sabato 11 maggio 2013

Un frammento da Tunguska risolverà un mistero di cento anni?

Un frammento da Tunguska risolverà un mistero di cento anni?
Tre frammenti piovuti dal cielo potrebbero essere quel che resta della gigantesca esplosione che interessò la Siberia nel lontano 1908: lo studio di un ricercatore russo.

Ai tempi di Tunguska non esistevano telecamere e telefonini, nessun evento venne documentato su alcun supporto che potesse durare anche per i posteri: così, dinanzi a quel boato che parve squarciare la terra e che fu udibile per chilometri e chilometri nella sterminata Siberia, lo stupore prese il sopravvento di fronte all’inspiegabile. A distanza di oltre cento anni da quell’evento straordinario, dunque, inevitabilmente ci si interroga ancora sulla sua natura, a dispetto di spedizioni e studi sul posto che solo in parte sono riusciti a chiarire “il mistero”: in assenza di frammenti, crateri di impatto, al cospetto di un fenomeno che si ebbe luogo in un’area completamente disabitata, si è comunque verosimilmente ipotizzato che la causa di tutto sarebbe stato un asteroide, esploso nella nostra atmosfera ad una decina di chilometri dalla superficie distruggendo una vasta area coperta soltanto dagli alberi delle foreste siberiane. Ma non mancarono teorie discordanti: ci fu infatti chi sostenne che all’origine dell’impatto ci sarebbe stata una cometa. Recenti studi potrebbero forse aiutare a decifrare, finalmente, l’enigma?

Andrei Zlobin del Vernadsky State Geological Museum di Mosca ritiene di essere incappato in alcuni frammenti “piovuti dal cielo” in quella mattina del 30 giugno del 1908: si tratterebbe di resti che potrebbero fornire indicazioni in merito alla natura dell’oggetto sul quale tanto si è dibattuto, ricercato, interrogato, senza mai giungere ad una risposta. Tre sassi provenienti dal letto del fiume Khushmo, nella regione di Tunguska, che vennero raccolti come campioni da analizzare nel giugno del 1988, nell’ambito di una delle tante spedizioni che partì alla volta della “depressione di Suslov”, una sorta di cratere che, negli anni, è stato spesso additato da diversi ricercatori come un grosso solco formatosi in seguito al violento impatto con un corpo celeste.

Il gruppo, del quale faceva parte lo stesso Zlobin, si soffermò anche sulle aree limitrofe del lago Cheko, anch’esso indicato da molti come la testimonianza terrestre della deflagrazione celeste. Analizzando gli strati fino al 1908, gli studiosi non si imbatterono in frammenti particolarmente interessanti. Sulla via del ritorno, tuttavia, si decise di prelevare alcuni sassi dal fiume Khushmo: alcuni di essi presentavano effettivamente l’aspetto di meteoriti, altri vennero presi anche semplicemente per il loro valore estetico. Circa un centinaio di pezzi, per un peso totale di appena un chilo e mezzo, che vennero spediti alla volta di Mosca: lì restarono in deposito, aspettando le indagini preliminari a cui furono sottoposti molti anni dopo.



In una prima fase della ricerca, Zlobin ha innanzitutto elaborato una serie di modelli per confermare la possibilità che piccoli frammenti dell’oggetto che impattò a Tunguska potessero arrivare fino all’areale del fiume in questione; poi, nel 2008, tirò fuori le piccole pietre provenienti dalla vecchia spedizione e ne selezionò tre che recavano evidenti segnali di fusioni sulla superficie uniti a dentellature che potevano essere messe in relazione con un corpo roccioso che, proveniente dallo spazio, avrebbe preso fuoco a contatto con l’atmosfera terrestre. L’autore, nel descrivere i tre campioni, ha attribuito loro dei nomi per evidenziarne al meglio le caratteristiche chiamandoli «corona dentale», «balena» e «barca» (in foto, fonte Andrei Zlobin/arXiv.org): per comprendere quanto piccoli sono i sassi basti pensare che balena, il più grosso, misura 10.4 grammi di peso per una diagonale massima di appena 29 millimetri.

Modelli matematici avrebbero consentito all’autore di determinare come le evidenze di fusione sulle rocce non andrebbero ricondotte alle temperature raggiunte dal suolo terrestre durante l’impatto che, benché elevate, non sarebbero state sufficienti: i frammenti farebbero dunque parte di quell’oggetto che esplose su Tunguska, il cui boato venne percepito a centinaia di chilometri di distanza e i cui bagliori, secondo alcune testimonianze dell’epoca, avrebbero illuminato persino la notte londinese? L’idea di Zlobin è che tale scenario sarebbe assolutamente verosimile e che, dunque, a colpire le disabitate foreste della regione siberiana, in quella mattina, sarebbe stata forse una cometa e non un asteroide: i tre pezzi ritrovati, infatti, altro non sarebbero se non il nucleo roccioso di una cometa ghiacciata entrata in contatto con l’atmosfera terrestre e, in seguito a ciò, deflagrata in migliaia di pezzi. Possibile? Forse sì o forse no: fino a quando analisi chimiche non potranno appurare origine e natura dei frammenti, quella di Zlobin resterà soltanto un’ipotesi, benché suffragata da alcuni interessanti indizi. Lo studioso ha reso pubbliche le proprie osservazioni sul sito arXiv.org, grande archivio accessibile da internet che contiene bozze definitive di paper scientifici: adesso bisognerà aspettare indagini mirate per, eventualmente, confermare che «corona dentale», «balena» e «barca» siano effettivamente parte del misterioso oggetto, rincorso da decenni da studiosi ed appassionati.

Nell’ambito del dibattito relativo a Tunguska non è certamente la prima volta che si parla di cometa come alternativa possibile all’asteroide: un oggetto come quest’ultimo, ad esempio, è stato certamente all’origine del fenomeno straordinario e spettacolare verificatosi ancora una volta nella vasta Siberia lo scorso febbraio, secondo il parere degli esperti. Su Tunguska, benché anche qui la maggior parte delle teorie converga sull’ipotesi asteroide, il “mistero” è invece ancora d’obbligo e, magari, non sarà neanche Zlobin a dissipare le nebbie (e in effetti, il fatto che l’articolo sia stato pubblicato a distanza di tanti anni dalla raccolta dei campioni lascia in sospeso più di una domanda): resta il fatto che, a oltre un secolo dall’evento straordinario, quella remota località della Siberia immersa nelle foreste e nel silenzio continua ad catturare interesse ed attenzioni da tutto il mondo.

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