mercoledì 16 marzo 2011

Dio è taoista? di Raymond M. Smullyan



Mortale: Perciò,mio Dio, io ti prego, se hai un briciolo di pietà per questa tua creatura sofferente, liberami dal dover avere il libro arbitrio!
Dio: Tu rifiuti il dono più grande che io ti abbia fatto?
Mortale: Come puoi chiamare dono ciò che mi è stato imposto? Io ho il libero arbitrio, ma non per mia scelta. Non ho mai scelto liberamente di avere il libro arbitrio. Devo avere il libro arbitrio, che mi piaccia o no!
Dio: Perché vorresti non averlo?
Mortale: Perché il libero arbitrio significa responsabilità morale e la responsabilità morale è un peso che non posso sopportare!

Dio: Perché trovi così insopportabile la responsabilità morale?
Mortale: Perché? A dire la verità non so spiegarne il perché; so soltanto che è così.
Dio: D’accordo, in tal caso supponiamo che io ti assolva da ogni responsabilità morale, ma ti lasci il tuo libero arbitrio. Questo ti andrebbe?
Mortale (dopo una pausa): No, temo di no.
Dio: Ah, proprio come pensavo! Dunque la responsabilità morale non è l’unico aspetto del libero arbitrio che non ti va. Che cos’altro ti disturba del libero arbitrio?
Mortale: Col libero arbitrio io sono in grado di peccare e io non voglio peccare!
Dio: Se non vuoi peccare, perché pecchi?
Mortale: Buon Dio! Non lo so perché pecco: pecco e basta! Vengono le tentazioni, e per quanto mi sforzi non riesco a resistere.
Dio: Se è proprio vero che non riesci a resistere alle tentazioni, allora non pecchi per tua libera scelta, e quindi (almeno secondo me) non pecchi affatto.
Mortale: No, no! Non posso fare a meno di pensare che se solo mi sforzassi di più potrei evitare il peccato. Mi risulta che la volontà è infinita. Se uno con tutto il cuore non vuole peccare, non pecca.
Dio: E dunque dovresti saperlo. Ti sforzi al massimo per non peccare, oppure no?
Mortale: Sul serio, non lo so! Al momento sento di fare tutti gli sforzi di cui sono capace ma poi, quando ci ripenso, mi tormenta l’idea che forse non li ho fatti.
Dio: In altre parole, insomma, non sai se hai peccato oppure no. Non si può quindi escludere la possibilità che tu non abbia peccato affatto!
Mortale: Certo che questa possibilità non è esclusa, ma forse ho peccato ed è questo pensiero che mi fa paura!
Dio: Perché ti fa tanta paura il pensiero di aver peccato?
Mortale: Non lo so perché! Intanto, tu hai una certa fama d’infliggere castighi piuttosto atroci nell’aldilà!
Dio: Ah, è questo che ti turba! Perché non l’hai detto subito, invece di menare il can per l’aia tirando in ballo il libero arbitrio e la responsabilità? Perché non hai semplicemente chiesto di non punirti per nessuno dei tuoi peccati?
Mortale: Sono abbastanza realista, credo, da sapere che tu non acconsentiresti a questa richiesta!
Dio: Ma davvero! Tu sai realisticamente a quali richieste io accontento, eh? Bene, ecco che cosa farò: ti concedo una dispensa specialissima di peccare quanto ti piace e ti do la mia divina parola d’onore che non ti punirò neanche un poco. D’accordo?
Mortale (spaventatissimo): No, no, non farlo!
Dio: Perché no? Non ti fidi della mia divina parola?
Mortale: Certo che mi fido! Ma non capisci, io non voglio peccare! Aborrisco il peccato con tutto me stesso, indipendentemente dai castighi che può procurarmi.
Dio: In tal caso farò qualcosa di meglio. Eliminerò il tuo orrore per il peccato. Ecco una pillola magica! Inghiottila e non avrai più alcun orrore per il peccato. Potrai peccare allegramente in lungo e in largo senza provare rimorsi, senza provare orrore, e ti prometto nuovamente che non sarai mai punito né da me né da qualunque altro ente. Sarai felice e beato per tutta l’eternità. Ecco qua la pillola!
Mortale: No, no!
Dio: Non ti stai comportando in modo irrazionale? Voglio addirittura eliminare l’orrore che hai del peccato, che è il tuo ultimo ostacolo.
Mortale: Non la voglio prendere lo stesso!
Dio: Perché no?
Mortale: Io credo che la pillola eliminerà sì il mio orrore futuro per il peccato, ma l’orrore che ne ho adesso è sufficiente a togliermi la volontà di prenderla.
Dio: Ti ordino di prenderla!
Mortale: Mi rifiuto di farlo!
Dio: Come? Rifiuti di tua volontà, di tuo libero arbitrio?
Mortale: Sì!
Dio: Allora il tuo libero arbitrio si direbbe ti faccia piuttosto comodo, no?
Mortale: Non capisco!
Dio: Non sei contento ora di avere il libero arbitrio che ti permette di rifiutare un’offerta così spaventosa? Che ne diresti se ti obbligassi a prendere questa pillola, volente o nolente?
Mortale: No, no! Ti prego, non farlo!
Dio: Naturale che non lo farò; sto soltanto cercando di farti capire. Va bene, mettiamola così: invece di obbligarti a prendere la pillola, supponiamo che io esaudisca la tua preghiera iniziale di toglierti il libero arbitrio, ma ti dica anche che nel momento in cui non sarai più libero prenderai la pillola?
Mortale: Una volta scomparsa la mia volontà, come farei a decidere di prendere la pillola?
Dio: Non ho detto che tu decideresti; ho detto soltanto che la prenderesti. Agiresti, diciamo, in conformità a leggi puramente deterministiche, le quali, di fatto, te la farebbero prendere.
Mortale: Rifiuto lo stesso.
Dio: Dunque rifiuti la mia offerta di toglierti il libero arbitrio. Siamo un po’ lontani dalla tua preghiera iniziale, non ti sembra?
Mortale: Adesso ho capito dove vuoi arrivare. Il tuo argomento è ingegnoso, ma non sono sicuro che sia proprio giusto. Ci sono alcuni punti che dovremo riesaminare.
Dio: Ma certo.
Mortale: Ci sono due cose che hai detto che mi sembrano contraddittorie. Prima hai detto che non si può peccare se non lo si fa col libero arbitrio. Ma poi hai detto che mi avresti dato una pillola che mi avrebbe privato del libero arbitrio, così da permettermi di peccare a mio piacimento. Ma se non avessi più il mio libero arbitrio, come potrei, secondo la tua prima asserzione, essere in grado di peccare?
Dio: Stai confondendo due parti distinte della nostra conversazione. Io non ho mai detto che la pillola ti priverebbe del libero arbitrio, ma solo che eliminerebbe il tuo orrore per il peccato.
Mortale: Non credo proprio di capire.
Dio: E va bene. Ricominciamo daccapo. Supponiamo che io accetti di toglierti il libero arbitrio, ma mettendo bene in chiaro che dopo tu compirai un numero enorme di azione che tu ora consideri peccaminose. Da un punto di vista tecnico, in tal caso non peccherai, poiché non compirai quelle azioni di tuo libero arbitrio. E quelle azioni non comporteranno alcuna responsabilità morale, alcune colpevolezza morale, o alcun qualsivoglia castigo. Nondimeno saranno tutte quelle azioni del tipo che tu ora consideri peccati, avranno tutte questa qualità che ora t’ispira orrore; ma il tuo orrore scomparirà, perciò, allora, non proverai orrore per quelle azioni.
Mortale: No, però ne provo orrore ora e questo orrore di adesso è sufficiente a farmi rifiutare la tua proposta.
Dio: Hmm! Fammi capire bene: tu non vuoi più che io ti tolga il libero arbitrio.
Mortale (con riluttanza): No, credo di no.
Dio: D’accordo, acconsento di non togliertelo. Ma ancora non mi è del tutto chiaro perché tu non vuoi più sbarazzarti del tuo libero arbitrio. Dimmelo di nuovo, per favore.
Mortale: Perché, come mi hai detto tu, senza libero arbitrio peccherei ancora più di adesso.
Dio: Ma ti ho già detto che senza libero arbitrio non puoi peccare.
Mortale: Ma se ora decido di sbarazzarmi del libero arbitrio, tutte le cattive azioni che commetterò in seguito saranno peccato, non del futuro, bensì del momento presente, in cui decido di non avere il libero arbitrio.
Dio: Mi sembri proprio intrappolato!
Mortale: Certo che sono intrappolato! Mi hai cacciato in un orribile doppio vincolo! Qualunque cosa faccia è sbagliata: se mi tengo il libero arbitrio continuo a peccare e se lo abbandono (col tuo aiuto, naturalmente) pecco in questo momento, nell’atto di abbandonarlo.
Dio: Ma anche tu cacci me in un doppio vincolo. io sono disposto a lasciarti o a toglierti il libero arbitrio, come preferisci, ma nessuna delle due alternative ti soddisfa. Desidero aiutarti, ma a quanto pare non mi è possibile.
Mortale: È vero!
Dio: Ma dal momento che non è colpa mia, perché sei lo stesso in collera con me?
Mortale: Perché sei stato tu a cacciarmi in questo orribile dilemma.
Dio: Ma, a sentir te, non avrei potuto fare niente che andasse bene.
Mortale: Niente che vada bene ora, vorrai dire, ma ciò non significa che non avresti potuto fare qualcosa prima.
Dio: Perché? Che cos’avrei potuto fare?
Mortale: È chiaro: non avresti mai dovuto darmi il libro arbitrio. Ora che me l’hai dato, è troppo tardi: qualunque cosa io faccia è sbagliata. Ma tu non avresti mai dovuto darmelo.
Dio: Ah, ecco! E perché sarebbe stato meglio se non te l’avessi mai dato?
Mortale: Perché allora non sarei mai stato in grado di peccare.
Dio: Ah sì? Be’, sono sempre pronto a imparare qualcosa dai miei errori.
Mortale: Come!?
Dio: Lo so, suona un po’ autoblasfemo. Racchiude quasi un paradosso logico! Da un lato, come ti hanno insegnato, è moralmente sbagliato per un essere senziente sostenere che io sia in grado di sbagliare. Dall’altro, io ho il diritto di fare qualunque cosa. Ma anch’io sono un essere senziente. Dunque la questione è: ho o non ho il diritto di sostenere di essere in grado di sbagliare?
Mortale: Questa è una battuta di cattivo gusto! Intanto, una delle tue premesse è falsa. Non mi è stato insegnato che un essere senziente sbaglia se mette in dubbio la tua onniscienza, ma solo che sbaglia un mortale. Ma poiché tu non sei mortale, sei ovviamente esente da questo obbligo.
Dio: Bene, quindi a livello razionale questo lo capisci. Eppure mi sei sembrato scosso quando ho detto: “Sono sempre pronto a imparare dai miei errori”.
Mortale: Certo che sono rimasto scosso. Scosso non dalla tua autobestemmia (come l’hai chiamata scherzosamente), non dal fatto ch tu non avevi alcun diritto di dirlo, bensì dal semplice fatto che tu l’hai detto, perché mi hanno insegnato che in realtà tu non sbagli mai. Quindi mi ha sbalordito sentirti affermare che ti è possibile sbagliare.
Dio: non ho sostenuto che sia possibile. Dico solo che sono pronto a imparare qualcosa dai mie eventuali errori. Ma questo non dice nulla sul fatto che io realmente abbia errato o possa mai errare.
Mortale: Oh, per favore, smettiamola con queste sofisticherie. Ammetti o non ammetti che è stato uno sbaglio darmi il libero arbitrio?
Dio: Be’, è proprio questo il punto che secondo me dovremmo approfondire. Permetti che ti riassuma il dilemma in cui ora ti dibatti. Tu non vuoi il libro arbitrio perché con esso puoi peccare, e tu non vuoi peccare (cosa che, a dire il vero, continua a lasciarmi perplesso: in un certo senso tu devi voler peccare, altrimenti non peccheresti. Ma per il momento lasciamo perdere). D’altra parte, se tu decidessi di rinunciare al libro arbitrio, saresti responsabile adesso delle tue azioni future. Ergo, io non avrei mai dovuto darti il libero arbitrio.
Mortale: Appunto!
Dio: Capisco perfettamente il tuo disagio. Molti mortali, e perfino alcuni teologi, si sono lamentati dicendo che sono stato ingiusto perché da una parte sono stato io, non loro, a decidere che dovessero avere il libero arbitrio, e dall’altra considero loro responsabili di ciò che fanno. In altre parole, ritengono di essere obbligati a tener fede a un contratto con me, che però esso non hanno mai sottoscritto.
Mortale: Appunto!
Dio: Come ho detto, capisco perfettamente il disagio che la situazione comporta. E riconosco la giustezza della lagnanza, tuttavia questa lagnanza sorge solo da un’interpretazione non realistica del termini della questione. Ora te li illustrerò per bene e vedrai che i risultati ti sorprenderanno. Ma invece di dirteli subito, continuerò a usare il metodo socratico.
Per ricapitolare ancora una volta, a te dispiace che io ti abbia dato il libero arbitrio. Io sostengo che quanto ne vedrai le vere conseguenze non sarai più dispiaciuto. Per dimostrare la mia tesi, ecco ciò che farò. Creerò un nuovo universo, un nuovo continuum spazio-temporale. In questo nuovo universo nascerà un mortale esattamente identico a te: a tutti gli effetti pratici potremmo dire che rinascerai tu. A questo nuovo mortale, a questo nuovo te, io posso dare o non dare il libero arbitrio. Che cosa vuoi che faccia?
Mortale (con gran sollievo): Oh, ti prego! Risparmiagli di dover avere il libero arbitrio!
Dio: Sta bene, farò come dici. Ma ti rendi conto, non è vero, che questo nuovo te privo di libero arbitrio commetterà azioni orribili di ogni genere?
Mortale: Ma non saranno peccati, poiché egli non avrà il libero arbitrio.
Dio: Che tu li chiami peccati o no, resta il fatto che saranno azioni orribili, nel senso che causeranno grandi sofferenze a molti esseri senzienti.
Mortale (dopo una pausa): Buon Dio, mi hai messo di nuovo in trappola! Sempre lo stesso tranello! Se ora ti do il nulla osta per la creazione di questa nuova creatura priva del libero arbitrio, che nondimeno commetterà azioni atroci, allora è sì vero che essa non peccherà, ma sarò di nuovo io il peccatore, per aver ratificato la cosa.
Dio: In tal caso ti farò condizioni più favorevoli. Ecco, ho già deciso se creare questo nuovo te con o senza il libero arbitrio. Ora scriverò la mia decisione su questo pezzetto di carta e te la mostrerò solo in seguito. Ma la mia decisione è ormai presa ed è assolutamente irrevocabile. Non c’è proprio nulla che tu possa fare per cambiarla; in questa faccenda tu non hai alcuna responsabilità. Ebbene, ciò che voglio sapere è questo: quale decisione speri che io abbia preso? Ricordati bene, la responsabilità della decisione ricade tutta su di me, non su di te. Quindi puoi dirmi in tutta onestà e senz’alcun timore quale decisione speri che io abbia preso.
Mortale (dopo una pausa lunghissima): Spero che tu abbia deciso di dargli il libero arbitrio.
Dio: Davvero interessante! Ho tolto il tuo ultimo ostacolo! Se non gli darò il libero arbitrio, non ci sarà nessuno a cui si potrà imputare alcun peccato. E allora perché speri che io gli dia il libero arbitrio?
Mortale: Perché, peccato o non peccato, la cosa importante è che, se tu non gli dai il libro arbitrio, lui (almeno stando a ciò che hai detto) sarà causa di sofferenza per gli altri, e io non voglio che nessuno soffra.
Dio (con un infinito sospiro di sollievo): Finalmente! Finalmente hai capito qual è i nocciolo della questione!
Mortale: E sarebbe?
Dio: non è il peccato che conta! Ciò che conta è non far soffrire gli uomini o gli altri esseri senzienti!
Mortale: Parli come un utilitarista!
Dio: Ma io sono un utilitarista!
Mortale: Come!?
Dio: Come o non come, io sono un utilitarista. Non un unitarista, bada bene: un utilitarista.
Mortale: Non posso proprio crederci!
Dio: Sì, lo so, la tua educazione religiosa ti ha insegnato altrimenti. Probabilmente mi hai concepito più come un kantiano che come un utilitarista, ma è solo perché la tua educazione era sbagliata.
Mortale: Sono senza parole!
Dio: Davvero? Be’, forse non è poi un gran male: in verità tu hai la tendenza a parlare troppo. Ma ora bando agli scherzi. Perché mai, secondo te, ti avrei dato il libero arbitrio?
Mortale: Perché? Non ho mai riflettuto molto sul perché; quello che mi preoccupava era che non avresti dovuto dartelo! Ma perché me l’hai dato? L’unica risposta ch mi viene in mente è la solita spiegazione religiosa: senza libero arbitrio non si è in grado di meritare né la salvezza né la dannazione. Quindi senza libero arbitrio non potremmo acquistarci i diritto alla vita eterna.
Dio: Molto interessante! Io la vita eterna ce l’ho; pensi che abbia mai fatto qualcosa per meritarmela?
Mortale: No, naturalmente! Per te è diverso. Tu sei già così buono e perfetto (almeno così si dice) che non hai bisogno di meritare la vita eterna.
Dio: Dici davvero? Ciò mi colloca in una posizione invidiabile, non ti pare?
Mortale: Non credo di capirti.
Dio: Ecco: io sono felice e beato per l’eternità senza dover mai soffrire o far sacrifici o lottare contro le tentazioni o altre cose del genere. Senza “meriti” di alcun genere io godo di una beatissima vita eterna. E invece vi, poveri mortali, dovete sudare e soffrire e siete lacerati da conflitti tremendi sulla morale, e tutto questo per che cosa? Non sapete neppure se io esisto veramente o no, o se esistono davvero un aldilà e un’altra vita o, se esistono, che posizione occupate voi in tutto questo. Per quanto vi industriate a placarmi comportandovi “bene“, non avete mai alcuna vera garanzia che ciò che per voi è “il meglio” sia sufficiente per me, e quindi non siete mai veramente sicuri di ottenere la salvezza. Pensaci un momento! Io l’equivalente della “salvezza” ce l’ho già e non ho mai dovuto sottopormi a questo processo infinitamente opprimente di guadagnarmela. Non m’invidi per questo?
Mortale: Ma è blasfemo invidiarti!
Dio: Oh, andiamo! Non stai mica parlando col tuo insegnante di religione, stai parlando con me. Blasfemo o no, il punto importante non è se tu hai il diritto di essere invidioso di me, ma se lo sei. Sei invidioso?
Mortale: Per forza lo sono!
Dio: Bene! Per come tu concepisci il mondo ora, hai tutte le ragioni di invidiarmi. Ma se tu arriverai a una concezione più realistica, non proverai più alcuna invidia. E così te la sei proprio bevuta, l’idea che ti hanno insegnato, che la vostra vita sulla terra è come un periodo di esame e che lo scopo per cui vi è stato dato il libero arbitrio è di mettervi alla prova, per vedere se meritate la beatitudine eterna. Ma una cosa m lascia perplesso: se tu credi veramente che io sia così buono e benevolo come si va sbandierando, perché dovrei imporre agli uomini di meritarsi cose come la felicità e la vita eterna? Perché non dovrei concedere queste cose a ciascuno, che le meriti o no?
Mortale: Ma mi è stato insegnato che il tuo senso della morale, il tuo senso della giustizia, impone che il bene sia ricompensato con la felicità e il male sia punito con la sofferenza.
Dio: Allora ti hanno insegnato male.
Mortale: Eppure la letteratura religiosa è piena di questa idea! Prendi “I peccatori nelle mani di un Dio adirato” di Jonathan Edwards, dove sei descritto nell’atto di tenere sospesi i tuoi nemici come scorpioni ripugnanti sopra il pozzo infuocato dell’inferno, impedendo loro di precipitare nel fato che meritano soltanto in virtù della tua misericordia.
Dio: Per fortuna non mi sono dovuto sorbire le tirate del signor Jonathan Edwards. Sono state pronunciate poche prediche più ingannevoli di quella. Già il titolo, “I peccatori nelle mani di un Dio adirato”, la dice lunga. In primo luogo, io non mi adiro mai; in secondo luogo, io non penso affatto in termini di “peccato”; in terzo luogo, io non ho nemici.
Mortale: Con questo vuoi dire che non ci sono uomini che tu odii o che non ci sono uomini che odiano te?
Dio: Intendevo dire la prima cosa, benché sia vera anche la seconda.
Mortale: Ma andiamo, io conosco uomini che hanno dichiarato apertamente di odiarti. A volte ti ho odiato anch’io.
Dio: Vuoi dire che hai odiato l’immagine che hai di me. Non è lo stesso che odiare me come realmente io sono.
Mortale: Intendi forse dire che non è sbagliato odiare un falso concetto di te, mentre è sbagliato odiarti come tu sei realmente?
Dio: No, non voglio affatto dire questo, voglio dire qualcosa di molto più drastico! Ciò che dico non ha assolutamente nulla a che fare col giusto o con lo sbagliato. Dico che se uno mi conosce per quello che sono realmente, gli è psicologicamente impossibile odiarmi.
Mortale: Dimmi: dal momento che noi mortali abbiamo idee così errate sulla tua vera natura, perché non ci illumini? Perché non ci guidi per la retta via?
Dio: Che cosa ti fa credere che non lo faccia?
Mortale: Voglio dire, perché non ti mostri direttamente ai nostri sensi e non ci dici chiaro e tondo che sbagliamo?
Dio: Sei davvero così ingenuo da credere che io sia il genere di essere che può apparire ai vostri sensi? Sarebbe più giusto dire che io sono i vostri sensi.
Mortale (sbalordito): Tu sei i miei sensi?
Dio: Non proprio: sono qualcosa di più. Ma è un’idea più vicina alla realtà che io sarei percepibile dai tuoi sensi. Io non sono un oggetto; come te, io sono un soggetto, e un soggetto può percepire ma non può essere percepito. Tu non puoi vedere me più di quanto tu possa vedere i tuoi pensieri. Puoi vedere una mela, ma l’evento costituito dal tuo vedere la mela non è visibile. E io sono assai più simile al vedere la mela che alla mela stessa.
Mortale: Se non ti posso vedere, come faccio a sapere che esisti?
Dio: Domanda giusta! Coma fai appunto a sapere che esisto?
Mortale: Be’, non sto forse parlando con te?
Dio: Come fai a sapere che stai parlando con me? Supponi di dire a uno psichiatra: “Ieri ho parlato con Dio”. Che cosa pensi che ti direbbe?
Mortale: Dipende dallo psichiatra. E poiché gli psichiatri sono per lo più atei, probabilmente mi direbbero che ho parlato con me stesso.
Dio: E avrebbero ragione!
Mortale: Come? Vuoi dire che non esisti?
Dio: La tua capacità di trarre conclusioni false è sbalorditiva. Solo perché stai parlando con te stesso ne segue che io non esisto?
Mortale: Ma se penso di parlare con te mentre in realtà sto parlando con me stesso, in che senso esisti tu?
Dio: La tua domanda è basata su due fallacie più un equivoco. Se tu ora stai parlando o no con me e se io esisto o no sono due questioni del tutto separate. Anche se tu ora non stessi parlando con me (ma è evidente che lo stai facendo), ciò non significherebbe ugualmente che io non esisto.
Mortale: Be’, d’accordo, è ovvio! Quindi, invece di dire “Se io sto parlando con me stesso, allora tu non esisti”, allora avrei dovuto dire: “Se io sto parlando con me stesso, allora è evidente che non sto parlando con te”.
Dio: Un’asserzione molto diversa, non c’è dubbio, ma falsa anch’essa.
Mortale: Ma andiamo, se sto solo parlando con me stesso, com’è possibile che stia parlando con te?
Dio: L’uso che fai della parola “solo” è molto fuorviante! Posso elencarti una serie di possibilità logiche secondo le quali se parli con te stesso ciò non esclude che tu stia parlando con me.
Mortale: Dimmene una sola!
Dio: Be’, ovviamente una di queste possibilità è che tu e io coincidiamo.
Mortale: Che pensiero blasfemo… almeno, se lo avessi espresso io!
Dio: Secondo certe religioni, sì. Secondo altre, è la verità pura, semplice e immediatamente percepibile.
Mortale: Dunque l’unica via per uscire dal mio dilemma è credere che tu e io coincidiamo?
Dio: Nient’affatto! Questa è solo una delle vie d’uscita. Ce ne sono diverse altre. Per esempio, può darsi che tu sia una parte di me, nel qual caso tu parleresti con quella parte di me che sei tu. Oppure potrei essere io una parte di te, nel qual caso parleresti con quella parte di te che sono io. O ancora: tu e io potremmo essere parzialmente sovrapposti, nel qual caso tu parleresti con l’intersezione e quindi sia con te sia con me. L’unico caso in cui il tuo parlare con te stesso sembrerebbe implicare che tu non stia parlando con me è che tu e io fossimo completamente disgiunti; ma anche in tal caso sarebbe possibile che tu stessi parlando a entrambi.
Mortale: Quindi tu sostieni di esistere.
Dio: Nient’affatto. Di nuovo trai conclusioni false! La questione della mia esistenza non si è neppure presentata. Io ho detto soltanto che dal fatto che tu stai parlando con te stesso non si può in alcun modo dedurre che io non esista, per non parlare del fatto secondario che tu non stia parlando con me.
Mortale: Va bene, questo te lo concedo! Però ciò che io voglio sapere veramente è se tu esisti!
Dio: Che strana domanda!
Mortale: Perché? Gli uomini se lo chiedono da innumerevoli millenni.
Dio: Lo so! Non è strana la domanda in sé; ciò che intendo dire è che è molto strano farla a me!
Mortale: Perché?
Dio: Perché io sono proprio quello della cui esistenza tu dubiti! Capisco perfettamente la tua preoccupazione . Hai paura che la tua attuale esperienza con me sia una pura allucinazione. Ma come ti puoi aspettare di ottenere da un essere informazioni attendibili sulla sua esistenza, quando sospetti che proprio quell’essere non esista?
Mortale: Quindi non mi vuoi dire se esisti o no?
Dio: Non lo faccio per cattiveria! Voglio solo farti notare che nessuna delle risposte che potrei darti riuscirebbe in alcun modo a soddisfarti. Va bene, supponi che io dica: “No, non esisto”. Che cosa dimostrerebbe ciò? Assolutamente nulla! Oppure potrei dire: ”Sì, esisto”. Ti convincerebbe questo? No, naturalmente!
Mortale: Ebbene, se tu non puoi dirmi se esisti o no, chi altri può dirmelo?
Dio: Questa è una cosa che nessuno ti può dire. È una cosa che puoi scoprire solo tu, da solo.
Mortale: Ma che cosa devo fare per scoprirla da solo?
Dio: Anche questo non le to può dire nessuno. È un’altra cosa che dovrai scoprire da solo.
Mortale: In che modo puoi dunque aiutarmi?
Dio: Di questo non ti preoccupare, lascia fare a me! Intanto però abbiamo cambiato argomento, e vorrei tornare a parlare dello scopo che secondo te io avrei avuto quando ti ho dato il libero arbitrio. La tua prima idea, cioè che ti abbia dato il libero arbitrio per vedere se meriti o no la salvezza, può piacere a molto moralisti, ma è un’idea che a me fa proprio orrore. non riesci a pensare a una ragione più piacevole, una ragione più umana, per cui io ti avrei dato il libero arbitrio?
Mortale: Ebbene, una volta feci questa domanda a un rabbino ortodosso, e lui mi disse che noi siamo stati fatti in modo tale che non ci è materialmente possibile gioire della salvezza se non sentiamo di essercela guadagnata. E per guadagnarcela naturalmente abbiamo bisogno del libero arbitrio.
Dio: Questa spiegazione è in effetti molto più piacevole di quella che mi hai dato prima, ma è ancora ben lungi dall’essere giusta. Secondo l’ebraismo ortodosso, io ho creato gli angelo, i quali non hanno il libero arbitrio. Essi mi vedono direttamente e sono attratti dalla bontà in modo così completo che non hanno mai la benché minima tentazione verso il male: non hanno davvero alcuna scelta. Eppure godono di una felicità eterna, anche se non se la sono mai guadagnata. Quindi, se la spiegazione del tuo rabbino fosse giusta, perché non avrei potuto creare solo angeli invece di creare anche i mortali?
Mortale: E chi lo sa! Perché?
Dio: Perché questa spiegazione è sbagliata. In primo luogo non ho mai creato angeli bell’e pronti: tutti gli esseri senzienti si avvicinano da ultimo a uno stato che si potrebbe chiamare “angelico”. Ma proprio come la specie degli esseri umani si trova a un certo stadio di evoluzione biologica, così gli angeli non sono che il risultato finale di un processo di Evoluzione Cosmica. L’unica differenza tra il cosiddettosanto e il cosiddetto peccatore è che il primo è immensamente più vecchio del secondo. Purtroppo ci vogliono innumerevoli cicli vitali per apprendere quello ch è forse il fatto più importante dell’universo: che il male fa soffrire. Tutti gli argomenti dei moralisti, tutte le ragioni addotte per sostenere che gli uomini non devono compiere azioni malvagie, impallidiscono e perdono ogni significato alla luce dell’unica verità di fondo, che il male è sofferenza.
No, amico mio, io non sono un moralista. Sono un perfetto utilitarista. L’avermi concepito come un moralista è una delle grandi tragedie del genere umano. Il mio ruolo nel disegno delle cose (se è lecito usare quest’espressione fuorviante) non è né di punire né di premiare, bensì di agevolare il processo per cui ogni essere senziente consegue la perfezione ultima.
Mortale: Perché hai detto che quell’espressione è fuorviante?
Dio: Ciò che ho detto era fuorviante per due motivi. In primo luogo è impreciso parlare del mio ruolo nel disegno delle cose: io sono il disegno delle cose. In secondo luogo, è altrettanto fuorviante dire che io agevolo il processo per cui gli esseri senzienti raggiungono l’illuminazione: io sono quel processo. Gli antichi taoisti andarono molto vicino al segno quando dissero di me (mi chiamavano “Tao”) che io nonfaccio le cose, eppure è attraverso di me che viene fatta ogni cosa. In termini più moderni, io non sono la causa del Processo Cosmico, io sono il Processo Cosmico stesso. Direi che la definizione più precisa e feconda che l’uomo possa dare di me – almeno allo stadio attuale della sua evoluzione – sia che io sono il processo stesso di illuminazione. Coloro che desiderano pensare al diavolo (anche se io vorrei che non lo facessero!) potrebbero definirlo, analogamente, come il tempo disgraziatamente lungo che il processo richiede. In questo senso, il diavolo è necessario; il fatto è che il processo richiede un tempo lunghissimo e io non ci posso fare proprio nulla. Ma ti assicuro che una volta che il processo sia compreso in maniera più esatta, quel tempo così penosamente lungo non sarà più considerato come una limitazione essenziale o come un male. Si vedrà che esso costituisce l’essenza stessa di questo processo. So che questo non è del tutto consolante per te, che ti trovi ora nel mare finito della sofferenza; ma la cosa stupefacente è che, una volta che tu abbia afferrato questo atteggiamento di fondo, la tua sofferenza finita comincerà a diminuire, finché da ultimo svanirà.
Mortale: Questo me l’hanno detto, e sono incline a crederlo. Ma supponi che io personalmente arrivi a vedere le cose attraverso i tuoi occhi eterni. Io allora sarò più felice, ma non ho forse degli obblighi verso gli altri?
Dio (ridendo): Mi fai venire in mente i buddhisti Mahāyāna! Ciascuno dice: “Io non entrerò nel Nirvāṇa se prima non ci vedrò entrare tutti gli altri esseri senzienti”. Così ciascuno aspetta che siano gli altri a entrare per primi. Non c’è da meravigliarsi che ci mettano tanto tempo! Il buddhista Hīnayāna commette lo sbaglio opposto. Egli crede che nessuno possa minimamente aiutare gli altri a ottenere la salvezza: ciascuno deve fare tutto da solo. E quindi ciascuno si sforza di conseguire solo la propria salvezza. Ma proprio questo atteggiamento distaccato rende impossibile la salvezza. La verità è che la salvezza è un processo in parte individuale e in parte sociale. Ma è un grave errore credere – come fanno molti buddhisti Mahāyāna – che conseguire l’illuminazione significhi per così dire, essere messo fuori servizio e non poter più aiutare gli altri. Il modo migliore per aiutare gli altri è di vedere prima la luce noi stessi.
Mortale: Nella descrizione ch fai di te stesso c’è qualcosa che mi turba un poco. Tu ti descrivi essenzialmente come un processo. Questo ti pone in una luce molto impersonale, mentre tantissime persone hanno bisogno di un Dio personale.
Dio: E così, dal momento che hanno bisogno di un Dio personale, ne consegue che io sono un Dio personale?
Mortale: No, naturalmente. Ma per essere accettabile dai mortali, una religione deve soddisfare i loro bisogni.
Dio: Me ne rendo conto. Ma la cosiddetta “personalità” di un essere è in realtà più nell’occhio di chi guarda che nell’essere in questione. Tutto questo acceso dibattere se io sia un essere personale o impersonale è piuttosto sciocco, perché nessuna delle due posizioni è giusta o sbagliata. Da un certo punto di vista io sono personale, da un altro non lo sono. Per un essere umano è la stessa cosa: una creatura di un altro pianeta può vederlo in modo puramente impersonale, come semplice insieme di particelle atomiche che si comportano secondo leggi fisiche rigorose. Questa creatura potrebbe provare per la personalità dell’essere umano la stessa considerazione che l’uomo comune ha per una formica. Eppure una formica ha tanta personalità individuale quanta un essere umano per esseri che, come me, conoscono veramente la formica. Vedere una cosa come impersonale non è né più giusto né più sbagliato che vederla come personale, ma in genere quanto più si conosce qualcosa tanto più personale essa diventa. Per illustrare quanto dico, tu mi pensi come un essere personale o impersonale?
Dopo un po’ di divagare, arriviamo finalmente al nocciolo del discorso: perché l’uomo ha il libero arbitrio, se lo ha veramente e se sia concepibile o meno un essere senziente senza libero arbitrio. Inoltre, si vedrà se l’uomo ha la capacità o meno di andare contro alle “leggi della natura”.

Mortale: Be’, ti sto parlando, no?
Dio: Precisamente! Da questo punto di vista, il tuo atteggiamento nei miei confronti potrebbe essere definito personale. E tuttavia, da un altro punto di vista, non meno valido, mi si può anche vedere come impersonale.
Mortale: Ma se tu sei davvero un processo, cioè una cosa astratta, non riesco a capire che senso possa avere che io parli con un semplice “processo”.
Dio: Mi piace il modo in cui dici “semplice”. Allo stesso modo potresti dire che vivi in un “semplice universo”. E poi, perché ogni cosa che si fa dovrebbe avere senso? Ha senso parlare con un albero?
Dio: Eppure molti bambini e molti primitivi lo fanno.
Mortale: Ma io non sono né un bambino né un primitivo.
Dio: Eh già, purtroppo.
Mortale: Perché purtroppo?
Dio: Perché molti bambini e molti primitivi hanno un’intuizione primordiale che quelli come te hanno perduto. Francamente penso che ti farebbe un gran bene parlare con un albero ogni tanto, anche più che parlare con me! Ma esso che abbiamo di nuovo cambiato argomento! Per l’ultima volta, vorrei che cercassimo di arrivare a capire perché ti ho dato il libero arbitrio.
Mortale: Io ho continuato a pensarci.
Dio: Vuoi dire che non hai seguito con attenzione la nostra conversazione?
Mortale: Sì che l’ho seguita. Ma nel frattempo, a un altro livello, ho continuato a pensarci.
Dio: E sei arrivato a qualche conclusione?
Mortale: Dunque, tu dici che il motivo non è quello di mettere alla prova il nostro merito. E hai confutato il motivo che per godere delle cose noi abbiamo bisogno di sentire che dobbiamo meritarle. E sostieni di essere un utilitarista. E la cosa più significativa di tutte è che mi sei sembrato contentissimo quando mi sono reso conto d’un tratto che non è il peccare un sé che è male, ma solo la sofferenza che esso provoca.
Dio: Ma certo! Che altro ci potrebbe essere di male nel peccare?
Mortale: D’accordo, tu lo sai e adesso lo so anch’io. Ma purtroppo io ho passato tutta la vita sotto l’influenza di quei moralisti che ritengono che il peccare sia male in sé. Comunque sia, mettendo insieme tutti questi pezzi, mi viene da pensare che l’unica ragione per cui ci hai dato il libero arbitrio è perché credi che col libero arbitrio che uomini probabilmente causeranno meno sofferenza agli altri – e a se stessi – che senza libero arbitrio.
Dio: Bravo! Questa è di gran lunga la ragione migliore che hai dato finora! Ti posso assicurare che se avessi deciso di darvi il libero arbitrio, l’avrei fatto proprio per questa ragione.
Mortale: Ma come! Vuoi dire che non hai deciso di darci il libero arbitrio?
Dio: Mio caro, non potevo decidere di darvi il libero arbitrio più di quanto potessi decidere di fare equiangolo un triangolo equilatero. Naturalmente potevo decidere di fare o di non fare un triangolo equilatero, ma dopo aver deciso di farlo non avevo altra scelta che farlo equiangolo.
Mortale: Pensavo che tu potessi fare tutto!
Dio: Solo le cose che sono logicamente possibili. Come disse san Tommaso: “È peccato considerare il fatto che Dio non può fare l’impossibile come una limitazione del Suo potere”. Sono d’accordo, solo che invece di dire peccato come fa lui, io direi errore.
Mortale: Comunque sono ancora sconcertato da quanto mi hai fatto capire, cioè che non hai deciso di darmi il libero arbitrio.
Dio: Ebbene, è giunto il momento di farti sapere che tutta la nostra discussione, fin dall’inizio, si è basata su una fallacia mostruosa! Abbiamo parlato a un livello puramente morale; tu hai cominciato col lamentarti che io ti abbia dato il libero arbitrio e hai sollevato tutta la questione se avessi dovuto farlo. Non ti è mai venuto in mente che io non avevo assolutamente alcuna scelta.
Mortale: Brancolo ancora nel buio!
Dio: Certo! Perché sei solo capace di considerare il problema con gli occhi del moralista. Non ti è mai passato per la testa di considerare i più fondamentali aspetti metafisici della questione.
Mortale: Non vedo ancora dove tu voglia andare a parare.
Dio: Invece di chiedermi di toglierti il libero arbitrio, non avresti forse dovuto chiedere prima di tutto se ce l’hai, il libero arbitrio?
Mortale: Ma io lo davo semplicemente per scontato.
Dio: E perché?
Mortale: Non lo so. Ce l’ho, il libero arbitrio?
Dio: Si.
Mortale: Allora perché mi hai detto che non avrei dovuto darlo per scontato?
Dio: Perché non avresti dovuto. Solo perché una cosa è vera, non ne segue che la si debba dare per scontata.
Mortale: Comunque mi tranquillizza sapere che la mia intuizione naturale sul fatto che posseggo il libero arbitrio è giusta. Mi è successo a volte di temere che abbiano ragione i deterministi.
Dio: I deterministi hanno ragione.
Mortale: Un momento: il libero arbitrio ce l’ho o non ce l’ho?
Dio: Ti ho già detto di sì. Ma questo non significa che il determinismo sia sbagliato.
Mortale: Insomma, le mie azioni sono determinate dalle leggi della natura o no?
Dio: La parola determinate qui è una sottile ma possente causa di fraintendimenti, e ha contribuito parecchio a confondere le acque nelle controversie sul libero arbitrio e il determinismo. Le tue azioni sono certamente in accordo con le leggi della natura, ma dire che esse sono determinate dalle leggi della natura crea un’immagine psicologia totalmente fuorviante; fa pensare cioè che la tua volontà possa essere in qualche modo in conflitto con le leggi della natura e che questa sia in qualche modo più potente di te e possa “determinare” le tue azioni, che tu lo voglia o no. Ma è semplicemente impossibile che la tua volontà entri mai in conflitto con la legge naturale. In realtà tu e la legge naturale siete la stessa identica cosa.
Mortale: Come sarebbe a dire che io non posso entrare in conflitto con la natura? Supponiamo che io mi intestardissi e determinassi di non obbedire alle leggi della natura. Che cosa potrebbe fermarmi? Se mi intestardissi abbastanza, nemmeno tu potresti fermarmi!
Dio: Hai perfettamente ragione! Io certo non potrei fermarti. Nulla potrebbe fermarti. Ma non ci sarebbe alcun bisogno di fermarti, poiché non potresti neppure cominciare! Goethe ha espresso molto bene tutto ciò: “Nel tentare di opporci alla Natura noi, nell’atto stesso di farlo, operiamo secondo le leggi della natura!”. Non capisci che le cosiddette “leggi della natura” non sono altro che una descrizione di come appunto tu e gli altri esseri agite? Sono semplicemente una descrizione di come tu agisci, non una prescrizione di come dovresti agire, non un potere o una forza che costringe o determina le tue azioni. Per essere valida, una legge della natura deve tener conto di come tu di fatto agisci, o, se preferisci, di come tu scegli di agire.
Mortale: In realtà, dunque, tu sostieni che io sono incapace di determinare di agire contro la legge naturale?
Dio: È interessante che tu abbia usato per due volte l’espressione “determinare di agire” invece che “scegliere di agire”. Questa identificazione è molto frequente. Spesso si usa l’asserzione “Sono nella determinazione di far questo” come sinonimo di “Ho scelto di far questo”. Ma proprio questa identificazione psicologica dovrebbe rivelare che il determinismo e la scelta sono molto più vicini tra loro di quanto potrebbe sembrare. Naturalmente tu potresti benissimo dire che la dottrina del libero arbitrio dice che sei tu a compiere questo atto di determinazione, mentre la dottrina del determinismo afferma, a quanto pare, che le tue azioni sono determinate da qualcosa che con tutta evidenza sta fuori di te. Ma la confusione è in gran parte causata dalla dicotomia che tu compi dividendo la realtà in “te” e “non te”. Suvvia, dov’è che in realtà finisci tu e comincia il resto dell’universo? Oppure, dov’è che finisce il resto dell’universo e cominci tu? Una volta che tu riesca a vedere il cosiddetto “te” e la cosiddetta “natura” come una totalità continua, non sarai più tormentato dal dubbio se sei tu a controllare la natura o la natura a controllare te. E così sparirà tutto questo pasticcio del conflitto tra libero arbitrio e determinismo. Se mi è lecito usare un’analogia un po’ grossolana, immagina due corpi che si muovano l’uno verso l’altro a causa dell’attrazione gravitazionale. Se fosse senziente, ciascun corpo potrebbe domandarsi se è lui stesso oppure l’altro a esercitare la “forza”. In un certo senso la esercitano entrambi, in un certo senso non la esercita né l’uno né l’altro. Meglio di tutto è dire che ciò che conta è la configurazione dei due.
Mortale: Poco fa hai detto che tutta la nostra discussione era basata su una fallacia mostruosa, ma ancora non mi hai detto quale sia questa fallacia.
Dio: Ma come, è l’idea che io avrei potuto crearti senza libero arbitrio! Ti comportavi come se questa fosse una possibilità autentica e ti domandavi perché io non l’avessi scelta! Non ti è mai venuto in mente che un essere senziente senza libero arbitrio non è più concepibile di quanto lo sia un oggetto fisico che non eserciti attrazione gravitazionale. (E per inciso, l’analogia tra un oggetto fisico che esercita l’attrazione gravitazionale e un essere senziente che esercita il libero arbitrio è più stretta di quanto tu pensi!). In tutta onestà, riesci a immaginarti un essere cosciente privo di libero arbitrio? Come sarebbe mai fatto? Una cosa che secondo me ti ha portato tanto fuori strada nella tua vita è che ti hanno detto che io ho fatto all’uomo il dono del libero arbitrio. Come se prima avessi creato l’uomo e poi, come ripensandoci, lo avessi dotato di questa ulteriore proprietà del libero arbitrio. Forse tu penserai che io abbia una sorta di “pennello” con cui ritocco certe creature col libero arbitrio e altre no. No, il libero arbitrio non è un “extra”: esso è parte integrante dell’essenza stessa della coscienza. Un essere cosciente senza libero arbitrio è semplicemente un assurdo metafisico.
Mortale: Ma allora perché mi hai dato corda per tutto questo tempo, discutendo quello che io pensavo fosse un problema morale mentre, come tu dici, la mia confusione di fondo era di natura metafisica?
Dio: Perché pensavo che sarebbe stata buona terapia espellere dal tuo sistema un po’ di questo veleno morale. Gran parte della tua confusione metafisica era dovuta a nozioni morali sbagliate, e quindi bisognava per prima cosa occuparsi di quelle.
E ora dobbiamo lasciarci, almeno fino a quando non avrai di nuovo bisogno di me. Penso che la nostra attuale unione ti sarà di utile sostegno per un bel po’. Ma ricordati quello che ti ho detto a proposito degli alberi. Naturalmente non è necessario che tu parli davvero con loro, se ciò ti mette in imbarazzo; ma ci sono tante cose che puoi imparare da loro, e anche dalle pietre, dai ruscelli e dalle altre manifestazioni della natura. Nulla vale quanto un orientamento naturalistico per dissipare tutti questi morbosi pensieri di “peccato”, di “libero arbitrio” e di “responsabilità morale”. A un certo stadio della storia queste nozioni furono effettivamente utili: mi riferisco ai giorni in cui i tiranni avevano un potere illimitato e solo il timore dell’inferno era in grado di frenarli. Ma da allora l’umanità è cresciuta, e questo raccapricciante modo di pensare non è più necessario.
Potrebbe esserti d’aiuto ricordare quanto dissi una volta attraverso gli scritti del grande poeta Zen Seng-Ts’an:
Se vuoi raggiungere la nuda verità,
non preoccuparti di giusto e sbagliato.
Il conflitto tra giusto e sbagliato
è la malattia della mente.
Vedo dalla tua espressione che queste parole ti consolano e ti atterriscono allo stesso tempo! Di che cosa hai paura? Che se abolisci nella tua mente la distinzione tra giusto e sbagliato sarà più probabile che tu commetta azioni sbagliate? Perché sei così sicuro che l’autocoscienza relativa al giusto e allo sbagliato non porta a compiere più azioni sbagliate che azioni giuste? Credi veramente che le persone cosiddette amorali, quando si tratta di azioni e non di teoria, si comportino in modo meno etico che non i moralisti? No naturalmente! Anzi, moltissimi moralisti riconoscono la superiorità etica del comportamento della maggior parte di coloro che teoricamente assumono una posizione amorale. Sembrano davvero sorpresi che questa gente si comporti così bene senza princìpi etici! Mai che pensino che è proprio in virtù della mancanza di princìpi morali che la loro buona condotta si manifesta così liberamente!
Forse che le parole “Il conflitto tra giusto e sbagliato è la malattia della mente umana” esprimono un’idea tanto diversa dalla storia del Paradiso terrestre e della caduta dell’uomo perché Adamo mangiò il frutto della conoscenza? Questa conoscenza, bada bene, era conoscenza di princìpi etici, non di sentimenti etici, poiché questi ultimi Adamo già li aveva. C’è molta verità in quella storia, anche se io non ho mai ordinato ad Adamo di non mangiare la mela: mi limitai a consigliargli di non farlo. Gli dissi che non glie ne sarebbe seguito alcun bene. Se quello sciocco mi avesse dato retta, quanti guai si sarebbero potuti evitare! E invece no, lui credeva di sapere tutto! Ma vorrei che i teologi capissero una buona volta che io non sto punendo Adamo e tutta la sua progenie per quell’azione: è il frutto di quell’albero che è di per sé velenoso e i suoi effetti, ahimè, si protraggono per innumerevoli generazioni.
E ora devo proprio congedarmi. Spero davvero che la nostra discussione dissipi un po’ della tua morbosità etica, e la sostituisca con un orientamento più naturalistico. Ricorda anche le meravigliose parole che pronunciai una volta per bocca di Lao-Tsu, quando rimproverai Confucio per il suo moraleggiare:
Tutto questo parlare di bontà e di dovere, queste continue punture di spillo, snervano e irritano l’ascoltatore. Faresti meglio a studiare come avviene che il Cielo e la Terra mantengano il loro corso eterno, e il sole e la luna il loro splendore, le stelle le loro schiere ordinate, le bestie e gli uccelli i branchi e gli stormi, e gli alberi e gli arbusti la loro posizione eretta. Anche tu dovresti imparare queste cose per guidare i tuoi passi col Potere Interiore, per seguire il corso che la Via della Natura stabilisce; e ben presto non avrai più bisogno di affaticarti e predicare dappertutto la bontà e il dovere… Il cigno non ha bisogno di fare il bagno ogni giorno per mantenersi bianco.
Mortale: Vedo che hai proprio un debole per la filosofia orientale!
Dio: Oh, nient’affatto! Alcuni dei miei pensieri più belli sono fioriti nella tua patria, l’america. Per esempio, non ho mai espresso la mia nozione di “dovere” con maggiore eloquenza che attraverso i pensieri di Walt Whitman:
Nulla io do come doveri,
Ciò che gli altri danno come doveri,
[io lo do come impulso vitale.