lunedì 3 settembre 2012

Perché i neonati umani sono così indifesi

Nascere in una fase precoce dello sviluppo forse non è il frutto dell'evoluzione concomitante di un cervello di grandi dimensioni e della locomozione bipede, ma la risposta a un'eccessiva domanda metabolica del feto. Questa precocità potrebbe comunque servire a ottimizzare le possibilità di sviluppo neuronale cognitivo e motorio

di Kate Wong



Quando i neonati dell’essere umano si affacciano al mondo dipendono in tutto da chi si prende cura di loro. Anche i neonati di altre specie di primati hanno bisogno di essere accuditi, ma quelli umani sono particolarmente indifesi perché i loro cervelli sono poco sviluppati. Per raggiungere una fase di sviluppo neurologico e cognitivo paragonabile a quella di un neonato di scimpanzé, un feto umano avrebbe bisogno da 18 a 21 mesi di gestazione invece di nove.

Gli antropologi hanno a lungo attribuito alle dimensioni del bacino il limitato periodo di gestazione dell’uomo, ma una nuova ricerca potrebbe mettere in discussione questo punto di vista.

La spiegazione tradizionale dei nove mesi di gestazione e della nascita di neonati indifesi è che la selezione naturale avrebbe favorito il parto in una fase iniziale dello sviluppo fetale per conciliare le selezione di un cervello di grandi dimensioni con la selezione della locomozione in postura verticale, caratteristiche che definiscono entrambe la stirpe umana.

In questa prospettiva, l’adattamento al bipedismo avrebbe limitato la larghezza del canale del parto, e di conseguenza le dimensioni del bambino che può passare attraverso di esso: i neonati umani nascono quando le dimensioni del loro cervello sono meno del 30 per cento di quelle del cervello adulto. Lo sviluppo continua poi al di fuori del grembo materno, portando quasi al raddoppio delle dimensioni del cervello nel primo anno.

Ma quando Holly M. Dunsworth, dell'Università di Rhode Island, e colleghi hanno testato la cosiddetta ipotesi del dilemma ostetrico, i loro risultati non corrispondevano. Per esempio, l'ipotesi prevede che, poiché il bacino femminile è più ampio di quello maschile, camminare e correre dovrebbe richiedere più energia alle donne che agli uomini. Tuttavia, la maggior parte degli studi sulla meccanica
e sul dispendio energetico della locomozione in uomini e donne non ha trovato svantaggi legati all’avere un bacino più largo.

Inoltre, per accogliere un bambino in una fase di sviluppo cerebrale simile a quello dello scimpanzé, cioè con un cervello pari al 40 per cento delle dimensioni di quello adulto (640 centimetri cubici), l'ingresso pelvico (la parte superiore del canale del parto, che è la più stretta) avrebbe dovuto ampliarsi in media di tre centimetri. Alcune donne di oggi hanno un ingresso pelvico di quelle dimensioni e non mostrano alcun effetto misurabile sul costo della locomozione. Secondo i ricercatori, l’espansione del cervello del feto non sarebbe stata limitata dalle dimensioni del bacino materno ma da qualche altro fattore.

Questo altro fattore, sostengono la Dunsworth e colleghi, è il tasso metabolico della mamma. "Per la madre la gestazione è un pesante fardello metabolico (misurato in calorie consumate)", spiegano. I dati relativi a una vasta gamma di mammiferi suggeriscono che ci sia un limite a quanto un feto può crescere e diventare energeticamente dispendioso prima di uscire dal grembo materno. Una volta al di fuori del grembo, la crescita del bambino rallenta a un tasso più sostenibile per la madre.

Sulla base di un'idea nota come ipotesi del crossover metabolico – già avanzata da Peter T. Ellison dell'Università di Harvard, coautore anche di questo studio – il team di ricerca ipotizza che "i vincoli energetici della madre e del feto sono i determinanti principali della lunghezza della gestazione e della crescita fetale negli esseri umani e tra i mammiferi”. Dopo nove mesi o giù di lì, le esigenze metaboliche di un feto umano minacciano di superare la capacità della madre di soddisfare sia il proprio fabbisogno energetico sia quello del bambino, e quindi avviene il parto.

Nella loro relazione, pubblicata online dai “Proceedings of the National Academy of Sciences”, Dunsworth e collaboratori concludono che "se il sistema riproduttivo umano pone un dilemma tra esigenze concorrenti, sono il fabbisogno energetico del feto e l'approvvigionamento energetico materno a essere in gioco, più che l'espansione del cervello e il bipedismo”.

Quando ho chiesto a Karen Rosenberg, paleoantropologa dell'Università del Delaware ed esperta di evoluzione della nascita umana, che cosa pensava del nuovo lavoro, lo ha definito "importante e interessante." Ma, ha osservato, "il solo fatto che ci sia un momento metabolico in cui diventa ragionevole avere un bambino non significa che non sia anche vero che il bacino sia un compromesso tra momento del parto e bipedismo".

Se si considera quanto è difficile la nascita umana, viene da pensare che, se il bacino potesse essere più grande senza compromettere la locomozione, allora lo sarebbe. Ma così non è, osserva la Rosenberg: "Continuo a ritenere che il bacino sia adattato a funzioni che consentono di selezionare in direzioni opposte". La Rosenberg osserva inoltre che gli autori citano la possibilità che il momento della nascita di fatto ottimizzi lo sviluppo neuronale cognitivo e motorio. Questa idea, avanzata per la prima volta nel 1960 dallo zoologo svizzero Adolf Portman, vale la pena di essere approfondita, dice la Rosenberg: "Forse i neonati umani sono adattati per assorbire tutto questo materiale culturale e forse nascere prima permette di farlo. Forse, se sei un animale culturale, è meglio nascere prima."


(La versione originale di questo articolo è apparsa su scientificamerican.com il 28 agosto 2012. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

http://www.lescienze.it/news/2012/09/03/news/neonati_uomo_indifesi_evoluzione_cervello_bacino_bipedismo-1232165/