sabato 7 settembre 2013

Se scienza e moralità vanno a braccetto

inkblot
Spesso si sente dire, come luogo comune favorito anche dall’approccio manicheo delle religioni e dalla volgarizzazione del romanticismo, che l’approccio scientifico e razionale è freddo e arido, in profondo contrasto con il comportamento morale. Questa idea si accompagna a un giudizio tendenzialmente negativo verso la scienza, giudicata incapace di speculare in profondità sui dilemmi etici, e pertanto bisognosa di una stampella spirituale.

 
Se è vero che la conoscenza scientifica di per sé non genera automaticamente etica in quanto neutrale e focalizzata sull’indagine dell’universo, non c’è però dubbio che l’educazione al ragionamento e all’uso delle facoltà critiche che comporta possa essere una straordinaria palestra per un generale arricchimento interiore, quindi anche per l’elaborazione etica e per un comportamento prosociale. Non mancano testimonianze di scienziati che parlano con passione della propria attività, del piacere che danno la scoperta e la riflessione, del senso di connessione profonda agli altri esseri umani e all’universo che può generare lo studio e di come tutto ciò possa stimolare anche impegno e solidarietà. Tra i tanti possiamo citare Charles Darwin e Carl Sagan, senza dimenticare Richard Dawkins.
 
Una ricerca dell’università di Santa Barbara in California, citata anche da Scientific American, ha riscontrato con vari esperimenti come a livello psicologico un approccio scientifico favorisca un comportamento etico. Si è visto come coloro i quali dimostravano una maggiore consapevolezza scientifica fossero propensi a condannare più aspramente comportamenti sbagliati, come uno stupro, e ad assumere comportamenti più solidali con gli altri (in particolare nella simulazione chiamata dictator game, in cui i partecipanti potevano o meno dividere una somma di denaro). È bastato il priming con termini e concetti scientifici per stimolare certi effetti. Interessante notare come questi risultati non fossero condizionati da variabili di età, di appartenenza religiosa o etnica.

La scienza, come sottolineano i ricercatori, “nonostante possa costituire una visione del mondo, si distingue da altre (come per esempio la religione) per la sua natura controintuitiva e per il fatto che non si basa su sistemi cognitivi universali automatici e inconsci”. Va detto che questo studio è preliminare e basato su un campione esiguo; ma apre la strada a ricerche sperimentali più ampie e su scelte morali più diversificate. Come precisano gli stessi autori, la religiosità non è risultata essere un fattore correlato ai risultati, ma potrebbero esserci in gioco meccanismi più complessi come la minore esposizione alla scienza e l’adesione a norme universali che influenzano meno il giudizio sulle “infrazioni” tra individui.
 
È dunque una prima ricerca interessante per rivedere certi pregiudizi che gravano sulla scienza. Ma anche un’occasione per riflettere su come “un mondo senza Dio” e improntato su concezioni scientifiche e laico-razionaliste apra possibilità importanti, tutt’altra prospettiva rispetto ai panorami apocalittici profetizzati dalle gerarchie ecclesiastiche. D’altronde, come sottolinea anche il primatologo Frans De Waal, di cui sta per uscire in Italia Il bonobo e l’ateo, credenti e non in quanto esseri umani e sulla base dell’eredità biologica condividono empatia, sentimenti solidaristici e prosociali, nonché l’esigenza di darsi delle regole di convivenza civile. Tutto sta a farne uso.