Bruno Gualerzi*
Per cominciare ad uscire da quello che sotto troppi aspetti può diventare (come storicamente a intervalli sempre più brevi è diventato, e continua a diventare) un inferno reale, occorre cominciare ad uscire da un paradiso fittizio, alla cui illusoria costruzione, certo involontariamente, ha contribuito a volte anche il tradizionale pensiero ateo. Occorre uscire da un paradiso dove nessun uomo è mai stato, naturalmente, ma la cui pura evocazione, proprio per questo, rende spesso infernale l’esistenza ‘terrena’. La quale, nella sua consistenza, non può reggere il confronto con l’inesistente, un confronto che può portare all’assurdo di concentrare tutti gli sforzi per indebolire, o proprio cancellare, questa consistenza come modo per avvicinarsi di fatto il più possibile all’inesistente. Un luogo, l’inesistente, dove – essendo il puro nulla per la nostra esperienza – c’è spazio per tutto ciò che vorremmo, soprattutto per collocarvi un’esistenza liberata dalla fatica di vivere. Per inseguire un’ombra, viene gettato nell’ombra ciò che la produce, cioè noi stessi. Come?
Cercando con tutti i mezzi di abdicare alla propria condizione, tutta umana, di esseri pensanti avendo spesso individuato nella coscienza di sé il vero nemico, quello che costringe a ’sapere’ di un nostro destino e che – anche per il solo fatto di conoscerlo – ‘non ci piace’. “Annulliamo la coscienza, o mettiamola al servizio di una qualche trascendenza – ci consigliano allora ad esempio certi campioni di spiritualità – e così approderemo a qualche Eden, a qualche ‘nirvana”… oppure, ci suggeriscono all’opposto ma solo apparentemente, i sistematori di realtà, i costruttori di mondi: “Togliamo alla coscienza tutti gli spazi in cui si attarda a pensare se stessa, ripuliamola di tante inutili perplessità, di tanti dubbi frustranti, e così rigenerata, utilizziamola per creare il migliore dei mondi possibili senza troppi ripensamenti!”
E così nell’illusione di avvicinarsi sempre più al modello ideale, di prepararne un’anticipazione, si mette la sordina alla sola vera facoltà che può farci vivere veramente da uomini: la ragione, o la semplice ragionevolezza. E così non si fa altro che avviare una spirale perversa di tentativi fallimentari il cui risultato consiste, a dispetto dei tanti proclamati trionfi della presunta pienezza dell’esperienza religiosa da un lato e del progresso indefinito come valore assoluto dall’altro, nel gettare intere popolazioni nella disperazione che corona sempre ogni alienazione. Volendo esaltare la vita alzandola oltre se stessa, si lascia completamente via libera all’istinto di morte’, il vero traguardo di qualsiasi processo che intenda ‘trascendere’ la vita, che non intenda tener conto che la vita, comunque, reca sempre con sé, a dispetto di tutti i nostri esorcismi, la morte. Se si rimuove la morte, essa agisce tanto più quanto più non ci si rende conto che tutto ciò che stiamo facendo lo facciamo solo per esorcizzarla. E così si assiste a intere moltitudini che, tra un superstizioso ossequio ad ogni scadenza religiosa (i rituali propriamente religiosi, e quelli ‘laici’, non meno vincolanti) e l’altro, trovano il tempo per lasciarsi trascinare nelle più spietate violenze per i più futili motivi. Quale guerra, quale conflitto dichiarato, quale violenza organizzata comunque e per qualunque motivo esercitata sui propri simili, sono stati perpetrati per motivi che – col solito senno di poi e una volta dissoltisi i polveroni retorici – possono reggere veramente alla più semplice delle valutazioni, quella operata dal cosiddetto buon senso, o ragionevolezza che dir si voglia… mentre il tutto viene legittimato quando i motivi addotti, invece di essere valutati per quello che sono, cioè vuote parole senza senso, sono fatti risalire alla necessità di soddisfare ‘concretamente’ esigenze irrinunciabili? E per far questo, per far digerire questi insensati misfatti, ci si mettono davvero in tanti:
- quelli che parlano di valori irrinunciabili, da difendere anche con la vita, che poi si scoprono essere entità astratte, quali Dio, Patria, Famiglia e tutto quanto istituzionalizza una Tradizione che la maggior parte delle persone si trova imposta… e tanto più astratta, tanto più imposta, quanto più sacralizzata, fatta assurgere a valore assoluto, a intoccabile tabù… e tale per cui chi rappresenta questa Tradizione – cioè poi la sua sola visibilità possibile (si sono mai visti ‘valori’ al di là di chi se ne arroga la rappresentanza?) – viene a sua volta sacralizzato… e il sacro, si sa, esige sacrifici, esige che gli si sacrifichi qualcosa o qualcuno, magari con una purificatrice guerra santa;
- quelli che parlano di lottare per un mondo migliore, ritenendo anche qui non solo legittimo, ma doveroso, sacrificare chiunque ostacoli questa prospettiva, valida ovviamente solo come ‘prospettiva’, cioè come luogo che ancora non c’è, che sfuma in una lontananza in cui nessuno dei fautori del mondo migliore è mai stato per poter dire che sarà veramente un mondo migliore. Qualche volta, dopo che la lotta ha reso possibile ‘realizzarlo’, sarà stato per certi aspetti anche migliore, ma – a parte i costi umani che si sono dovuti pagare… o proprio per questo – mai in modo sufficiente per eliminare l’esigenza di un mondo ‘ancora migliore’, perché quando il modello è ‘il paradiso’, sulla terra se ne avrà sempre solo una pallida ombra;
- quelli che parlano di una natura umana che… o perché ci fu un peccato originale, o perché la natura è stata così matrigna proprio con l’uomo… rende inevitabili queste manifestazioni di homo homini lupus, che non cesseranno mai, almeno nel tempo storico, cioè il tempo dell’uomo reale, non virtuale. E si può solo sperare o in un’altra dimensione in cui l’uomo, abbandonata questa valle di lacrime, cioè dopo la sua morte, potrà vivere finalmente mondato della sua colpa (il solito ‘paradiso’), o in una mutazione genetica del tutto casuale, del tutto imprevedibile operata da questa stessa natura, o in una manipolazione genetica tentata da una scienza male interpretata messa al servizio di qualche apprendista stregone. Nel frattempo l’uomo – si proclama – non può opporsi a questa presunta natura umana, cioè alla propria natura, per cui non espiare questa colpa o non esercitare questa naturale aggressività, magari con una bella guerra (i pretesti si trovano sempre), sarebbe… andare contro natura. E questo è forse il circolo vizioso più insensato, irragionevole, autolesionista, in definitiva stupido, in cui l’umanità si trova impantanata: per non andare contro natura, si va contro se stessi!
- quelli che parlano dei conflitti, delle guerre, delle lotte comunque motivate e condotte, come della condizione necessaria perché l’umanità progredisca davvero, perché solo se continuamente stimolato l’uomo dà il meglio di sé, sprigiona tutte le energie di cui dispone e se ne carica di nuove, aguzza l’ingegno e migliora indefinitamente il suo stare al mondo. E comunque la lotta – meglio se una vera guerra – purifica l’ambiente, toglie di mezzo la zavorra… e insomma, come proclamavano i futuristi, “la guerra sola igiene del mondo”! Ora, è difficile immaginare una lotta, anche apparentemente ‘pacifica’ (la concorrenza come valore assoluto), che non comporti vincitori e vinti (perdenti e vincenti, come si ama dire), dove la condizione di vinti aguzzerà sì l’ingegno, ma solo per trasformare i vinti a loro volta in vincitori, e quindi puntando solo a creare nuovi vinti, infischiandone bellamente del progresso dell’umanità… delegato per la verità quest’ultimo, in epoca moderna, all’intervento di una Astuzia della Ragione e di una Mano Invisibile che non possono che operare al di sopra di tutto e di tutti, nel solito luogo che l’uomo reale, l’uomo storico, cioè ogni individuo nell’arco della sua esistenza, non abiterà mai né mai conoscerà.;
* Insegnante – occasionalmente di storia e filosofia nei licei – ora in pensione
http://www.uaar.it/news/2012/03/17/mondo-senza-paradisi-puo-diventare-mondo-con-meno-inferni/
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