Ben più coraggioso dei giovani Crialese e Patierno, alla Mostra con due opere su extracomunitari e sbarchi, il Maestro ha preso di petto la questione con un film che racconta di un parroco che apre le porte di una chiesa a un gruppo di immigrati clandestini.
«La Chiesa dovrebbe essere come una casa, un posto che faccia entrare tutti senza fare domande – ha detto rispondendo a uno spettatore irritato – e finché non sarà così, [..
non ci apriremo mai all’altro. Vorrei che i cattolici si ricordassero, ogni tanto, di essere anche cristiani». Anche se lui stesso si definisce cattolico, per Olmi «Gesù è un simbolo di cartapesta lontano nel tempo. Il mio parroco nel film dubita della fede, non dell’umanità. Quando nei momenti di crisi chiama Dio, Dio non risponde mai. Sapete perché? Perché dobbiamo farlo noi. Troppo comodo invocare l’aiuto divino». Nessun pericolo, almeno per il Maestro, di cadere nella trappola del politicamente corretto: «I clandestini del film non sono santi, tra loro c’è anche un kamikaze. Questo perché siamo tutti esseri umani, imperfetti e confusi: l’unica speranza che abbiamo per migliorarci è dialogare e incontrarci». (di Ilaria Ravarino)