domenica 18 novembre 2012

Quante mutazioni ci vogliono per evolvere un nuovo tratto?

Per quanto le mutazioni si verifichino a un ritmo relativamente costante, nelle specie si osservano picchi evolutivi intervallati da periodi durante i quali le modificazioni genetiche hanno scarso significato adattativo. Due nuove ricerche indicano nella coevoluzione con altre specie il meccanismo che consente di passare da un picco a quello successivo (red)


L'evoluzione di una popolazione presenta momenti di intenso cambiamento, i cosiddetti picchi evolutivi, durante i quali combinazioni di geni conferiscono ai singoli membri della specie una elevata idoneità al loro ambiente, seguiti da momenti di relativa stasi, come se nel paesaggio evolutivo vi fossero delle "valli adattative", in cui le modificazioni genetiche che possono intervenire hanno un significato adattativo molto ridotto.

Considerato che le mutazioni spontanee si manifestano a un tasso relativamente costante, questo scenario pone un problema: restando nella metafora del paesaggio evolutivo, come viene attraversata una valle adattativa per giungere al successivo picco? O per dirla in altri termini: quante mutazioni sono necessarie perché venga acquisito un nuovo tratto evolutivamente significativo?
Una risposta viene da due studi pubblicati ora su "Science" da un gruppo di ricercatori della Michigan State University a East Lansing, della Washington University a St. Louis e del Georgia Institute of Technology a Atlanta, e da un secondo gruppo dell'Università della California a Irvine, dell'INSERM di Parigi e dell'Université Paris Diderot. Questi studi dimostrano che nel plasmare le novità fondamentali hanno un ruolo chiave i processi di coevoluzione.

In una delle ricerche, gli autori hanno studiato in provetta la coevoluzione di un virus, il batteriofago lambda, e del batterio Escherichia coli, incentrata sullo sviluppo della capacità del fago di aderire alla superficie del batterio e della parallela capacità dei batteri di evitare questa adesione.

Per legarsi a E. coli, il fago lambda utilizza una proteina, chiamata J, che ha come bersaglio una singola proteina batterica di superficie, LamB. Il cambiamento più significativo osservato nella
popolazione dei fagi nel corso dell'esperimento è stata l'evoluzione di una forma mutante di J che si lega a una proteina diversa della superficie batterica, OmpF, proteina che pur avendo una struttura cristallina simile a LamB, è caratterizzata da una sequenza di amminoacidi molto diversa. I fagi mutanti così aggirano l'evoluzione della resistenza alla proteina LamB spostando l'attacco a una proteina di superficie batterica strutturalmente simile al normale sito di adesione sfruttato dalle loro popolazioni ancestrali.
Di fatto, il verificarsi dell'improbabile corretta successione di queste mutazioni viene facilitato dalla coevoluzione dei due organismi. Il sequenziamento del genoma dei fagi ha anche rivelato che due di queste mutazioni erano identiche in tutte le sperimentazioni, mentre altre due variavano leggermente in funzione del tipo di coevoluzione delle diverse popolazioni.

Questo risultato, osservano i ricercatori, indica che la traiettoria secondo cui si sviluppa la coevoluzione non è unica e inevitabile.

Nel secondo studio, i cui risultati confermano questa interpretazione, i ricercatori hanno esposto 155 differenti popolazioni di E. coli alle alte temperature, osservando come come il loro genoma evolveva nel corso di 2000 generazioni e identificando un totale di 1331 mutazioni.

http://www.lescienze.it/news/2012/01/27/news/evoluzione_coevoluzione_tratti_adattamento_virus_batteriofago-816920/