venerdì 28 dicembre 2012

Santa Violenza

L’ira del Vescovo, Telefono Rosa, la stampa e i social network hanno travolto Don Piero Corsi, il Parroco di San Venanzo. Ma sembra che non lasci il sacerdozio, forse verrà momentaneamente esodato dopo la polemica per la lettera affissa alla bacheca della Chiesa in cui di fatto giustificava il femminicidio. Può darsi che più o meno inconsciamente l’ex Parroco cercasse un pretesto per cambiare vita o un momento di verità su se stesso. Oltre la cronaca e l’umana comprensione per il malessere di chiunque, cosa sta aspettando la Curia prima di assumersi la responsabilità di rimuovere un uomo che sta seppellendo di violenza verbale tutti quelli che gli capitano a tiro o ci stanno marciando?

Di certo colpisce questa visione prima così aggressiva e poi penitenziaria della relazione tra i sessi di cui è portatore il Parroco di San Terenzo. E tutta la morale fideista e cattolica.

Siamo investiti da un ritorno al passato, in cui il moralismo sembra essere l’unica bussola possibile. E questa vicenda è più utile per fare una riflessione “civile” sul tema.

Una persona che ricopre una responsabilità pubblica come un parroco dovrebbe utilizzare il suo ascendente per il riconoscimento preventivo del malessere che porta una coppia, adulta o di adolescenti, dritta nella spirale della violenza. Chi ricopre incarichi dovrebbe avere l’intelligenza e l’onestà di impegnarsi per una cultura del rispetto tra donne e uomini nella sua comunità, piuttosto che sottoporre donne e ragazze a giudizi. Visto che poi ad essere ammazzate sono loro.

Un parroco potrebbe destinare le risorse di cui dispone a dei corsi rivolti ad un’utenza adulta, a genitori ed insegnanti, su come crescere bambini e adolescenti di entrambi i sessi perché sviluppino una sessualità libera, consapevole e non aggressiva nei confronti dell’altro sesso.

Sono passati 50 anni da quando Mary Quant inventò la minigonna. Nel 1968 esplodevano i movimenti di liberazione della donna. Di quella radicale rimessa in discussione dei rapporti tra uomini e donne chiamata femminismo, per dirla con le parole di Rossana Rossanda, “nelle sue diverse anime, il solo tentativo di rivoluzionamento del costume tentato e durato dagli anni ‘60 agli anni ‘80” oggi ne avremmo molto bisogno, magari in una versione aggiornata. Così come è necessario a volte distinguere dimensione privata e comportamenti collettivi, sempre nella consapevolezza che l’una vive dell’altra.

La confusione e la mancanza di cornici di pensiero di riferimento di questo nostro tempo non ci aiuta. E’ necessario separare quello che è reale da quello che viene restituito e amplificato, soprattutto dai mezzi di comunicazione e dai Social network. Dire “Possibile che in un sol colpo siano impazziti tutti?” riferendosi agli uomini è pretestuoso. Ribaltiamo la domanda, perché allora tanti uomini non lo fanno?

E’ opinione diffusa che il corpo scoperto delle donne oggi sia più un fattore di consumo che un motivo di liberazione per le donne stesse e della relazione sessuale. Non c’è dubbio che la relazione tra uomini e donne sia cambiata nei comportamenti e nella percezione collettiva. Restano immutate, e per fortuna, le intime aspettative così come i desideri che abbiamo gli uni nei confronti degli altri, forse sono meno visibili gli ostacoli che ci permettono di realizzarli, almeno per quello che è nella nostra umanità.

Quindi sono cambiate le forme, non è cambiata la sostanza. Nel senso comune, gli uomini attribuiscono alle donne una maggiore padronanza psicologica nei rapporti, le donne attribuiscono agli uomini una maggiore aggressività fisica.

Di fatto nella nostra vita reale di ogni giorno un mondo solo di uomini o solo di donne risulterebbe insostenibile per entrambi, per non parlare del fatto che sia gli uomini che le donne che incontriamo mettono in crisi le nostre più incrollabili verità di genere.

Non siamo più moralmente obbligati all’idea costipata di famiglia così come l’abbiamo conosciuta ai tempi di Mary Quant, ma non siamo riusciti – o forse non ci abbiamo provato – a ricostruire un’idea di libertà vera nella relazione tra uomo e donna. Alla libertà giuridica e morale di potersi lasciare o divorziare non ha corrisposto un impegno civile di uomini e donne di doversi rispettare o di dover comprendere “ma come facciamo a stare meglio?”.

Ci sono coppie e genitori che riescono ancora oggi, tra mille difficoltà culturali e materiali, a svolgere un ottimo lavoro progettuale e non narcisistico nel crescere i loro figli in modo che siano consapevoli della loro identità sessuata e della loro parzialità nella collettività. Altre coppie sono talmente disfunzionali da fare solo molti danni. Poi dobbiamo avere il coraggio di dire che c’è un’assenza cronica ormai di figure di riferimento maschili nelle famiglie ed uno sbilanciamento della genitorialità solo al femminile.

Forse il mondo adulto dovrebbe interrogarsi di più sulle proprie responsabilità e capire che conviene a tutti e ovunque promuovere una cultura della solidarietà e del rispetto tra uomini e donne.
Ed è vero che sempre più ragazze e ragazzi hanno atteggiamenti provocatori e violenti, ma entrambi quegli atteggiamenti hanno delle storie alle spalle, hanno delle famiglie o delle gravi mancanze che parlano per loro.

E noi come adulti cosa facciamo, ci mettiamo a giudicare come se non c’entrassimo nulla o ci rimbocchiamo le maniche?

Monica Pepezeroviolenzadonne.it

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