giovedì 8 marzo 2012

Vatileaks, l’ex presidente del governatorato “Viganò? I suoi sospetti erano infondati”

L'ex segretario del governatorato vaticano, Carlo Maria Viganò

Per il cardinale Lajolo l'ex segretario generale fu "messo ingiustamente in cattiva luce e nel cercare i responsabili, egli si mise su una pista sbagliata". Intanto gli Usa inseriscono il Vaticano tra i Paesi "suscettibili" al riciclaggio di denaro.


Monsignor Viganò partì da sospetti rivelatisi infondati e si mise su una pista sbagliata”. A dirlo il cardinale Giovanni Lajolo, ex presidente del Governatorato Vaticano, che ha guidato l’organismo vaticano proprio mentre Viganò ne era segretario generale. L’alto prelato ha rilasciato la dichiarazione al blog del TgCom ‘Stanze Vaticane’ dopo la pubblicazione di documenti e lettere sui giornali, nei quali Viganò denunciava casi di corruzione, prima di essere trasferito come nunzio apostolico a Washington.

Sul caso ribattezzato Vatileaks e su come si è prodotto, “sono possibili diverse interpretazioni – aggiunge Lajolo – Per parte mia non posso sottrarmi all’impressione che qualche impiegato di Curia, frustrato nelle sue ambizioni, abbia creduto di potersi compensare col produrre segretamente un’azione di disturbo, e abbia trovato qualche sua conoscenza nel mondo dei media, che ne ha subito volentieri approfittato”. Quanto al segretario di Stato, Tarcisio Bertone, che secondo alcuni sarebbe l’obiettivo da colpire da parte di chi ha messo in moto Vatileaks, “egli gode giustamente della piena fiducia del papa”.

Il cardinale Lajolo sostiene che clima “pesante” ci fosse durante il periodo in cui Viganò era segretario generale. “E’ innegabile. Viganò si vide messo ingiustamente in cattiva luce da alcune notizie stampa, e ne rimase profondamente ferito. Nel cercare i responsabili, egli partì da sospetti, rivelatisi infondati, e si mise su una pista sbagliata, che lo portò ad inserire il suo caso in un quadro più ampio con una serie di analisi che un più attento e spassionato esame ha rivelato erronee”.

Lajolo confuta poi alcune delle accuse che Viganò muove nelle sue lettere, come il costo del presepe in piazza San Pietro: nessuno sperpero, dice, quel costo “indicato in 546 mila euro, era comprensivo dell’installazione dell’albero di Natale e di numerosi presepi minori distribuiti per la città del Vaticano; i servizi tecnici del Governatorato avevano inoltre provveduto a una nuova struttura portante in carpenteria metallica, a un nuovo sistema di illuminazione e all’acquisto di nuovi materiali, in gran parte polistirolo, tutti elementi che vennero poi impiegati nei presepi degli anni successivi”.

Resta poi l’operazione del dicembre 2009 in cui sarebbero andati persi due milioni e mezzo di dollari. “Non riesco a comprendere su quale analisi si basi l’affermazione di monsignor Viganò – risponde Lajolo – Probabilmente si basava su di una sfavorevole fluttuazione del cambio a breve termine, ma non teneva conto dell’evoluzione positiva sul lungo periodo e dei rendimenti acquisiti. Posso dire, senza tema di smentita, che la sezione straordinaria dell’Apsa (l’Amministrazione patrimonio apostolico della Santa Sede), a cui affidai gli investimenti finanziari del governatorato nel marzo del 2009, in quello stesso anno 2009 realizzò un recupero del 24,6 per cento delle perdite del 2008, e questo grazie anche alla consulenza del Comitato Finanza e Gestione da me istituito nel 2008″.

Intanto il dipartimento di Stato americano ha aggiunto per la prima volta il Vaticano a una lista di altri 67 Paesi potenzialmente suscettibili al riciclaggio del denaro. Nel rapporto annuale sulla strategia per il controllo del narcotraffico, il governo Usa inserisce la Santa Sede nella categoria dedicata ai Paesi con “giurisdizioni preoccupanti”, insieme – tra gli altri – ad Albania, Repubblica Ceca, Egitto, Corea del Sud, Malaysia, Vietnam e Yemen. La categoria in cui si inserisce il Vaticano (“Giurisdizioni che destano preoccupazione”) è di un livello inferiore a quella dei Paesi che destano “estremo allarme”, una ‘lista nera’ di Paesi tra i quali Afghanistan, Australia, Brasile, Isole Cayman, Cina, Giappone, Russia, Gran Bretagna, gli stessi Stati Uniti, Uruguay e Zimbabwe. Il Vaticano, spiegano dal dipartimento di Stato statunitense, ha varato per la prima volta nel 2011 un programma anti-riciclaggio, ma occorrerà un anno per capire quanto sia efficace; e dunque è ‘potenzialmente vulnerabile’ al problema a causa della massiccio afflusso di denaro che circola tra la Santa Sede e il resto del mondo. Papa Benedetto XVI ha creato il 30 dicembre 2010 l’Autorità per l’informazione finanziaria, che dovrebbe consentire al Vaticano di mettersi in linea con le norme internazionali di lotta al riciclaggio del denaro e finanziamento del terrorismo.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/08/vatileaks-presidente-governatorato-vigano-suoi-sospetti-erano-infondati/196147/