Me ne sono accorto solo adesso, ma tanto non mi paga nessuno per restare aggiornato.
La Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite si è riunita lo scorso giugno a Ginevra e ha pubblicato il “Commento generale n. 34“.
“La dichiarazione proviene dalla Commissione per i Diritti Umani, un gruppo di diciotto “esperti indipendenti” che hanno il compito di vegliare sull’ esecuzione del Trattato Internazionale sui Diritti Civili e Politici ICCPR, il trattato del 1966 sui diritti umani che stabilisce la libertà di opinione e di espressione e altri diritti fondamentali. I commenti generali della Commissione rappresentano interpretazioni autorevoli delle clausole dell’ICCPR. Al contrario delle risoluzioni tanto pubblicizzate prodotte dal Consiglio per i Diritti Umani e dall’Assemblea Generale, le clausole dell’ICCPR sono legalmente vincolanti per gli oltre 165 firmatari.”
La Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite si è riunita lo scorso giugno a Ginevra e ha pubblicato il “Commento generale n. 34“.
“La dichiarazione proviene dalla Commissione per i Diritti Umani, un gruppo di diciotto “esperti indipendenti” che hanno il compito di vegliare sull’ esecuzione del Trattato Internazionale sui Diritti Civili e Politici ICCPR, il trattato del 1966 sui diritti umani che stabilisce la libertà di opinione e di espressione e altri diritti fondamentali. I commenti generali della Commissione rappresentano interpretazioni autorevoli delle clausole dell’ICCPR. Al contrario delle risoluzioni tanto pubblicizzate prodotte dal Consiglio per i Diritti Umani e dall’Assemblea Generale, le clausole dell’ICCPR sono legalmente vincolanti per gli oltre 165 firmatari.”
Il “commento” regolamenta la questione della libertà di espressione, che (articolo 12) comprende anche la libertà di abbigliamento, che probabilmente avrà effetto anche sulle leggi che in Europa vietano il velo integrale indossato da alcune donne islamiche.
Ho dato un’ occhiata veloce al documento: probabilmente un lettore attento potrà cogliere gli elementi fondanti per una regolamentazione più libera di Internet. L’articolo 43.3, ad esempio, vieta la chiusura di interi siti per bloccare specifici contenuti.
All’articolo 46 leggiamo che:
“Gli Stati membri devono accertarsi che le misure antiterrorismo siano compatibili con il paragrafo 3. Delitti come “istigazione al terrorismo” e “attività estremista”, come i delitti di “elogio”, “esaltazione” o “apologia” del terrorismo devono essere definiti in maniera chiara in modo che non comportino un’interferenza non necessaria o sproporzionata con la libertà di espressione”.
All’articolo 47, leggiamo che le leggi sulla diffamazione:
“dovrebbero permettere una difesa basata sulla veridicità e non dovrebbero applicarsi a forme di espressione che per loro natura non sono soggette a verifica“.
All’articolo 48 leggiamo chiaramente:
“Divieti riguardanti dimostrazioni di mancanza di rispetto per una religione o per altri sistemi di credenza, comprese le leggi contro la blasfemia, sono incompatibili con il Trattato, salvo nelle specifiche circostanze di cui all’art. 20, paragrafo 2, dello stesso [...]. Così ad esempio non sarebbe permissibile che tali leggi discriminassero in favore o contro certe religioni o sistemi di credenza, i loro aderenti rispetto ad altri, o credenti religiosi rispetto a non credenti. Né sarebbe permesso che tali proibizioni venissero usate per impedire o punire la critica di capi religiosi o commenti su dottrine o dogmi di fede”.
E ancora più chiaramente – perché qui non si contemplano eccezioni – all’articolo 49 leggiamo:
“Le leggi che penalizzano l’espressione di opinioni riguardanti fatti storici sono incompatibili con gli obblighi che il Trattato impone agli Stati riguardo il rispetto per la libertà di opinione e di espressione. Il Trattato non permette generici divieti di espressione di opinioni erronee o interpretazioni incorrette di eventi passati. Nessuna restrizione al diritto di libertà di opinione deve essere mai imposta e, per quanto riguarda la libertà di espressione non deve andare oltre ciò che è consentito al paragrafo 3 o è richiesto all’articolo 20″.
Una nota nel testo fa esplicitamente riferimento al caso del negazionista/revisionista francese, Robert Faurisson e alle “leggi della memoria” francesi (“So called “memory-laws”, see Faurisson v. France, No. 550/93.”), ma presumo che dovrebbe valere per analoghe leggi, in alcuni paesi dell’Est, che mirano a punire chi fornisce versioni “incorrette” della storia del periodo comunista.
Non siamo giuristi, ma ci sembra che la conclusione sia chiara.
Leggi che vietano presunte bestemmie e leggi che vietano il revisionismo storico dovranno essere abrogate. Mentre il testo non parla delle vaghe leggi che in molti paesi vietano sentimenti di “odio”, qualunque cosa ciò possa significare. Wikipedia fa riferimento a un articolo 54 del Commento, secondo cui le leggi sull’”odio” non raggiungerebbero un livello sufficiente di serietà da essere accettabili, ma nella versione attuale, non esiste un tale articolo.
Ci metteremo in platea a sgranocchiare olive (il popcorn non ci piace), per goderci la prossima crociata contro l’ONU diretta da Sheikh Abdulaziz Al Sheikh, Fiamma Nirenstein, Marco Pasqua e Don Beppino Cò.
P.S. Non hanno firmato il Trattato, e potranno quindi continuare a legiferare come vorrano, il Vaticano, gli Emirati Arabi, la Malesia, l’ Arabia Saudita, il Kosovo, Singapore e alcuni altri Stati. Gli Stati Uniti hanno posto diverse “riserve”.