Doppio stipendio per l' Ordinariato militare: pagati dallo Stato, i sacerdoti con le stellette ricevono anche i contributi della Cei.
GIACOMO GALEAZZI - CITTÀ DEL VATICANO.
L’ obbedienza non è più una virtù per i cappellani militari. Cade nel vuoto il richiamo alla sobrietà rivolto dall’ arcivescovo Vincenzo Pelvi ai sacerdoti dell’ Ordinariato militare d’ Italia.
GIACOMO GALEAZZI - CITTÀ DEL VATICANO.
L’ obbedienza non è più una virtù per i cappellani militari. Cade nel vuoto il richiamo alla sobrietà rivolto dall’ arcivescovo Vincenzo Pelvi ai sacerdoti dell’ Ordinariato militare d’ Italia.
Il «casus belli» è stato il meeting «Annuncio del Vangelo e testimonianza della carità», cioè il convegno che ha appena visto riuniti ad Assisi 200 Cappellani militari di tutta Italia, in servizio e in congedo, e una rappresentanza dell’ associazione per l' assistenza spirituale alle forze armate (Pasfa).
L’ obiettivo dell’ incontro era riaffermare che la prima forma di carità, per il presbitero impegnato pastoralmente fra le forze armate, sta nella fedeltà alla propria identità sacerdotale. Al summit di Assisi il generale Biagio Abrate, capo di Stato Maggiore della Difesa, aveva espresso ai cappellani «gratitudine sincera per l’ opera spirituale svolta al servizio degli uomini con le stellette», ritenendola un lavoro «insostituibile e prezioso in patria, all’estero e nelle missioni internazionali». Ma a volte la forma è anche sostanza. E così è piovuta sui cappellani militari la reprimenda del loro ordinario, monsignor Pelvi, il quale ha lamentato un eccesso di "logistica": troppi autisti, segretari, mezzi militari e altri status symbol. Serve sobrietà, specie nel contesto della crisi economica che vive il Paese e «di cui tutti risentiamo».
L’ obiettivo dell’ incontro era riaffermare che la prima forma di carità, per il presbitero impegnato pastoralmente fra le forze armate, sta nella fedeltà alla propria identità sacerdotale. Al summit di Assisi il generale Biagio Abrate, capo di Stato Maggiore della Difesa, aveva espresso ai cappellani «gratitudine sincera per l’ opera spirituale svolta al servizio degli uomini con le stellette», ritenendola un lavoro «insostituibile e prezioso in patria, all’estero e nelle missioni internazionali». Ma a volte la forma è anche sostanza. E così è piovuta sui cappellani militari la reprimenda del loro ordinario, monsignor Pelvi, il quale ha lamentato un eccesso di "logistica": troppi autisti, segretari, mezzi militari e altri status symbol. Serve sobrietà, specie nel contesto della crisi economica che vive il Paese e «di cui tutti risentiamo».
Quindi, «l’ andirivieni per le vie di Assisi o nelle aree marginali della sede del Convegno, di personale militare che in caserma collabora col cappellano», «non risponde a criteri di economia accettabili e offre un’immagine inadeguata del mondo militare, dell’ impiego del personale e della Chiesa Ordinariato Militare», contesta l’ordinario militare, monsignor Vincenzo Pelvi in una lettera ai cappellani militari resa pubblica dall’ agenzia Adista. Nel mirino ci sono la ragione, il soggiorno e la permanenza di troppo personale militare al servizio di quei cappellani che partecipano all’annuale convegno di Assisi, che quest’anno si è svolto dal 10 al 13 ottobre.
Una «anomalia», la definisce Pelvi, che «crea non poco sconcerto» tra la popolazione civile. La natura dell’ordinario militare, come quella di ogni cappellano militare è così duplice. Da una parte infatti si tratta a tutti gli effetti di presbiteri e vescovi cattolici; dall’altra, l’inquadramento dei cappellani prevede attualmente la frequenza di un seminario specifico per allievi ufficiali cappellani militari (istituito nel 1997), dal quale gli aspiranti cappellani escono con la consacrazione presbiterale e il grado militare di tenente, per essere inseriti a tutti gli effetti all’interno dei ranghi delle Forze Armate (con gradi, mimetica, brevetti) oltre che in quelli della gerarchia cattolica. «A pagare lo stipendio dei cappellani militari (come dei cappellani ospedalieri e quelli delle carceri) è lo Stato; ma in quanto diocesi extraterritoriale, l’Ordinariato Militare gode anche dei contributi che la Cei versa a tutte le diocesi italiane attraverso i fondi dell’8 per mille (ossia, nuovamente, soldi pubblici)», documenta Adista. Preti-ufficiali a tutti gli effetti, i cappellani progrediscono nella carriera militare di pari passo a quella ecclesiastica. Così, se l’Ordinario militare è di diritto anche Generale di Corpo d’Armata, al suo vicario generale spetta il grado di generale di brigata; l’ispettore, il vicario episcopale, il cancelliere e l’economo hanno il grado di tenenti colonnello; il 1º cappellano capo è un maggiore; il cappellano capo è capitano, mentre al semplice cappellano addetto compete il grado di tenente. «Carriere e stipendi di tutto rispetto - puntualizza l’agenzia di stampa -. Un generale di corpo d’armata riceve un salario lordo mensile di circa 9.500 euro; un generale di brigata circa 6.000 euro; un colonnello più di 5.000 euro; un tenente intorno ai 4.500 euro. Complessivamente, il mantenimento dei 184 cappellani attualmente in servizio costa allo Stato italiano circa 10 milioni di euro l’anno (nel 2005, ultimo dato reso noto, costarono quasi 11 milioni di euro ed erano complessivamente 190)».
Una cifra cui vanno aggiunti i fondi che servono a pagare le pensioni degli ex cappellani, piuttosto elevate trattandosi di ufficiali: la più alta, quella dell’Ordinario Militare-Generale di Corpo di Armata si avvicina a 4mila euro al mese. Secondo l’articolo 8 della legge 1° giugno 1961, n. 512 gli ordinari militari possono restare in servizio fino al compimento del 65.mo anno di età. Ma dopo essere stati congedati (art. 10 della stessa legge) hanno diritto al trattamento pensionistico riservato agli ufficiali. Inoltre, ai generali di corpo d’armata è consentito andare in pensione già a 63 anni. Un privilegio di cui la Chiesa cattolica non manca di usufruire, spostando ad altro incarico tutti gli Ordinari che abbiano raggiunto la fatidica soglia. Così, pochi anni di servizio effettivo garantiscono un vitalizio altissimo.
Godono attualmente della pensione più alta monsignor Giovanni Marra (Ordinario dal 1989 al 1996 e oggi amministratore apostolico della diocesi di Orvieto-Todi), il cardinale Angelo Bagnasco (2003-2006, oggi arcivescovo di Genova e presidente della Cei), monsignor Giuseppe Mani (1996-2003, attualmente arcivescovo di Cagliari), e monsignor Gaetano Bonicelli (1981-1989, oggi arcivescovo emerito di Siena). Anche mons. Pelvi, che ha 63 anni, è in procinto di andare in pensione. «Nonostante i cappellani militari rappresentino una casta all’interno di un’altra casta, il clima, all’interno dell’Ordinariato, è tutt’altro che buono- precisa Adista-. Nell’occhio del ciclone è finito negli ultimi mesi proprio monsignor Pelvi (già vicario a Napoli sotto il card. Giordano, ma poi ha lasciato la città dopo l’arrivo del nuovo arcivescovo, il card. Crescenzio Sepe) accusato di tenere un profilo troppo decisionista e di aver proceduto a trasferimenti e sostituzioni che hanno alimentato malumori e polemiche».
A riprova di rapporti non particolarmente idilliaci dentro l’Ordinariato, un’altra lettera, datata 19 settembre 2011, inviata da monsignor Pelvi a tutti i cappellani, nella quale l’Ordinario ammette l’esistenza di tensioni e problemi, «alcuni dei quali sono stati superati», che attribuisce ad una organizzazione che non sempre consente di realizzare una effettiva comunicazione e fraternità all’interno di una struttura che «diversamente dalle diocesi territoriali, abbraccia una realtà geograficamente vasta e disomogenea». Accade così che «alcuni cappellani lamentano la mancanza di incontri del presbiterio zonale, mentre dei Capi Servizio quasi ignorano le precarietà fisiche e spirituali nelle quali si trovano i confratelli della propria zona pastorale». Per questo monsignor Pelvi rivendica «l’avvicendamento nelle responsabilità» da lui attuato, pur esprimendo riconoscenza «a chi ha servito la nostra Chiesa con generosità e dedizione». Non manca però una frecciata polemica ai suoi detrattori: «L’assistenza spirituale dei militari – afferma infatti monsignor Pelvi nella lettera – è vicinanza e instancabile accompagnamento che non ha nulla di paragonabile a un certo stile di vita impiegatizio che misura le ore e i minuti». Insomma, conclude sibillino l’Ordinario rivolgendosi ai suoi cappellani, «pur assistendomi con i vostri suggerimenti, aiutatemi a conservare quella libertà di giudizio e di decisione che è richiesta dalla missione di ministro di Cristo e testimone del suo Vangelo». Un richiamo, quello dell’Ordinario Militare, «del tutto comprensibile e condivisibile», osserva l’agenzia Adista-.Se non fosse che «l’ordinariato militare è da tempo una delle istituzioni ecclesiastiche più criticate per gli enormi costi di gestione, tutti a carico dello Stato italiano, oltre che per la scelta di fare una pastorale con le stellette».
Chiesa particolare della Chiesa cattolica, non organizzato su base territoriale, ma come speciale diocesi creata ad hoc per fornire assistenza spirituale ai cattolici presenti nelle forze armate italiane, l’ordinariato militare è guidato da un vescovo (l’ordinario militare, appunto), che ha giurisdizione ecclesiastica su tutti i militari di religione cattolica, i cappellani militari, sui loro parenti conviventi e sul personale in servizio.