lunedì 3 dicembre 2012

Fecondazione censurata

Diagnosi genetica preimpianto, congelamento degli ovociti, utero surrogato, embrioni non più impiantabili ma utili alla scienza. Tutto ciò che i media non dicono in Italia

Negli ultimi anni la ricerca nel campo della cura della sterilità ha ottenuto risultati importanti «tanto che ormai il congelamento degli ovociti non è più da considerarsi pratica sperimentale» racconta il medico specialista Andrea Borini, dati e percentuali alla mano. «I risultati hanno fugato i dubbi di chi sospettava che le procedure di congelamento potessero inficiare la qualità dell’ovocita» e dunque la riuscita dell’intervento di fecondazione assistita. Un successo della ricerca medica che, non solo regala maggiore liberà alle donne nello scegliere se e quando diventare madri, ma soprattutto consente alle donne la cui fertilità sia stata compromessa dalla chemioterapia di poter avere un figlio. «Però in Italia, nonostante le alte percentuali di guarigione di alcuni tumori, quasi mai le pazienti oncologiche in età fertile vengono debitamente informate dell’esistenza di queste tecniche, pure ormai consolidate» dichiara Borini. E una ricerca di ProFert sulle informazioni a disposizione dei pazienti eco-ematologici che ha preso in esame i principali centri ospedalieri specializzati nella cura di leucemie e linfomi e i siti internet delle associazioni dei pazienti oncologici offre numerosi riscontri alla denuncia dello specialista, direttore di Tecnobios.

Cambio di scena. Idealmente andiamo a Cagliari dove una signora affetta da talassemia e suo marito (portatore della stessa malattia) si sono rivolti all’ospedale Microcitemico chiedendo di fare la diagnosi preimpianto. Per avere un figlio sano. Per evitare un aborto qualora la diagnosi prenatale poi avesse rilevato un feto malato. Ma quegli stessi medici che fino al 2004 facevano la diagnosi genetica preimpianto e pubblicavano studi scientifici in materia hanno risposto che non potevano fare quell’esame perché non attrezzati. Il caso, come è noto, è finito in tribunale e il mese scorso una ordinanza del tribunale di Cagliari ha riconosciuto il diritto della donna ad accedere a diagnosi e cure.

È dovuto intervenire il giudice per ristabilire diritti sanciti dalla Costituzione e, perfino, dalla famigerata Legge 40 sulla fecondazione assistita. «La norma entrata in vigore nel 2004 in realtà consente la diagnosi preimpianto, osservazionale e a scopo terapeutico. Purché non sia a fini eugenetici. Furono le linee guida del 2004 a introdurre questo divieto. Che poi fu cancellato dalle linee guida del 2008: per la prima volta stilate, non più come atto solo amministrativo, ma come atto vincolante» spiega l’avvocato Filomena Gallo, che ha seguito il caso sardo e ha assistito molte altre coppie che hanno portato le loro battaglie in tribunale per il diritto di tutti. Ma se le linee guida del 2008, con una certa lungimiranza, consentivano l’accesso alla diagnosi preimpianto alle coppie infertili ma anche a chi aveva contratto l’Hiv, disinformazione e battaglie ideologiche del centrodestra e dei cattolici hanno fatto passare l’idea che il divieto fosse assoluto. E gli stessi centri pubblici specializzati, dal 2004 a oggi, molto spesso hanno negato l’accesso alle terapie a coppie che invece ne avevano diritto. Con il risultato che chi ne aveva bisogno è dovuto andare all’estero oppure rivolgersi al privato. In entrambi i casi dovendo sborsare di tasca propria cifre altissime. Tanto che c’è chi, come il senatore Ignazio Marino del Pd, parla di anticostituzionale selezione censitaria di accesso alle tecniche di fecondazione.

Nuovo cambio di scena. Ora spostiamo il fuoco dell’attenzione sul caso di una giovane donna affetta da sindrome di Rokitansky Kuster, una patologia che determina una malformazione dell’apparato genitale. La ragazza di cui stiamo parlando si è trovata a non avere un utero adatto a portare avanti una gravidanza, pur producendo ovociti. In altri Paesi, non solo nella lontana India, ma anche nella vicina Grecia, le sarebbero stati riconosciuti tutti i requisiti per una maternità surrogata. Non così in Italia dove un fuoco di fila di pregiudizi ha ostacolato il suo percorso prima ancora che cominciasse. La vicenda è ricostruita da Filomena Gallo nel libro Il legislatore cieco. I paradossi della Legge 40, che l’avvocato e segretario dell’associazione Luca Coscioni ha scritto con Chiara Lalli e appena uscito per Editori internazionali riuniti. «Il procedimento che abbiamo avviato parla di utero surrogato a scopo solidale, senza lucro», precisa Gallo. «Di fatto una maternità surrogata di questo tipo è stata già autorizzata in Italia dal tribunale di Roma, nel 2000». Ma poi è intervenuta la mannaia della legge sulla fecondazione assistita. «In realtà – spiega l’avvocato che sta seguendo il caso – la Legge 40 sanziona la commercializzazione di gameti, di embrioni e l’utero surrogato. Ma non si capisce se lo sanziona solo se è a scopo economico o anche quando fosse a scopo solidale. Che venga accettato l’aiuto solidale di una persona che ha già avuto un bambino e mette a disposizione il proprio utero per nove mesi è importante, anche al di là del singolo caso. E noi ci stiamo battendo». Per allargare la sfera dei diritti e perché si vigili sull’accesso alle cure garantito dalla Costituzione, l’associazione Coscioni lavora da dieci anni. E per accendere un dibattito pubblico sul “caso Italia”, espunto dai dibattiti sulle primarie e dall’agenda politica, l’associazione radicale convoca per il 30 novembre e il primo dicembre gli Stati generali dei diritti civili all’università di Roma. Una due giorni per discutere dell’anomalia italiana: unico Paese al mondo, dopo il Costa Rica, ad avere una norma antiscientifica come la Legge 40. Sanzionata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con una sentenza del 28 agosto 2012 , che incredibilmente il governo Monti , il 28 novembre, nell’ultimo giorno utile, ha deciso di impugnare, ricorrendo in appello.
Ma non solo. Gli stati generali dei diritti civili sono anche un’occasione anche per tornare a discutere di un’Italia del nuovo millennio in cui rischia di passare una legge sul fine vita che di fatto vieta il testamento biologico, di un Paese dove la 194 è disapplicata, dove si cerca di mettere paletti alla ricerca in ogni modo. A cominciare dal divieto di destinare gli embrioni alla ricerca scientifica, perfino quelli non più adatti all’impianto in utero. «Un divieto che ha ricadute non solo nell’ambito della fecondazione assistita, ma che riguarda a più ampio raggio la ricerca su malattie oggi incurabili», ricorda l’avvocato Gianni Baldini che ha seguito un caso che, a breve, arriverà a sentenza a Firenze. Dando ragione, finalmente, si spera, non solo agli scienziati che lavorano staminali embrionali per fini terapeutici. Ma anche a quel 78,2 per cento di italiani che, secondo una ricerca del Censis presentata il 27 novembre, è favorevole a questo tipo di ricerca.

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