venerdì 13 luglio 2012

Chi vuole ammazzare il Papa?


Angelo d’Orsi – da Il Fatto quotidiano


Le ultime vicende d’Oltre Tevere – tra scandali di varia natura, furiose faide, banchieri, pedofili e criminali comuni – possono aver indotto qualcuno a riprender e l’antico adagio: “Non c’è più religione! ”. Ma sbaglierebbe, quel qualcuno. La religione istituzionale, con dogmi e gerarchie, implica lotte di potere, che si manifestano in vario modo, non esclusi quelli cruenti. Così è stato sovente per la religione cattolica apostolica romana, nel grumo di interessi da sempre costituito intorno al “trono di Pietro”. Papi detronizzati, antipapi, papi corrottissimi, papi ammazzati, papi sfuggiti per poco alla morte violenta: chi non ricorda Ali Agca e l’attentato a Giovanni Paolo II? E la morte del suo predecessore, rimasto in carica pochi giorni, è più che sospetta.


Se gettiamo lo sguardo più indietro la situazione non cambia. Le congiure sono una costante, e un libro recente (Elena Bonora, Roma 1564. La congiura contro il papa, Laterza), gustoso come un romanzo, ma rigoroso e documentato, ce ne racconta una, nel pieno dello scontro tra Riforma e Controriforma. Un gruppo di gentiluomini romani, per due volte consecutive, riuscì ad avvicinare Pio IV con l’intento di trafiggerlo a colpi di stiletto. Com’era possibile che congiurati armati, giungessero nelle stanze vaticane? Era possibile proprio perché la corte pontificia era al centro di una complessa rete di corti satelliti: alti prelati, diplomatici, nobiluomini, funzionari pubblici, cappellani, artisti e letterati in busca di commissioni, maestri, avvocati e magistrati, ma anche personaggi di più basso rango quali stallieri, segretari, auditori, letterati, camerieri, guardarobieri, maniscalchi, trincianti, scudieri, palafrenieri e quant’altro offriva il variopinto parco di coloro che cercavano di procurarsi vantaggi personali o impieghi per sé o per altri, e di far giungere suppliche alle orecchie del “santo padre”; o, alla peggio, almeno di guadagnare un pasto in quegli ambienti dove sempre si mangiava (e si mangia) in modo abbondante e raffinato.

Ma, come in ogni congiura che si rispetti, fra i cospiratori v’era un traditore, che impedì il compimento del progetto. Nel nostro caso, il “giuda” era un poco di buono, tale cavalier Pelliccione, trafficante di anticaglie, millantatore di nobili natali, ma che in realtà frequentava ambienti popolareschi trasteverini, e aveva al suo attivo conio di monete false, e una notevole pratica d’armi. Ma la figura più interessante è il capo della congiura, Benedetto Accolti: figlio illegittimo di un cardinale, è il leader carismatico, sufficientemente invasato e altrettanto persuasivo sui complici, nel suo discorrere di un papa vero da sostituire a Pio IV, giudicato un falso pontefice, e nelle sue visioni di regni divini da realizzarsi in terra, sotto il proprio comando. Un oratore dialettico, capace di irretire gli ascoltatori, ma uomo di non disprezzabile cultura teologica.

Non riuscì, il buon Accolti, a sedare i suoi giudici romani, i quali, secondo i metodi dell’Inquisizione non andarono per le spicce ricorrendo alla tortura di tutti i congiurati, per scovare eventuali altri complici diretti, che non furono trovati. Con Accolti, e il traditore Pelliccione, i protagonisti della congiura meriterebbero altrettanti ritratti a tutto tondo. Accanto al conte Antonio Canossa, di nobilissima schiatta, si segnala il giovane Taddeo Manfredi, che aveva dei contenziosi proprio con lo Stato pontificio, su terre e castelli tra Emilia e Lombardia. Si era rivolto, per dirimere le controversie, al cardinale Stampa, che in realtà era in palese conflitto di interesse, in relazione al castello di Cusago, che infatti passò proprio al cardinale: ultimi suoi eredi, i Casati-Stampa, travolti nel 1970 da un fatto di sangue: l’assassinio della contessa da parte del marito e il successivo suicidio di costui. Rimasta orfana, l’erede, minorenne, ebbe non miglior fortuna del conte Taddeo, avendo avuto assegnato come tutore un certo avvocato Cesare Previti. E si sa come è finita, con un altro cavaliere, degno di Pelliccione, che si pappò la proprietà, compresa una strepitosa collezione d’arte, per un piatto di lenticchie.

Dietro le lotte di potere, affiorava, per influsso della Riforma, l’esigenza di una chiesa che fosse in grado di riavvicinarsi al messaggio di Cristo, al di fuori di logiche di mercato e di potere. I tempi lo richiedevano, ma Roma fu sorda, anche se in fondo lo stesso papa Pio IV, bersaglio della congiura, a suo modo cercò di limitare quanto meno i poteri dell’Inquisizione. Del capo cospiratore, Accolti, giustiziato in modo barbarico, dopo atroci torture, suo nipote Giulio, torturato a sua volta ma scampato al patibolo, così sintetizzò il pensiero: “Lui diceva che quando un papa era homo da bene, haveva authorità, ma quando non era da bene non haveva autorità”. Una banalità, che allora come oggi, in Vaticano, suona come una pericolosa bestemmia.


(13 luglio 2012)


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