sabato 8 settembre 2012

IL VATICANO E IL FASCISMO CONDANNATI ALL' ACCORDO



IL VATICANO E IL FASCISMO CONDANNATI ALL' ACCORDO


Benito Mussolini e il Cardinale Pietro GasparriMa lo squadrismo anticattolico intralciò i negoziati.
Nel 1895 gli abitanti liberali di Borgo, il quartiere romano che si affaccia su piazza San Pietro, decisero di festeggiare con discorsi e luminarie il venticinquesimo anniversario della presa di Roma. Un'altra festa laica alle porte della Santa Sede, forse ancora più pericolosa di quella per l'inaugurazione del monumento a Giordano Bruno in Campo de' Fiori il 9 giugno del 1889? Il cavaliere Giuseppe Manfroni, commissario di pubblica sicurezza, corse ai ripari. Prima parlò con gli organizzatori della festa e li convinse a evitare che le luminarie venissero estese a piazza San Pietro. Poi parlò con i suoi abituali interlocutori del Vaticano per evitare che i clericali rispondessero alle celebrazioni blasfeme con un pubblico funerale dei soldati pontifici morti il 20 settembre 1870. Non riuscì a impedire qualche reciproca provocazione, ma la giornata passò senza troppi inconvenienti. E Manfroni tirò un sospiro di sollievo.


Vi sono in questa vicenda i due ingredientiche hanno caratterizzato per parecchi decenni i rapporti fra lo Stato italiano e la Santa Sede: il mediatore e la provocazione. Come ricorda Gabriele Paolini nel saggio che precede la pubblicazione della corrispondenza fra il cardinale Pietro Gasparri e il senatore Cesare Silj sulla «Nuova Antologia», i mediatori furono numerosi. Ma non meno numerose furono le provocazioni. Ogniqualvolta l'Italia e il Vaticano volevano raggiungere un'intesa, qualcuno, in ciascuno dei due campi, cercava di renderla impossibile. Accadde soprattutto negli anni in cui Mussolini raccolse l'eredità dei contatti avviati da Vittorio Emanuele Orlando e decise che un accordo con la Chiesa avrebbe giovato al suo governo e alle sue ambizioni.

Gasparri e Silj erano cugini e interlocutori ideali. Il primo era segretario di Stato dal 1914, il secondo senatore dallo stesso anno dopo una lunga presenza alla Camera nel gruppo parlamentare di Giovanni Giolitti. Ma Gasparri aveva l'orecchio di Pio XI, papa dal febbraio 1922, mentre Silj doveva a sua volta informare e convincere Luigi Federzoni, ministro degli Interni dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti. Dalla loro corrispondenza emerge con chiarezza quali fossero le priorità delle due parti. Mussolini era disposto a consentire la nascita dello Stato vaticano e a permettere che la Chiesa avesse una considerevole presenza nel sistema educativo nazionale, ma voleva la scomparsa del Partito popolare di don Sturzo e la sconfessione del suo leader. Gasparri e Pio IX erano convinti che Mussolini avesse risparmiato all'Italia il rischio di un'avventura bolscevica ed erano disposti a sacrificare don Sturzo, ma erano decisi a ottenere garanzie per l'Azione Cattolica e, più generalmente, per le numerose associazioni e istituzioni che dipendevano, in una forma o nell'altra, dalla Chiesa. Non sorprende quindi che i provocatori delle due parti cercassero di esasperare il dissenso e che l'ala anticlericale del fascismo, in particolare, ricorresse in molti casi alle provocazioni violente.
La situazione peggiorò dopo la morte di Matteotti, quando gli scontri divennero nuovamente violenti. Dal ministero degli Interni, intanto, Luigi Federzoni, nazionalista e cattolico, cercava di gettare acqua sul fuoco ora sostenendo che questi casi erano modesti, ora accusando alcuni prelati di eccitare gli animi con atteggiamenti antinazionali soprattutto nei territori che erano appartenuti all'impero austro-ungarico.


Benito Mussolini e il cardinale Pietro Gasparri alla firma dei Patti lateranensi a Roma l’11 febbraio 1929 (foto Radaelli/Daniele Rossi)


Vi è persino una lettera di Federzoni a Silj del 20 giugno 1925 in cui il ministro degli Interni scrive: «Ma insomma che deve fare il governo? Si ritiene forse possibile e desiderabile, in Vaticano, che Sua Eccellenza Mussolini lasci il potere. Quale altro senso ha codesto incessante creare intorno a lui, e ai suoi collaboratori, imbarazzi e malintesi?». La lettera termina con una sorta di inno a «la pace, l'ordine, il lavoro, la gioia serena e fidente della popolazione rifatta italiana e cristiana dall'opera di Mussolini e del fascismo, dopo decenni di vicende turbinose, che sembravano annunziare l'irreparabile dissoluzione civile, sociale e morale». Dietro l'enfasi retorica vi era il concetto che, secondo Federzoni, avrebbe maggiormente influito sulla politica della Chiesa verso lo Stato: Mussolini aveva riportato l'ordine in un Paese sconvolto dagli scioperi e dai conflitti civili, ed era per la Chiesa la migliore delle soluzioni possibili.
Il fascismo e la Chiesa erano quindi condannati ad accordarsi. Agli anti-concordatari del fronte liberale restava una sola speranza: l'opposizione di Vittorio Emanuele III, notoriamente laico e poco incline alla Conciliazione. Secondo una voce diffusa a Roma qualche mese prima della conclusione del negoziato, Giovanni Giolitti aveva consigliato al re di abdicare per non mancare «di fede al giuramento prestato nell'ascendere al trono». Sul fondamento della voce non esistono, che io sappia, altri documenti. Giolitti, comunque, morì il 17 luglio del 1928 e i Trattati Lateranensi, insieme ai Concordati, furono firmati da Mussolini e Gasparri l'11 febbraio 1929. Cesare Silj non fu neppure invitato alla cerimonia.
Il saggio di Gabriele Paolini e il carteggio Silj-Gasparri-Federzoni sono inclusi nel numero della «Nuova Antologia», rivista diretta da Cosimo Ceccuti, in uscita a fine settembre
http://www.corriere.it/cultura/12_settembre_07/romano-vaticano-fascismo-condannati-accordo_eafcd34a-f8d7-11e1-8c97-b4f1e02508f5.shtml