mercoledì 11 settembre 2013

Il papa e il “dialogo” con i non credenti

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Eugenio Scalfari, nota firma di Repubblica, ha indirizzato due lettere al papa, non nascondendo la propria simpatia per Francesco. Nella prima, a luglio, commentava l’enciclica Lumen Fidei ponendo dubbi sull’attendibilità dei Vangeli nel proclamare la loro “verità”, vera appunto per fede e per chi ci crede.

 
Ad agosto Scalfari aveva inviato un’altra lettera in cui era più esplicito: Le domande di un non credente al papa gesuita chiamato Francesco. In particolare chiedeva: “se una persona non ha fede né la cerca, ma commette quello che per la Chiesa è un peccato, sarà perdonato dal Dio cristiano?”. Inoltre se il “modo di pensare” del non credente, ovvero “che non esista alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta” fosse per la Chiesa “un errore o un peccato”. Infine chiedeva al papa cosa pensasse dell’idea che, con la scomparsa della nostra specie, “scomparirà anche Dio perché nessuno sarà più in grado di pensarlo”.
 
"affascinato dalla figura di Gesù, vista quale contraltare della Chiesa “mondana”"

Scalfari aveva scritto con chiarezza “non cerco Dio” e “Dio è un’invenzione consolatoria della mente degli uomini”, aggiungendo che “sono da anni molto interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù”. Come tanti altri laici, è affascinato dalla figura di Gesù, vista quale contraltare della Chiesa “mondana”. Va detto che le uniche testimonianze che parlano chiaramente di Gesù e ne raccontano le gesta sono frutto di una rielaborazione secolare da parte della Chiesa stessa e hanno delle palesi finalità apologetiche: de facto, è come essere affascinati dal personaggio di un romanzo. Ma per molti costui è Dio, e adorarlo è il solo modo per ottenere la salvezza.
 
Oggi Repubblica ha in prima pagina la lettera di risposta del papa. Scalfari è lusingato, ma commenta anche l’attenzione ricevuta con un “forse la pecora smarrita merita maggiore attenzione e cura?”. Al di là del linguaggio semplice, le ingenuità e le buone intenzioni di questo papa, se si legge in maniera più attenta ci si rende conto che l’approccio nelle conclusioni del papa non è molto differente da quello del Cortile dei Gentili. Quello inaugurato da Benedetto XVI, nonostante il decantato “dialogo”, era l’ennesimo tentativo di evangelizzazione verso atei e agnostici.
 
"credenti e non credenti da sempre sono fianco a fianco e collaborano"

Non a caso, la lettera del papa si sofferma soprattutto su Gesù e dalle considerazioni “affascinate” di Scalfari. Da lì prende spunto, con il risultato di non pronunciarsi chiaramente sulle altre questioni poste. Da buon evangelizzatore coglie cosa interessa maggiormente l’interlocutore e lo amplia. Ma parla anche di dialogo con i non credenti, definito “doveroso e prezioso”, e della necessità di fare un “tratto di strada insieme”. C’è da dire che settori di credenti e non credenti da sempre sono fianco a fianco e collaborano per il bene comune. Anche l’Uaar ospiterà una tappa dell’Interfaith Tour a Roma, incontro tra cinque giovani con concezioni diverse del mondo, il prossimo 18 settembre.
 
Francesco ritiene che, perché abbia luogo il dialogo, debbano ricorrere due circostanze. Prima di tutto, superare l’incomunicabilità tra pensiero illuminista e quello cristiano. Ma il modo con cui la presenta sembra addebitare la responsabilità della chiusura agli “illuministi” che hanno bollato la fede come “buio” e “superstizione”, non al fatto che il pensiero illuminista fosse una risposta al dogmatismo e al soffocante conformismo imposto per secoli proprio dal cristianesimo. Il papa sostiene inoltre che “questo dialogo non è un accessorio secondario dell’esistenza del credente: ne è invece un’espressione intima e indispensabile”. A ben guardare ci pare una rivisitazione discutibile, visto che due millenni di storia cristiana mostrano il contrario. C’è persino chi, come il dottore della Chiesa san Tommaso d’Aquino, ha ritenuto che il dissidente meritasse la morte, addirittura per il suo “bene” e per il bene della Chiesa. Ma salutiamo comunque con piacere l’aggiornamento.

Il papa cita la distinzione tra Stato e Chiesa su cui è basata la storia dell’Occidente, sostenendo che si sia “affermata con nettezza da Gesù”. Anche questa tesi, ripetuta spesso da Benedetto XVI, semplicemente non è vera. L’adagio ambiguo del “date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” non fu mai usato, se non in tempi recenti, per promuovere la distinzione tra Stato e Chiesa, ma anzi per proclamare la superiorità spirituale dell’ordinamento della Chiesa su qualsiasi altro e per imporsi. Due millenni di storia anche qui insegnano che la Chiesa ha cominciato su queste basi a far propria una sua idea di laicità solo dal dopoguerra, prima non vi è traccia di tale atteggiamento.
 
Alla prima domanda dell’editorialista il papa risponde così: “la questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza, il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza”. Prendiamo atto del cambiamento: andremo dunque in paradiso? E comunque, cosa significa? Quanta gente commette atti discutibili seguendo proprio la coscienza? “Non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità ‘assoluta’”, così risponde alla seconda questione posta da Scalfari. Anche qui Francesco glissa e non smentisce che la Chiesa, seguendo Gesù, continua a proclamarsi come detentrice della Verità. Perché aggiunge, “nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione”, mentre “la verità è una relazione”, ovvero “l’amore di Dio”. Alla terza domanda, su Dio come concetto dell’uomo, ribadisce — smentendo le rassicurazioni sull’assenza di una “verità assoluta” di qualche rigo precedente — che “Dio è una realtà con la «R» maiuscola” e che “Gesù ce lo rivela”: “Dio non dipende, dunque, dal nostro pensiero”. Si affida quindi in maniera tautologica ai testi sacri, rassicurando sul fatto che “anche quando venisse a finire la vita dell’uomo sulla terra [...] l’uomo non terminerà di esistere” e neanche l’universo, visto che “la Scrittura parla di ‘cieli nuovi e terra nuova’”.
 
"perché un non credente dovrebbe cercare una legittimazione dal papa?"

Il papa in conclusione ammette, a differenza di Wojtyla, che “la Chiesa” (e non “i suoi figli”) “può aver commesso” “errori”. Non aggiunge “crimini”, ma non si può pretendere troppo. Almeno per ora. Cosa dire dunque di questa lettera fatta di belle parole e buone intenzioni? Sicuramente, già il fatto che il capo della Chiesa risponda e cerchi di intavolare una discussione è positivo. Lascia piuttosto perplessi l’atteggiamento dell’altro interlocutore laico. Quello che ci domandiamo noi leggendo Scalfari è piuttosto: perché un non credente dovrebbe cercare una legittimazione dal papa? Chiedergli delle rassicurazioni e giocare con le sue regole, atteggiandosi anche a “pecora smarrita”?
 
Il papa piace a molti (non a tutti, anche all’interno del mondo cattolico) per il suo atteggiamento da curato di campagna affabile con tutti e per i gesti apparentemente semplici. Il problema è che ora non ricopre più un ruolo di quel tipo: è il capo assoluto di un’organizzazione gigantesca e verticistica. Quando invita a usare i conventi chiusi per ospitare i rifugiati, non si rende conto (o non si vuole rendere conto) che ha il potere di farli aprire. Il suo stile è indubbiamente diverso e migliore di tanti suoi predecessori, ma nel contempo il resto della Chiesa, a cominciare dai cardinali, continuano il loro business as usual: non si rileva alcun cambiamento.
 
"la Chiesa non si ponga più con atteggiamenti suprematisti"

Papa Bergoglio ha il potere di cambiare il corso della storia della Chiesa cattolica: se ci tiene al dialogo con i non credenti, cominci a passare ai fatti. Cominci a dichiarare espressamente che credenti e non credenti hanno diritto alla stessa libertà di espressione e glielo spieghi ai suoi fedeli liberticidi presenti, per esempio, nella giunta di Verona. Non gli si chiede di cambiare le sue idee di fede, che sono legittime. Gli si chiede che, nel confronto pubblico, la Chiesa non si ponga più con atteggiamenti suprematisti e non chieda alle istituzioni di riconoscerle tale supremazia. Se così farà, non cambierà solo la storia della Chiesa, ma anche il corso della storia tout court. Perché illuminato da Dio o dal lume della ragione, ci interessa in fondo assai poco. Quello che interessa a chi non è credente non è di certo il “perdono” di un’entità di cui non ritiene attendibile l’esistenza, ma piuttosto che i rappresentanti di quella concezione applichino concretamente le parole di dialogo e comprensione tanto sbandierate su questioni, sociali e politiche, che riguardano tutti. Altrimenti, oltre alla quotidiana photo opportunity cui ci stanno abituando i media nel clima di papolatria, questo sarà considerato solo l’ennesimo gesto mediatico virtuale.