di Andrea Monti
In principio fu la scuola. Negli ultimi anni la politica italiana si è spaccata più volte sull’esposizione del crocifisso nelle aule: polemiche nate dalle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, che prima (nel 2009) ha parlato di “limitazione del diritto dei genitori a educare i figli in conformità con le proprie convinzioni”, poi (nel marzo di quest’anno) ha fatto retromarcia, riconoscendo che le nostre autorità “hanno agito nei limiti e nel quadro di cui dispone l’Italia”. Oggi cambia il contesto, ma non la questione di fondo. Ieri il Consiglio regionale lombardo ha approvato una legge che obbliga ad appendere un crocifisso nelle sale istituzionali della Regione. Pd, Idv e Sel sono uscite dall’aula senza votare, mentre si sono espressi a favore il Pdl (tranne l’astenuto Saffioti), l’Udc, i Pensionati e soprattutto la Lega, che si è impegnata con forza sul tema. Panorama.itha contattato il presidente del Consiglio regionale Davide Boni, uomo di punta del Carroccio in Lombardia.
Perché questa legge?
Il crocifisso è un simbolo della nostra cultura, ad di là di ciò che rappresenta in senso religioso. Nel mio ufficio ci sono tre riferimenti fondamentali: la foto del presidente della Repubblica, la bandiera italiana e il crocifisso. Credo che questo trittico dia il segnale esatto di dove ci si trova quando si entra in una sede istituzionale.
Perché la Lega teneva così tanto al provvedimento?
In un momento storico in cui la globalizzazione la fa da padrona, si tende a perdere la propria identità. Esporre il crocifisso è un modo di reagire a questa tendenza, di mostrare le nostre radici e la nostra cultura.
Il testo originario prevedeva delle sanzioni per i trasgressori, che sono state eliminate.
L’abbiamo fatto per raggiungere il massimo della condivisione possibile. Questa norma vuole unire più che dividere. Se avessimo imposto una coercizione saremmo andati in direzione contraria allo spirito del provvedimento e all’accordo raggiunto dai gruppi politici. Ora la legge è molto meno persecutoria, anzi: è di apertura.
Per voi è una vittoria che va oltre la Lombardia, dopo le sentenze della Corte europea?
Credo che sia un passo avanti fondamentale. Non è mai successo che una legge (pur regionale) fosse modulata così apertamente per un simbolo di cultura religiosa. È una novità assoluta a livello nazionale.
Il Pd vi accusa di strumentalizzare il simbolo cristiano.
L’opposizione fa il suo mestiere. Chiunque sta dalla parte opposta alla nostra ha una visione totalmente diversa: in caso contrario, non avremmo avuto bisogno di approvare una norma. Il loro mi sembra un sistema un pò più buonista, che preferisce non rivendicare la nostra identità, ma lascia spazio a tutte le altre.
Vi accusano di incoerenza, di celebrare il crocifisso dopo aver “dileggiato i valori cristiani”.
Non ne facciamo una questione religiosa, ma di appartenenza culturale. Si può essere credenti o no, ma il nostro sistema è basato anche su queste cose. Altrimenti dovrebbero spiegarmi perché festeggiamo la domenica, e non il venerdì o il sabato. Qualcuno ha parlato addirittura di incostituzionalità, ma non capisco su che basi. È vero che siamo una Repubblica laica, ma a noi interessa il simbolo culturale, non quello religioso.
L’Udc ha votato a favore, ma invita a non usare il crocifisso “per fini pre-elettorali”.
Queste cose hanno fatto il loro tempo. “Dio è con noi” si usava nelle crociate. Non è questo il segnale che vogliamo dare con questa legge.