venerdì 30 novembre 2012

La "giovane età" delle mutazioni del genoma umano

Moltissime varianti del nostro genoma si sono accumulate in tempi relativamente recenti, tra 5.000 e 10.000 anni fa, ovvero nel periodo di crescita accelerata della popolazione. Lo dimostra un'analisi sui dati genetici di migliaia di cittadini americani. Lo studio rivela anche che gli afroamericani sono portatori di un minor numero di varianti dannose (red)


Nel genoma umano, lo spettro di un particolare tipo di varianti genetiche codificanti per proteine, cioè di mutazioni a carico di geni che sono ancora funzionali, è notevolmente differente da quello di “appena” 5000 anni fa: è quanto sostiene Joshua Akeye, del Dipartimento di scienze del Genoma dell'Università di Washington a Seattle. In un articolo pubblicato sulla rivista “Nature”, Akeye e colleghi analizzano i dati di 6515 cittadini statunitensi per calcolare l' “età evolutiva” delle varianti di oltre 15.300 geni, corrispondenti a circa un milione di coppie di basi.

La ricerca è focalizzata sulla valutazione quantitativa delle varianti di singolo nucleotide (SNV), cioè delle variazioni del materiale genetico che riguardano una sola delle quattro basi del DNA: adenina, timina, citosina o guanina. Le analisi hanno permesso di evidenziare un dato sorprendente, e cioè che circa il 73 per cento delle SNV che codificano per proteine sono emerse entro gli ultimi 5.000-10.000 anni. Un arco di tempo assai breve in una prospettiva evoluzionistica, ma che ha un'enorme importanza per la storia filogenetica dell'uomo, poiché coincide con un periodo di crescita accelerata della popolazione.
Nello stesso periodo ha avuto origine anche l'86 per cento delle SNV che si ritiene abbiano un effetto deleterio sull'organismo. Di grande interesse inoltre la differenza riscontrata tra le due sottopopolazioni considerate, cioè da americani di origine europea e da afroamericani. L'età media di tutte le SNV riscontrate nei due gruppi è stata, rispettivamente, di 34.200 anni e di 47.600 anni, mentre per le variazioni dannose sono di 3.000 e 6.200 anni.

Il fatto che gli afroamericani siano portatori di un minor numero di mutazioni dannose può
essere spiegato, secondo gli autori, tenendo conto che essi discendono in massima parte da antenati arrivati negli Stati Uniti con la tratta degli schiavi, e quindi rimasti per moltissime generazioni nel continente africano, dove una pressione selettiva molto elevata ha agito eliminando gli alleli dannosi.

I risultati dello studio contribuiscono a delimitare cronologicamente le varianti che codificano per proteine. In particolare, è emerso un aumento della capacità mutazionale delle popolazioni umane recenti, che non ha mancato di produrre una maggiore diffusione delle malattie e dei disturbi genetici dovuti a un singolo gene. Ma è anche probabile che questa aumentata variabilità possa produrre cambiamenti genetici positivi per le generazioni a venire.

http://www.lescienze.it/news/2012/11/29/news/varianti_genetiche_recenti_genoma_umano-1390615/