mercoledì 5 settembre 2012

Tunisia. Fiori d’inverno

Altro che gelsomini. La rivoluzione a Tunisi è un cactus pieno di spine. Che si chiamano salafiti, estremisti religiosi, poliziotti. E colpiscono chiunque non si voglia adeguare
 


La colpa è sempre degli stranieri. Se ci fossero stati solo tunisini, tanto clamore sarebbe stato evitato. Lo avranno pensato i 200 salafiti che il 16 agosto, a Bizerte, hanno attaccato il festival culturale palestinese Al Quds a colpi di bastoni e spranghe, per poi sfilare sul lungomare e prendersela con le bagnanti, a loro dire troppo poco vestite. Nella loro furia è incappato anche Jemal Gharbi, consigliere regionale francese, che ha evitato il linciaggio per un soffio. E si è rivolto alle autorità, con l’intento di non demordere finché i suoi aggressori non saranno puniti. Non gli sono bastate le scuse del ministro degli Esteri prima, e del premier poi. La macchina diplomatica si è inceppata per l’ostinazione del consigliere socialista, costringendo tutti a prendere posizione. E adesso Gharbi gira per le trasmissioni televisive raccontando – lui, che è di origini tunisine – cos’è diventata la Rivoluzione dei gelsomini. E non è una favola a lieto fine.
 
Così la violenza degli estremisti di Bizerte si è alla fine trasformata in una bella gatta da pelare per il premier Hamadi Jebali: come rappresentante del governo è obbligato alla condanna del gesto, ma come segretario generale di Ennahdha, il partito islamico al potere, non può prendere troppo le distanze dal movimento salafita, che ha dimostrato di poter agitare la piazza come e quando vuole. E non solo a Bizerte, un tempo nota per essere una delle località turistiche più belle della Tunisia, ma in tutto il Paese, capitale compresa. Quella di agosto è solo l’ultima di una serie di aggressioni a scopo “moralizzatore”: come per le donne in costume, la riprovazione degli estremisti islamici si è abbattuta sugli uomini che bevono nei bar, sulle ragazze che guidano e su quelle che non vestono in maniera consona – che per loro significa coperte dalla testa ai piedi. E non sono mancate le aggressioni ai credenti sciiti e soprattutto ai fedeli sufi, giudicati troppo tolleranti per essere davvero musulmani. Inutili le manifestazioni di protesta, i cortei delle donne a difesa dei loro diritti – l’ultimo, poche settimane fa, per condannare la scelta di indicare nella nuova Costituzione la donna come complementare, e non uguale, all’uomo. Per impedire le manifestazioni non gradite, gli estremisti hanno un sistema collaudato: andare nel luogo del raduno e mettersi a pregare. Nessuno può cacciarli, nessuno può più utilizzare lo spazio. Semplice, efficace e intollerante. «Benvenute in Tunistan», dice Amina Azouz, giovane insegnante dell’università di La Manouba, pochi chilometri a nord di Tunisi. «Mettetevi una minigonna, fate tardi la sera, e non avrete dubbi: passerete la notte al posto di polizia». Uscire la sera, per molte, è diventato un incubo: «Quando le autorità ti arrestano, è la fine. Picchiano, insultano, ti stracciano i vestiti. Niente è cambiato, a parte il fatto che oggi i poliziotti hanno scuse religiose per farlo». Dopo le elezioni del 23 ottobre scorso, le prepotenze dei radicali islamici si sono fatte quotidiane, complici gli uomini al governo, che coprono e persino sobillano i gruppi estremisti. La polizia preferisce lasciarli fare, e piuttosto aggredisce i manifestanti pacifici, o chi contesta le scelte del governo in materia sociale. Lo ha fatto con i lavoratori di Sidi Buaziz a luglio, con quelli di Tunisi ad agosto. Spari e arresti, detenzioni arbitrarie e botte. «Manifestazione non autorizzata», è la scusa. Amina è sconfortata, ma non scoraggiata: «Tante cose sono cambiate, ma ce la faremo. Se vieni qui vedrai che il sogno era un bel sogno ma è finito. È l’ora del risveglio brutale».

http://www.left.it/2012/08/31/tunisia-fiori-dinverno/5986/