martedì 29 ottobre 2013

Il sultano Erdogan e la legge degli atei

Erdogan-Ataturk
Il governo del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogania si distingue ormai per il ritorno dell’islam in politica, in un paese tradizionalmente laico. Lo smantellamento progressivo della rigida laicità ereditata da Ataturk per opera del partito al potere di ispirazione islamica, l’AKP, ha suscitato una decisa reazione da parte della società civile, culminata in proteste di piazza. Una delle ultime iniziative è aver tolto il bando sul velo negli uffici pubblici: per contro, accade che venga licenziata una presentatrice, Gözde Kansu, dopo che un esponente del governo si è lamentato perché era apparsa in tv “troppo scollata”.

 
"va incontro alle confessioni religiose di minoranza e persino agli atei"

Forse nel tentativo di veicolare un’immagine più conciliante, il premier Erdogan ha fatto un’esternazione che va incontro alle confessioni religiose di minoranza e persino agli atei. Nel contesto di un cerimonia di inaugurazione di alcune strutture a Özalp, nella provincia di Van, ha detto che la politica deve mantenere “la stessa distanza da tutti i gruppi etnici”, messi sullo “stesso piano”. “Inoltre non sosteniamo il nazionalismo religioso”, ha aggiunto, “in altre parole, proteggiamo la legge islamica, la legge cristiana, la legge ebraica e anche la legge degli atei”. “Non ci sarà alcuna segregazione”, ha affermato, “manterremo l’equilibrio con l’aiuto di Dio”.

La zona dove Erdogan ha fatto queste considerazioni è armena, con una componente cristiana e dove sono ancora aperte le ferite del genocidio. Accennando alla riapertura per il culto nel 2007 della chiesa di culto armeno sull’isola di Akdamar, il primo ministro ha sostenuto che è “dovere” del governo far sì che ogni gruppo abbia l’opportunità di praticare la propria religione.
 
"i non credenti rimangono l’ultima ruota del carro e sono tuttora i più penalizzati"

In realtà le aperture di Erdogan sembrano piuttosto volte a sdoganare in Turchia il multiconfessionalismo, concedendo alle religioni di minoranza alcune libertà rispetto alle restrizioni del passato, al fine di legittimare ancora meglio il programma di islamizzazione. L’approccio pare indice di una certa nostalgia verso il sistema dei millet che vigeva nella Turchia ottomana, in cui gli esponenti del clero avevano funzioni politiche e di rappresentanza all’interno della propria confessione, all’insegna del comunitarismo religioso. In questo contesto, i non credenti rimangono l’ultima ruota del carro e sono tuttora i più penalizzati, come dimostra il caso del pianista Fazil Say, denunciato e condannato a dieci mesi per aver pubblicato su internet alcuni tweet ironici verso l’islam.
 
La questione, com’è stata presentata da Erdogan, ci pare anche malposta, perché gli atei e agnostici per definizione non hanno dogmi né hanno bisogno di leggi “senzadio”. Una stato aperto, plurale e dove si rispettano i diritti non dovrebbe andare nel senso del multiconfessionalismo: le norme che rispettano i non credenti sono quelle che dovrebbero valere laicamente per tutti. Perché solo la laicità garantisce un quadro legislativo in cui si può essere se stessi e dove si può convivere pacificamente e con gli stessi diritti, a prescindere dal credo religioso o meno.