnoune, imam del capoluogo piemontese e membro del Comitato per l'Islam italiano. Nella sua città adottiva i timori evidenziati dal giornalista Magdi Allam nel denunciare la nascita di una moschea italiana ogni 4 giorni si stemperano nella dialettica d’una giunta che per «sanare» i 12 luoghi «abusivi» di culto islamico ha raggiunto l’accordo di massima per la costruzione di un centro «idoneo» in via Urbino.

Torino, insieme a Genova, è considerata una delle punte avanzate del processo integrativo nell’Italia che conta 3 moschee con regolare minareto contro le 70 tedesche, le 200 francesi e le almeno 150 britanniche. «Il nodo è più simbolico che religioso, perché i musulmani potrebbero pregare ovunque: si tratta di dignità, le moschee non sono legate all’immigrazione ma riguardano soprattutto i giovani come me, musulmani italiani» spiega Ahmed Abdelaziz, portavoce dei Giovani Musulmani e testimone dell’accordo di Milano di cui è un entusiasta sostenitore. «Si poteva far leva sull’apertura di un sindaco come Pisapia e chiedere la grande moschea» nota Khalid Chaouki, responsabile delle Seconde Generazioni del Pd. Per il momento però, il capoluogo lombardo riceve gli applausi del presidente dell’Ucoii Mohamed Dachan e fa scuola, specie nei giorni in cui il sindaco leghista di Cittadella (Padova), mette al bando il kebab, troppo etnico per il palato indigeno dei suoi.

«Nel Nord-Est ci sono realtà difficili ma a Rovereto, per dire, abbiamo approvato una variante al Prg che prevede la possibilità d’aprire luoghi di ogni culto, islam compreso» dice la marocchina Aicha Mesrar, prima musulmana velata eletta consigliere comunale in Trentino. Cosa c’è allora oltre la paura? «L’importante è che le strutture vengano inserite nei piani regolatori» avverte Mario Scaloja, responsabile della Lega musulmana mondiale in Italia e veterano della grande moschea di Roma. D’accordo sulla trasparenza, ma secondo la deputata Pdl Souad Sbai per dissolvere la nebbia urge un osservatore superpartes: «E’ giusto che i Comuni lavorino ma l’ultima parola spetta al Comitato per l’islam italiano, dove siedono anche i musulmani moderati». Il canto del muezzin nostrano è ancora un’eco vaga.