giovedì 27 giugno 2013

La scomparsa dell’antisemitismo cattolico

Da qualche decennio il Vaticano sta rivedendo il suo giudizio sull’ebraismo. Dopo secoli di preghiere in cui durante il venerdì santo si invocava la conversione dei “perfidi giudei”, papa Giovanni XXIII aveva eliminato nel 1959 l’imbarazzante locuzione. Nel 1965 il Concilio Vaticano II diffondeva la dichiarazione Nostra Aetate, in cui si affermava che la Chiesa “deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque”.
 
"si è cattivi proprio perché non si crede, secondo un’ottica religiosa"

Già Pio XII aveva sostenuto che il termine “perfidia” non era offensivo, ma si riferiva alla “mancanza di fede” degli ebrei. Ma è evidente che la denigrazione sistematica dei cristiani verso gli ebrei, accusati di “deicidio” e tradimento, legasse il mancato riconoscimento di Gesù come Dio a un pregiudizio negativo che etichettava tali persone come sordide o cattive. Non è un caso che etimologicamente il termine “perfido” sia carico di un pesante stigma morale e non solo inteso come attestazione dell’incredulità: si è cattivi proprio perché non si crede, secondo un’ottica religiosa. Nel corso della storia infatti molti eminenti cristiani hanno espresso frequenti strali antisemiti giustificati proprio dalla dottrina. Come triste contorno, non sono mancati periodicamente pogrom, violenze, intolleranza e ghetti. Non solo i cattolici ma anche protestanti, segno di una generale condivisione da parte dei cristiani: si pensi per dire alla violenza verbale espressa da Martin Lutero nel suo libello Degli ebrei e delle loro menzogne. Nonché, soprattutto nel corso dell’Ottocento, l’accusa agli ebrei di essere alfieri di idee moderne e anticristiane con polemiche portate avanti in maniera insistente anche dalla pubblicistica vaticana, come la rivista dei gesuiti Civiltà Cattolica.
 
Papa Bergoglio proprio ieri è tornato sulla questione. Durante l’incontro in Vaticano con la delegazione dell’International Jewish Committee on Interreligious Consultations, ha affermato che “un cristiano non può essere antisemita”, ricordando proprio la Nostra Aetate. Papa Francesco ha ripercorso gli “ultimi decenni” di “cammino di maggiore conoscenza e comprensione reciproca tra ebrei e cattolici”, con “gesti particolarmente significativi” e “l’elaborazione di una serie di documenti che hanno approfondito la riflessione e i fondamenti teologici della relazione tra ebrei e cristiani”.

Interessante considerazione: significa che tutti coloro che, fino a Giovanni XXIII, si sono comportanti diversamente, non sono considerabili più cristiani? Ci chiediamo se, per esempio, sia dunque da considerare cristiano, tra i tanti, papa Sisto V, che nel 1588 proclamò martire e beato Simone, un bambino di Trento della cui morte fu accusata la comunità ebraica? La propaganda antisemita dell’epoca, fomentata in zona proprio dai predicatori francescani capeggiati da Bernardino da Feltre, dipinse l’accaduto come un macabro omicidio rituale attuato dagli ebrei per raccogliere sangue con cui impastare il pane azzimo da mangiare durante la pasqua ebraica (la famigerata “accusa del sangue”). Solo nel 1965 la Chiesa si mosse per declassare “Simonino” e abolirne il culto, molto sentito dalla popolazione cattolica del circondario.
 
Che dire poi di papa Pio V, che intimò con la bolla Haebreorum Gens (1569) agli ebrei che non erano reclusi nei ghetti di Roma e Ancona di abbandonare lo Stato Pontificio, pena la riduzione in schiavitù, perché accusati globalmente di crimini come furto, usura, nonché di malefici e sortilegi contro i cristiani. Per la cronaca, papa Pio V, per la Chiesa cattolica, è santo. Un altro pontefice, Paolo IV, nel 1555 aveva disposto con la bolla Cum nimis absurdum la creazione dei ghetti dove concentrare gli ebrei e imposto loro una serie di pesanti limitazioni ai diritti e discriminazioni. Come l’obbligo di portare segni distintivi gialli, triste pratica ripresa nei campi di concentramento nazisti.
 
"contesto storico i conflitti tra Chiesa nascente e la comunità ebraica"

L’odio verso gli ebrei viene comunque da molto lontano. Fin dai Vangeli si possono riscontrare motivi e argomenti che saranno poi sistematicamente utilizzati contro di loro dai cristiani. Anzi, la stessa formulazione di diversi passi, come ormai riconosciuto dalla ricerca testuale, viene confezionata successivamente proprio dai polemisti cristiani in chiave antigiudaica. Ciò è ammesso persino dal Vaticano, che già in un documento del 1985 circa la “corretta presentazione degli ebrei e dell’ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica”, ricordava come “i Vangeli sono il frutto di un lavoro redazionale lungo e complesso”. “Non si può escludere che alcuni riferimenti meno che favorevoli o ostili verso gli ebrei abbiano come contesto storico i conflitti tra Chiesa nascente e la comunità ebraica. Alcune polemiche riflettono rapporti tra ebrei e cristiani molto successivi al tempo di Gesù”, si notava.
 
I “giudei” vengono accusati non solo di aver crocifisso Gesù, ma anche di aver perseguitato ottusamente i precedenti profeti inviati da Dio come raccontato in vari episodi del Vecchio Testamento: stesso motivo che sarà ribadito anche nel Corano sulla scia degli spunti cristiani. Il fatto di non aver riconosciuto Gesù come messia, la tendenza anzi a smentirne la divinità se non a denigrarlo come accade in alcuni passi del Talmud, viene giudicato intollerabile dai cristiani. Un florilegio di citazioni tratte da esso miste a leggende metropolitane sugli ebrei sono raccolte ne Il Talmud smascherato (1892). Un classico dell’antisemitismo integralista che ebbe una larga diffusione, scritto dal prete cattolico lituano Justinas Pranaitis (poi ridotto allo stato laicale) e pubblicato con l’imprimatur vescovile. Lo stesso Pranaitis, già ex prete, venne chiamato a testimoniare durante un processo in Russia nel 1912 contro un ebreo, Menahem Mendel Beilis, accusato di omicidio rituale. Segno che l’antisemitismo, stavolta di stampo ortodosso, era ancora molto diffuso nel Novecento.
 
"è lo stesso testo sacro che trasuda di odio antigiudaico"

Già per i primi cristiani le sfortune del popolo ebraico, come la diaspora a seguito della distruzione di Gerusalemme nel 70 a opera di Tito, sono ritenute causate proprio dall’uccisione di Gesù. Ma è lo stesso testo sacro che trasuda di odio antigiudaico. Tra i tanti riferimenti si ricorda Matteo 23, in cui Gesù si scaglia contro scribi e farisei, etichettati come “figli degli uccisori dei profeti”, “serpenti, razza di vipere” che non possono “scampare alla condanna della Geenna” (l’inferno per gli ebrei). In Giovanni 8 Gesù si scaglia contro gli ebrei perché vorrebbero ucciderlo e li apostrofa: “avete per padre il diavolo”, che “è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità”. In Marco 15 si ricorda come il sinedrio abbia insistito per condannare Gesù e consegnarlo al braccio secolare dei romani. Indicativa poi la scena (Matteo 27) in cui Ponzio Pilato chiede alla folla di ebrei se crocifiggere Barabba o Gesù. Il popolo, nonostante lo stesso Pilato gli chieda “Ma che male vi ha fatto?”, a gran voce invoca la crocifissione di Gesù e, dopo il gesto plateale del procuratore romano di ‘lavarsene le mani’, risponde: “Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli”.
 
Quindi il testo sacro cristiano non è più cristiano? I suoi autori non sarebbero più ispirati da Dio? Queste sì che sarebbero veramente novità. La portata del discorso del papa è tuttavia più limitata. La Chiesa deve allontanare l’accusa di antisemitismo? Ecco che lo fa, ma senza entrare nel merito. È un po’ come quando si dichiara laica, anzi, dichiara di aver inventato essa stessa la laicità, nonostante due millenni di storia (e persino la pratica corrente) vadano in un’altra direzione. Ripulitura dell’immagine, insomma. Rendendo in tal modo evidente che si vergogna del proprio passato. Quanti, tuttavia, sono in grado di accorgersene?