mercoledì 24 aprile 2013

Islamofobia, cristianofobia, ateofobia: la scala dell’odio

bbc
Non si può negare l’e­si­sten­za di vit­ti­me. Ma non si può nem­me­no negare l’e­si­sten­za del vit­ti­mi­smo. Re­cen­te­men­te ab­bia­mo di­scus­so di isla­mo­fo­bia e di cri­stia­no­fo­bia. Ma anche noi, atei e agno­sti­ci, non ri­nun­cia­mo a pre­sen­ta­re rap­por­ti al­l’O­nu sulle di­scri­mi­na­zio­ni che su­bia­mo. L’ha fatto l’Iheu, di cui fa parte l’Uaar in rap­pre­sen­tan­za del­l’I­ta­lia, e l’ha fatto la stessa Uaar, par­lan­do di “ateo­fo­bia” in oc­ca­sio­ne di di­chia­ra­zio­ni pa­le­se­men­te di­scri­mi­na­to­rie come quelle del­l’ex mi­ni­stro degli esteri Franco Frat­ti­ni. Ha senso usare questi ter­mi­ni?

Il ri­fiu­to del “di­ver­so” viene dalla notte dei secoli. Po­treb­be ad­di­rit­tu­ra avere ori­gi­ne bio­lo­gi­ca, guar­dan­do come fun­zio­na­no le so­cie­tà dei nostri cugini pri­ma­ti. L’an­tro­po­lo­gia ha da tempo messo a punto il con­cet­to di “et­no­cen­tri­smo” per de­fi­ni­re la va­lu­ta­zio­ne delle altre cul­tu­re a par­ti­re dalla pro­pria: una va­lu­ta­zio­ne, be­nin­te­so, quasi ovun­que ne­ga­ti­va. La realtà po­si­ti­va è quella della co­mu­ni­tà, dell’in­group, del Noi, e si ferma ai con­fi­ni del vil­lag­gio. Fuori ci sino gli Altri, i di­ver­si: non solo rap­pre­sen­ta­no una mi­nac­cia po­ten­zia­le, ma co­sti­tui­sco­no anche la rap­pre­sen­ta­zio­ne di ciò che la co­mu­ni­tà non è, un mo­del­lo ne­ga­ti­vo su cui for­gia­re la pro­pria iden­ti­tà e ga­ran­tir­le quindi omo­ge­nei­tà.
 
"Con fatica tro­ve­re­te con­fes­sio­ni mag­gio­ri­ta­rie fa­vo­re­vo­li al plu­ra­li­smo non solo a parole"
 
Le re­li­gio­ni non fun­zio­na­no di­ver­sa­men­te: sono un ele­men­to iden­ti­ta­rio for­tis­si­mo, se­con­do solo alla lingua. E ten­do­no, più o meno tutte, al­l’o­mo­ge­nei­tà. Si sente spesso dire che le re­li­gio­ni sono un fe­no­me­no coe­si­vo: certo, ma sol­tan­to perché im­pon­go­no l’o­mo­ge­nei­tà. Con fatica tro­ve­re­te con­fes­sio­ni mag­gio­ri­ta­rie fa­vo­re­vo­li al plu­ra­li­smo non solo a parole, ma anche nella pra­ti­ca. Il dis­sen­zien­te è più o meno sempre sco­mu­ni­ca­to e lad­do­ve la le­gi­sla­zio­ne si adegua alla dot­tri­na, anche punito dal brac­cio se­co­la­re.
Le so­cie­tà de­mo­cra­ti­che, tut­ta­via, sono tali pro­prio perché af­fer­ma­no il plu­ra­li­smo come un valore. In fin dei conti, i con­flit­ti Sta­to-Chie­se hanno tutti radice nel ten­ta­ti­vo di im­pe­di­re che le dot­tri­ne esclu­si­vi­ste re­li­gio­se di­ven­ti­no leggi ap­pli­ca­bi­li a tutti.
L’af­fer­ma­zio­ne del plu­ra­li­smo come valore deve tut­ta­via ac­com­pa­gnar­si a una con­ce­zio­ne al­tret­tan­to im­por­tan­te: quella del­l’u­gua­glian­za di fronte alla legge. Che non va con­ce­pi­ta come se tutte le cre­den­ze, le opi­nio­ni e i com­por­ta­men­ti aves­se­ro lo stesso valore, ma che nes­su­na cre­den­za, opi­nio­ne e com­por­ta­men­to può godere di spe­cia­li pri­vi­le­gi di legge. Un ma­lin­te­so con­cet­to di mul­ti­cul­tu­ra­li­smo può por­ta­re al­l’ac­co­mo­da­zio­ni­smo nei con­fron­ti delle ri­chie­ste più as­sur­de, a giu­sti­fi­ca­re ec­ce­zio­ni al di­rit­to solo sulla base del­l’ap­par­te­nen­za re­li­gio­sa.

Un at­teg­gia­men­to assai dif­fu­so tra chi più è sen­si­bi­le nei con­fron­ti del “di­ver­so”, ma che spesso ot­tie­ne ri­sul­ta­ti op­po­sti a quelli au­spi­ca­ti dai suoi stessi so­ste­ni­to­ri. Al “di­ver­so” non deve essere chie­sto di ade­guar­si, ma deve essere chiara la sua presa di di­stan­za da com­por­ta­men­ti e ideo­lo­gia ri­te­nu­te li­ber­ti­ci­de e deve essere al­tret­tan­to chiaro che la sua ri­chie­sta di pri­vi­le­gi esclu­si­vi ri­schia di esa­cer­ba­re i con­flit­ti, an­zi­ché se­dar­li. In caso con­tra­rio, il “di­ver­so” che si pre­sen­te­rà con tali pes­si­me cre­den­zia­li por­te­rà sol­tan­to acqua al mulino degli iden­ti­ta­ri­sti, che amano at­tac­ca­re altri iden­ti­ta­ri­sti. Non è na­scon­den­do la testa nella sabbia cer­can­do di cam­biar­li che si potrà ri­sol­ve­re un pro­ble­ma ata­vi­co.
 
"solo un sur­plus di im­pe­gno del “di­ver­so” con­tri­bui­rà a evi­ta­re sia l’as­si­mi­la­zio­ne for­za­ta, sia l’e­ter­no con­flit­to"
 
Lo notava già John Stuart Mill, oltre un secolo e mezzo fa: “La peg­gior scor­ret­tez­za con­si­ste nel bol­la­re gli op­po­si­to­ri come morali e im­mo­ra­li. [...] In ge­ne­ra­le, le opi­nio­ni mi­no­ri­ta­rie pos­so­no spe­ra­re di essere ascol­ta­te solo usando un lin­guag­gio stu­dia­ta­men­te mo­de­ra­to ed evi­tan­do con ogni cura di of­fen­de­re inu­til­men­te chiun­que, pena la per­di­ta di ter­re­no a ogni minima de­via­zio­ne sa questa linea; mentre, im­pie­ga­to dal lato del­l’o­pi­nio­ne pre­va­len­te, il vi­tu­pe­rio più sca­te­na­to è un de­ter­ren­te reale, che di­sto­glie la gente dal pro­fes­sa­re opi­nio­ni non con­for­mi­ste e dal­l’a­scol­ta­re chi le pro­fes­sa”. Vo­len­ti o no­len­ti, solo un sur­plus di im­pe­gno del “di­ver­so” con­tri­bui­rà a evi­ta­re sia l’as­si­mi­la­zio­ne for­za­ta, sia l’e­ter­no con­flit­to.
Perché il con­flit­to, salvo rari casi, ha luogo tra una co­mu­ni­tà di mag­gio­ran­za e una o più co­mu­ni­tà di mi­no­ran­za. Con la prima che, sempre salvo rari casi, sfrut­te­rà la sua po­si­zio­ne per at­tac­ca­re chi non ne fa parte (e per “at­tac­ca­re” non in­ten­dia­mo ov­via­men­te la cri­ti­ca le­git­ti­ma espres­sa pa­ci­fi­ca­men­te). Se vo­glia­mo dare un senso a parole che fi­ni­sco­no per -fobia, sarà utile uti­liz­za­re una scala. Esiste in­fat­ti una scala del­l’o­dio: parte dalla crea­zio­ne e dif­fu­sio­ne di ste­reo­ti­pi ne­ga­ti­vi, sale per la con­si­de­ra­zio­ne d’in­fe­rio­ri­tà, pro­se­gue con la de­mo­niz­za­zio­ne pub­bli­ca, giunge alla ri­chie­sta di di­scri­mi­na­zio­ni le­gi­sla­ti­ve e sfocia infine nella vio­len­za, sia quella pri­va­ta sia, in modo ancora più in­tol­le­ra­bi­le, nel le­ga­liz­za­re e com­mi­na­re con­dan­ne a morte.
 
"ri­sul­ta evi­den­te che chi meno ha da gri­da­re alla per­se­cu­zio­ne sono i mu­sul­ma­ni"
 
Se questa è la scala del­l’o­dio, ri­sul­ta evi­den­te che chi meno ha da gri­da­re alla per­se­cu­zio­ne sono i mu­sul­ma­ni: perché solo in paesi a mag­gio­ran­za mu­sul­ma­na è pre­vi­sta ad­di­rit­tu­ra la pena di morte per chi non la pensa (più) allo stesso modo. I cri­stia­ni, che pure la pre­ve­de­va­no e la pre­ten­de­va­no in pas­sa­to, ora si sono (sono stati) am­mor­bi­di­ti. Or­ga­niz­za­zio­ni rap­pre­sen­tan­ti atei e agno­sti­ci non l’han­no mai chie­sta. E questo mag­gior ri­spet­to è at­te­sta­to anche da in­chie­ste, come il World Value Survey, che mo­stra­no come i non cre­den­ti ab­bia­no meno pro­ble­mi ad avere come vicini per­so­ne con “di­ver­sa” opi­nio­ne sulla re­li­gio­ne. Ma anche im­mi­gra­ti, ra­gaz­ze madri, omo­ses­sua­li.
A pro­po­si­to. A ben guar­da­re, sono pro­prio questi ultimi i più di­scri­mi­na­ti. La pena di morte nei loro con­fron­ti è pre­vi­sta in di­ver­si paesi isla­mi­ci. E in tanti altri, come l’I­ta­lia, l’o­mo­fo­bia non è nem­me­no espli­ci­ta­men­te san­zio­na­ta.