venerdì 31 maggio 2013

IL PRINCIPIO DELL’ETERNA NATURA ANCORAGGIO DELLE TRE RELIGIONI MONOTEISTE E DI ALTRE AGENZIE DEL SAPERE

Sulla divisione sessuale tra i sessi “secondo natura”.
Forse occorrerebbe chiedersi quanto influisca in Italia il pensiero della naturalità della divisione dei ruoli, sull’aumento esponenziale del femminicidio.

Domenica 12 maggio all’Angelus, Papa Francesco affacciandosi alla finestra, non si è limitato al solito saluto da parroco di campagna. Ha voluto rivolgersi esplicitamente ai partecipanti (sindaco Alemanno in testa) alla processione in favore della “famiglia naturale” e in “difesa della vita dall’embrione alla morte”. Il suo stile di vita francescano che è piaciuto a tutti/e meno, sicuramente, ai curiali romani e ai monsignori di tutto il mondo cattolico, ha permesso di ignorare il suo pensiero dottrinale che corrisponde in tutto e per tutto, a quello del suo predecessore e a quello del Papa polacco.
 
Chi ha letto il primo libro immediatamente tradotto e pubblicato all’indomani della sua elezione, se n’è reso conto subito. “Il cielo e la terra” è un dialogo con il rabbino Abraham Skorka, entrambi argentini.
 
A proposito del matrimonio, per esempio, d’accordo con il rabbino, Bergoglio, spiega che l’unione dell’uomo e della donna è la base del diritto naturale. E che “la natura ha in sé una normativa che regola il comportamento umano. Ne discende che Dio stesso ha infuso questo messaggio nella Creazione.”.
 
La sociologa Chiara Saraceno ha scritto un saggio dedicato alle trasformazioni storiche del fare coppia e famiglia per dimostrare che la presunta natura è un non senso (Coppie e famiglie, non è questione di natura, ed. Feltrinelli, 2012).

 E quindi che è un non senso sancire le differenze di ruolo sessuale tra maschi e femmine che ben conosciamo come, appunto, secondo natura.

 



Tra ruolo di accudimento e affettività da un lato e autorevolezza dall’altro, per Bergoglio e per i laici tradizionalisti, c’è una contrapposizione precisa e irriducibile che sottende all’essere femmina e maschio.

 Alle donne tocca e toccherà sempre il ruolo (materno) dell’accudimento e agli uomini il ruolo (paterno) del trasmettere la legge e proteggere la prole.
 
 



Alle suore riunite in San Pietro, il Papa argentino ha raccomandato di essere madri e non zitelle. Le zitelle, termine obsoleto in lingua italiana postmoderna, indicava le “signorine” che avevano superato i 25/30 anni senza “trovare marito”. Le suore “madri” non inacidite zitelle possono sopportare meglio l’esclusione dal sacerdozio, cioè dal potere vero nella Chiesa. La donna nella Chiesa, scrive Bergoglio non può diventare presbitero perché Gesù, sommo sacerdote è un maschio. Nel cristianesimo la donna “ha un’altra funzione, che si riflette nella figura di Maria. E’ quella che accoglie la società, che la contiene, la madre della comunità. La donna ha il dono della maternità, della tenerezza. “
 
Saraceno nel suo libro scrive anche che “ nel resoconto psicoanalitico classico basato sul modello ideale della famiglia borghese, intima ma strutturata attorno a una forte divisione delle competenze delle attività e del potere tra i sessi, questo mandato è rappresentato dall’intervento paterno che rompe la fusionalità madre bambino…”. In altri termini lo transita nel mondo, nella realtà per l’assunzione di responsabilità. Si tratta del figlio maschio. La figlia può restare nella stretta relazione con la madre per imitare, da adulta, la funzione di contenimento emotivo e affettivo, del tipo “riposo del guerriero”.
 
Le tre religioni monoteiste, le grandi agenzie del sapere come la psicologia, la psicoanalisi, la pedagogia e, dunque i corollari istituzionali come l’università e le scuole, sono, in genere, ancora ancorate al principio dell’ eterna natura che genera le modalità dell’esistere. Per i credenti si tratta di un disegno divino, come recita anche il nuovo catechismo della Chiesa Cattolica.
 
A fronte delle svariate storiche forme delle relazioni sessuali e del fare famiglia, persiste un pensiero tradizionale fondato sulla divisione sessuale tra i sessi “secondo natura”.
 
Scrive la psicologa Daniela Benedetto : “Il ruolo della figura materna è stato più volte delineato e sembra avere certezze ed essere maggiormente ancorato a una cultura condivisa a dinamiche di accadimento, affettive e di sostegno, di scambi emotivi e comunicativi ritenuti validi per tutti, soprattutto nei primi mesi di vita, come rilevanti ai fini di una sana crescita fisica e psicologica del bambino.”
 
Scrive la psicologa Mariangela Corrias: "Il codice materno è fondamentalmente affettivo, protegge e aiuta il bambino ad acquisire quella sicurezza di base che gli permette di affrontare la vita con equilibrio. Il codice paterno definisce limiti e regole ed è altrettanto importante per la sicurezza del figlio, gli fornisce strumenti per confrontarsi con la realtà e interagire con essa, gli dona maggiore sicurezza e gli permette di acquisire la capacità di comunicare le emozioni, di costruire un’identità stabile, responsabile e autonoma.”. Come dire: se ci si discosta da questo modello naturale ed eterno, le derive psicologiche saranno inevitabili.
 
Se ci discostiamo dalla massa di psicologi, psicoanalisti e psicoterapeuti formati dall’università e dalle scuole di formazione, incontriamo (qualche volta) un pensiero diverso, come si evince leggendo ciò che scrive la psicoanalista Simona Argentieri che auspica una ridefinizione delle identità di genere “ in modo da arrivare a permettere lo svolgimento di ambedue i ruoli, e di entrambi le funzioni di entrambi i sessi: perché i maschi non dovrebbero svolgere anche una funzione materna nei confronti dei figli? Anche la funzione paterna va distribuita equamente tra uomini e donne, se per funzione paterna (io per lo meno così la intendo) il poter esercitare un’autorità, dare dei limiti, essere protettivi, favorire la crescita.”.
 
Manuela Fraire, autorevole psicoanalista femminista, fornisce una lettura nuova rispetto al modo di essere, tradizionale e sostenuto dalla psicologia, della donna: “L’amore di sé ancora passa per una donna innanzitutto attraverso la cura dell’altro.(…) La salute mentale di una donna è ancora misurato –da lei stessa- dalla capacità di prendersi cura in tutti i suoi significati privati e pubblici del mondo in cui vive.”
 
Una psicanalista, in visita a un amico in un condominio, leggendo le targhette dei nomi, lesse anche quella di una sua paziente .

 Quando la paziente si recò in seduta, l’analista le fece notare con evidente disappunto, che non era giusto il suo cognome e quello del marito, perché avrebbe dovuto –per la sua sanità psichica- omettere il suo per quello del marito preceduto dal solito “fam.” per famiglia; anche se si trattava di due coniugi senza figli.
 
 



Una giovane dice alla strizza cervelli che, una volta sposata, sa che dovrà sobbarcarsi “naturalmente” la cura della casa, ma spera che il marito resti con lei qualche sera e condivida anche qualche sabato e domenica sottraendolo ai suoi hobby. Ancora oggi persino i giovani e le giovani danno per scontati i ruoli praticati da genitori e nonni. . L’educazione di genere, in altre parole il modellamento di genere, si configura dunque come pressione omologatrice alla tradizione.
 
Bambine e bambini assimilano la tradizione attraverso processi di osservazione e identificazione con le figure genitoriali, imparando le richieste a loro rivolte di rispetto dei confini in ordine a ciò che si deve o non si deve fare per essere accolti, accettati e autorizzati a vivere da “normali”.
 
L’educazione di genere è proprio un insieme di comportamenti, di azioni e d’intenzioni circa esplicitate da chi ha la responsabilità educativa in merito al vissuto di genere e alle relazioni di genere. Cioè, i gruppi sociali e culturali -dalla scuola, alle istituzioni universitarie, alle chiese, alle televisioni, alle istituzioni psicoanalitiche ecc., praticano un’educazione di genere che influenza i soggetti.
 
La stessa cosa vale per la religione islamica soprattutto nell’ emigrazione.
Sono numerosi i libri e gli interventi in Internet volti a dare indicazioni al popolo credente musulmano, dalle varie istituzioni come l’UCOOI. Si può leggere che “Per una donna musulmana la casa è dunque al centro dell’attenzione, ed il benessere del marito e dei figli la sua prima preoccupazione, subito dopo i suoi doveri verso Dio. Questo ruolo non le impedisce, col consenso del marito, di intraprendere un lavoro fuori di casa, di continuare la propria educazione, e di prestare un servizio volontario nella comunità. Ma deve far sì che le proprie responsabilità, verso la casa e la famiglia, siano sempre assolte, nel timore che la famiglia stessa, la struttura base della società islamica, sia trascurata, con la sua assenza, a mancare la sicurezza e l’esempio necessari al marito ed ai figli.”
 
Modelli multipli di mascolinità e femminilità, multipli e flessibili esistono nella pratica, ma la loro legittimazione istituzionale è perlomeno equivoca. La pubblicità deve tenere conto del punto di arrivo dell’evoluzione dei costumi, ebbene, ecco che un nuovo prodotto per la pulizia della casa è spiegato da un uomo alla “inesperta” o superficiale moglie/madre allieva attenta e disponibile. Perfino quando si tratta della cucina, è il marito a indicare alla moglie il nuovo modo di cucinare rapido e appetitoso e a ricevere la conferma di ruolo da lui e dai figli.
 
Forse occorrerebbe chiedersi quanto influisca in Italia il pensiero della naturalità della divisione dei ruoli, sull’aumento esponenziale del femminicidio.
 
Loredana Lipperini e Michela Murgia hanno dato alle stampe un libretto denso di concetti intorno al problema del femminicidio (“L’ho uccisa perché lo amavo” FALSO!, ed.Laterza, 2013). Scrivono che nella maggioranza dei casi le donne uccise, sono donne abbandonanti e che occorre partire proprio da qui, “da quel racconto deviato che riporta tutto a un concetto ‘naturale’ (si è maschi e femmine per natura e non per ’cultura’) ancora non scalfito nonostante i secoli. (---) il femminicidio si chiama così proprio perché definisce un tipo di delitto che avviene all’interno di relazioni impregnate di una struttura culturale arcaica , che ancora, non si dissolve.”
 
Le donne, appunto, non devono in nome del diritto alla propria libera realizzazione, decidere di separarsi, di abbandonare il figlio/marito. Devono, le donne, rispettare il principio (naturale e divino) che: “L’uomo deve incarnare la guida, la regola, l’autorevolezza. La donna deve uscire dalla logica dell’emancipazione e riabbracciare con gioia il ruolo dell’accoglienza e del servizio”. Murgia e Lipperini riportano le parole di Costanza Miriano, giornalista e scrittrice che ha dato alle stampe il libro “Sposati e sii sottomessa”.
Il femminicidio può allora essere considerato la reazione naturale – scrivono ancora Murgia e Lipperini - la reazione naturale all’indebita pretesa di instaurare un ordine non naturale.
 
Di Ileana Montini | 22.05.2013