domenica 30 giugno 2013

Quanto sono parenti asini e zebre? Ce lo dice il DNA di 700 000 anni fa

Quanto sono parenti asini e zebre? Ce lo dice il DNA di 700 000 anni fa.
in foto: Esemplare di cavallo di Przewalski

La più antica mappa del DNA mai realizzata prima è stata ottenuta dalle ossa di un cavallo vissuto in Canada: il sequenziamento e il confronto consente di fare luce sull'evoluzione di uno dei più fidati amici dell'uomo. 

Il cavallo più vecchio che conosciamo ha circa 700.000 anni e il sequenziamento del suo genoma ha consentito la ricostruzione della più antica mappa del DNA di una specie mai realizzata prima di ora: questo ha dato l’opportunità ai ricercatori che hanno lavorato sul campione non soltanto di conoscere interessanti dettagli relativi alla storia evolutiva di uno dei più cari amici dell’uomo, ma anche di riuscire per la prima volta nell’impresa di rubare i segreti da un DNA tanto antico da sfiorare quasi l’età limite di un milione di anni, considerata, almeno secondo i modelli correnti, come il limite teorico di sopravvivenza massima di sequenze di DNA conservato a temperature particolarmente basse.

Effettivamente, i resti del cavallo più vecchio del mondo sono venuti alla luce proprio dal permafrost, nel territorio del fiume Yukon, in Canda: lì, l’esemplare visse in un arco di tempo compreso tra 560.000 e 780.000 anni fa, nell’epoca indicata come Pleistocene medio. Proprio dalle sue zampe è stato estratto il frammento di osso dal quale è stato possibile risalire al DNA, consentendo così agli studiosi di sistemare importanti tasselli nell’ambito della storia del genere Equus che comprende, oltre ai cavalli, anche le zebre e gli asini: giungendo così alla conclusione che il progenitore comune di tali specie va ricercato in una creatura vissuta all’incirca quattro milioni di anni fa, ovvero il doppio di quanto precedentemente sostenuto. Indubbiamente, il freddo ha consentito al materiale genetico di conservarsi in condizioni ottimali, rallentando il naturale processo di degradazione a cui sarebbe andato incontro: al contempo, importantissime sono state le tecniche avanzate di cui hanno potuto disporre i ricercatori le quali hanno permesso di realizzare un lavoro di elevatissima precisione.

Mirando alle parti di tessuto maggiormente ricche in DNA, come il collagene, e combinando diverse tecniche di sequenziamento genetico, ricorrendo a metodologie di ultima generazione, gli studiosi sono riusciti a ricostruire in maniera più che soddisfacente il genoma del cavallo: i risultati del lavoro, guidato da Ludovic ed Eske Willerslev dell’Università di Copenaghen, sono stati pubblicati in un recente articolo della rivista Nature. La grande scoperta sta anche nelle eccezionali capacità della scienza di risalire così indietro nel tempo: in futuro, ci si augura, tali tecniche saranno ulteriormente perfezionato e potranno essere applicate nel campo degli studi paleoantropologici, consentendoci di venire a conoscenza dei segreti dei nostri “lontani parenti” vissuti migliaia di anni fa, come Homo heidelbergensis e Homo erectus. 

Al fine di realizzare un quadro complessivo più ampio dell’evoluzione di questo splendido ed amato mammifero, tuttavia, la ricerca ha preso anche altre strade: ci si è così dedicati al sequenziamento del genoma di un cavallo vissuto nel tardo pleistocene, per la precisione circa 40 000 anni fa. Dopo di ciò si è proceduto con un confronto con i DNA di un cavallo di Przewalski (Equus ferus przewalskii), considerato l’ultimo membro del suo genere di appartenenza ancora veramente selvaggio e diffuso esclusivamente in Mongolia, di cinque razze del cavallo domestico (Equus caballus) e di un asino domestico (Equus asinus). I dati hanno permesso agli studiosi di stabilire come limite di tempo per la divergenza tra la popolazione equina domestica ed il cavallo di Przewalski il periodo compreso tra 38.000 e i 72.000 anni fa, senza riscontrare tracce di contaminazioni nei millenni successivi.

Molto tempo sarebbe trascorso da questa separazione, prima che l’uomo scoprisse il cavallo come animale da addomesticare, facendone un proprio accompagnatore irrinunciabile in alcuno dei quattro angoli della terra; nel frattempo il più selvaggio cavallo della Mongolia andava incontro ad un differente destino che, nella seconda metà del ’900, lo avrebbe visto quasi sul punto di scomparire per sempre, principalmente a causa della caccia. Fortunatamente, un ripopolamento deciso verso la fine degli anni ’70 continua a dare buoni frutti: ma il cavallo di Przewalski, assieme al suo antichissimo patrimonio genetico da cugino “selvatico” del più nobile Equus caballus, può essere considerato uno dei tanti simboli della natura che dobbiamo a tutti i costi proteggere.

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