Il filosofo sovietico Lev Mitrochin (di lui esiste un ampio saggio su diverse questioni ateistiche nel libro di E. Segatti, L' ateismo. Un problema nel marxismo, ed. Piemme) ha scritto sul n. 7/1989 di "Kommunist", a proposito del dibattito in Urss sulla libertà di coscienza (poi conclusosi con la nuova legge del 9.X.1990), la seguente frase: "ora che s' aggravano i problemi globali, la cooperazione dei marxisti coi credenti è diventata una necessità oggettiva del processo socio-storico". Per quanto progressista si sforzi d'essere, questo modo di vedere le cose resta ancora legato alla cosiddetta "vecchia mentalità", quella dalla quale non solo i "sovietici", non solo i "comunisti" -come amano dire i media delle democrazie occidentali-, ma anche tutti coloro che non sanno approfondire "il lato umano delle cose", [..
.] devono al più presto liberarsi, se non vogliono rischiare di perdere il passo degli straordinari avvenimenti di cui oggi tutti noi siamo testimoni.
Il dialogo coi credenti, infatti, è diventato una necessità non tanto perché lo esigono i "problemi globali" (pace, disarmo, diritti umani, tutela ambientale, ecc.), né semplicemente perché si è scoperto che i credenti fanno parte della società a pari titolo degli altri cittadini (per cui nessuna chiesa può essere separata dalla società civile), e neppure perché in molti paesi gli atei sono diventati maggioritari (e quindi non hanno più paura che i credenti possano servirsi delle idee religiose per rivendicare un potere clericale).
In realtà il dialogo è diventato necessario perché lo esige la stessa valorizzazione dell' umano in quanto umano, cioè la valorizzazione di ciò che prescinde immediatamente dall'ideologia che gli uomini professano e persino dalla posizione politica ch'essi assumono.
Il dialogo coi credenti, infatti, è diventato una necessità non tanto perché lo esigono i "problemi globali" (pace, disarmo, diritti umani, tutela ambientale, ecc.), né semplicemente perché si è scoperto che i credenti fanno parte della società a pari titolo degli altri cittadini (per cui nessuna chiesa può essere separata dalla società civile), e neppure perché in molti paesi gli atei sono diventati maggioritari (e quindi non hanno più paura che i credenti possano servirsi delle idee religiose per rivendicare un potere clericale).
In realtà il dialogo è diventato necessario perché lo esige la stessa valorizzazione dell' umano in quanto umano, cioè la valorizzazione di ciò che prescinde immediatamente dall'ideologia che gli uomini professano e persino dalla posizione politica ch'essi assumono.
Se un approccio di classe o ideologico del fenomeno religioso c'impedisce di scorgere che in tale fenomeno possono essere presenti dei valori umani universali, significa che il rapporto col credente è destinato a restare diviso in due: una parte (quella del rapporto politico con lui) si sviluppa, almeno finché le contraddizioni socio-economiche la favoriscono; l'altra invece (quella del rapporto umano con lui) si atrofizza, recando col tempo seri pregiudizi al prosieguo dell'altra. Visto in una prospettiva politico-ideale, il dialogo coi credenti sarà destinato a continuare anche il giorno in cui "tutti" i problemi globali saranno risolti: proprio perché esso non può accettare d'essere subordinato ad alcuna preventiva condizione, né relazionato ad alcun particolare problema.
Fino ad oggi, la maggioranza dei marxisti, inclusi per certi versi i classici, si sono limitati ad assumere nei confronti delle opinioni religiose due atteggiamenti più o meno equivalenti: uno di indifferenza sul piano politico, l'altro di superiorità sul piano ideologico.
L'indifferenza si basava sul presupposto che una qualunque affermazione politica dell'ideale religioso porta all'integralismo o al clericalismo; per cui si riteneva opportuno subordinare la questione religiosa a quella politica, anche perché le differenziazioni socio-politiche delle forze antagonistiche non coincidono necessariamente con l'opposizione ideologica tra religione e ateismo.
In tal senso, il credente (intenzionato a superare il capitalismo) doveva avere la possibilità di militare in un partito comunista senza per questo dover subire delle discriminazioni per motivi inerenti alla sua religiosità. Questa indifferenza, che è stata adottata da tutti i partiti social-comunisti del mondo, ha sempre rischiato di apparire, agli occhi dei credenti, come una sorta di "espediente tattico", utile al partito per ottenere vasti consensi, ma destinato ad essere sostituito da una più complessa strategia di superamento della religione, naturalmente a rivoluzione avvenuta.
Di qui le forti perplessità che i credenti hanno spesso nutrito nei confronti dei partiti di sinistra, anche se, nonostante questo, la suddetta indifferenza ha sempre ottenuto discreti successi nei momenti di acuta crisi capitalistica, quando anche per i credenti la militanza "a sinistra" diventava un fatto più o meno inevitabile.
L'atteggiamento di superiorità invece si basava sul presupposto che l'opinione religiosa fosse di per sé inferiore a quella laica o ateo-scientifica, non avendo essa prove concrete su cui basarsi. Spesso, in questa critica, si metteva grossolanamente a confronto una scienza moderna con una religione antica.
Al fine di dimostrare tale superiorità, i comunisti est-europei, molto più di quelli euroccidentali, si sono notevolmente impegnati. Da noi, come noto, l'indifferenza sul piano politico ha coinvolto anche gli ambiti più propriamente ideologici (la religione è un "affare privato" -diceva la socialdemocrazia tedesca- di fronte sia allo Stato che al partito); sicché il dialogo coi credenti, in quanto credenti, è rimasto paralizzato sul nascere. Il dialogo, semmai, era col cittadino-credente, cioè col credente che sul piano politico si comportava come laico.
Nei paesi est-europei, se vogliamo, il dialogo coi credenti avrebbe anche potuto essere più proficuo del nostro, soprattutto sul piano dei contenuti (non a caso l'Europa occidentale ha conosciuto pochissime pubblicazioni di ateismo-scientifico). Sennonché l'atteggiamento dei comunisti "oltre cortina" è quasi sempre stato molto categorico e unilaterale (le eccezioni sono davvero poche: si pensi p.es. a N.M. Nikolskj, di cui l'editore Teti ha pubblicato La chiesa russa).
La verità dell'ateismo non veniva né proposta né dimostrata ma semplicemente imposta, servendosi di strumenti politici o amministrativi. Non si riteneva possibile che la religione avesse delle motivazioni valide da opporre alle tesi scientifiche. E' stata, in questo senso, singolare l'incapacità del marxismo sovietico di valorizzare positivamente i contenuti più progressisti delle religioni mondiali. I lavori intrapresi da Engels sul cristianesimo primitivo meritavano ben altra prosecuzione, anche se, a onor del vero, in questi ultimi anni si stanno facendo, ad es., notevoli progressi in direzione della rivalutazione della cultura bizantina.
Resta tuttavia non meno singolare il fatto che gli studi ateistici (già patrimonio del marxismo classico), si siano più sviluppati laddove l'atteggiamento comunista verso la religione era molto più duro di quello che si poteva verificare nell'Europa occidentale. Un approfondito dialogo sui contenuti della "fede", da noi praticamente non c'è mai stato, poiché si è appunto voluto imporre l'indifferenza anche sul piano ideologico (ciò che peraltro ha fatto comodo anche alla chiesa cattolica).
Gli studi ateistici sono stati portati avanti, in maniera alquanto rozza e superficiale, o dai positivisti o dagli anticlericali (anarchici, ecc.), oppure, in modo più sofisticato, da certa teologia protestante, che però non è mai riuscita ad essere conseguente, per quanto avanzate fossero alcune sue tesi. Non dimentichiamo che l'ateismo sovietico si è abbondantemente servito anche delle ricerche di questa teologia.
Cos'è dunque mancato nel rapporto dei marxisti coi credenti? E' mancato il confronto sugli ideali, è mancata la libertà di misurarsi sugli ideali e sulla loro realizzazione da un punto di vista umano oltre che politico. Quando i marxisti si sono voluti confrontare coi credenti sul piano etico-umanistico (si pensi p.es. a Bloch, Garaudy, Kolakowski...) l'hanno fatto prevalentemente su posizioni revisioniste in politica e, per questa ragione, non sono stati compresi dal marxismo ufficiale, istituzionale. Il loro revisionismo politico era probabilmente una diretta conseguenza del radicalismo impaziente, del loro atteggiamento individualistico, in aperta opposizione alle realizzazioni sociali del marxismo o alle sue organizzazioni politiche.
Oggi dobbiamo trovare un metodo nuovo di discutere coi credenti, un metodo che nel mentre aiuta a riscoprire nella religione il lato umano, la valenza democratica e pluralistica, non costringe nel contempo a rinunciare agli obiettivi rivoluzionari, quelli che da sempre distinguono i socialisti e i comunisti intenzionati a superare il sistema capitalistico (cui ora va aggiunto il socialismo amministrato).
Engels scriveva nell'ottobre 1847 che "una discussione amichevole sulle questioni teoriche della religione è non solo possibile ma anche desiderabile". Se questo era vero nel 1847, quando in Europa lo scontro tra borghesia e proletariato o tra forze progressiste e reazionarie era molto forte, non può non esserlo in una società che già si è incamminata verso il superamento delle classi o in una società che ha bisogno del concorso di tutti per superarle.
Ciò che dobbiamo assolutamente evitare -e questa è davvero una lezione storica valida per tutti- è il pregiudizio di credere che la religione sia di per sé un fenomeno negativo, oscurantista (ai credenti il compito di sbarazzarsi del medesimo pregiudizio nei confronti dell'ateismo). Mitrochin deve superare, come d'altra parte molti marxisti, la pretesa d'affermare, a priori, che la religione sia la conseguenza d'una coscienza limitata.
La "limitatezza" d'una coscienza può essere rilevata solo a posteriori, sulla base dell'esperienza concreta; e, in tal senso, la critica può tranquillamente rivolgersi sia all'esperienza religiosa che a quella ateistica (o agnostica). Bisogna smettere di far avvertire ai credenti la sensazione di precarietà e d'incertezza esistenziale a motivo della loro fede religiosa.
Il principio del diritto costituzionale sovietico, secondo cui non vanno offesi i sentimenti dei credenti, non può limitarsi esclusivamente a una questione di "buona educazione" o di "sano civismo". Si possono offendere i sentimenti anche con un atteggiamento scientifico, disprezzando la religione (cosa che non va fatta neppure di fronte a un palese integralismo), confondendo le "idee" con le "persone", o criticando il fenomeno religioso solo perché così vuole il cosiddetto "marxismo ortodosso".
La perestrojka ci sta insegnando che gli atei possono convivere non solo pacificamente ma anche creativamente coi credenti, aiutandosi reciprocamente alla comprensione, a valorizzare ciò che di vero e di giusto vi è in tutte le posizioni oneste dell'uomo. Questo non è in contraddizione con l'istanza di liberazione che muove coloro che aspirano a una vera democrazia sociale. In fondo lo stesso Engels ha affermato che "il cristianesimo, come tutti i grandi movimenti rivoluzionari, fu creato dalle masse".
Lo stesso Mitrochin è costretto a riconoscere che il cristianesimo condannò categoricamente la crudeltà, la violenza, la cupidigia e propose una nuova scala dei valori, cercando di dare dignità a chi "soffriva". Fu il cristianesimo -continua Mitrochin- che, per la prima volta in Europa, parlò d'uguaglianza di tutti gli uomini e di libertà personale di coscienza.
Tuttavia, anche qui bisogna stare attenti. Spesso il marxismo (a partire da Engels) ha sostenuto che il cristianesimo, esprimendo questi concetti in maniera mistico-spirituale, non poteva fare diversamente, in quanto l'epoca in cui viveva non permetteva alternative. Se questo fosse vero, il dialogo tra ateismo e cristianesimo non sarebbe paritetico, in quanto proprio la storia lo impedirebbe. In realtà, è ancora tutto da dimostrare che non vi fossero alternative.
Non è forse sintomatico che oggi molti storici del cristianesimo primitivo siano del parere ch'esso sia nato proprio come frutto di un tradimento nei confronti di un ideale più "terreno", rimasto politicamente irrealizzato? La tesi della voluta spoliticizzazione dei vangeli e di tutto il Nuovo Testamento è unanimemente accettata dalla migliore esegetica contemporanea.
Non solo, ma una qualunque religione non va interpretata facendo riferimento esclusivo alle sue origini. Il marxismo, nell'analisi del fenomeno religioso, ha spesso cercato di criticare le fondamenta storiche della religione, nella speranza di infierirle un colpo demolitore. Un tentativo, questo -come tutti possono ben notare- fallito completamente e che, tra l'altro, ha fatto perdere del tempo prezioso allo stesso marxismo, il quale non si è impegnato nel compito di comprendere l'evoluzione "teologica" (di contenuto) del fenomeno religioso. Non è sintomatico che la sinistra europea approvi le encicliche sociali di Wojtyla senza neppure leggerle o senza comunque farci sopra neppure una conferenza?
I marxisti (incluso Mitrochin) sono soliti affermare che la loro ideologia ha ereditato i migliori valori del cristianesimo. Ma, invece di mostrarsene riconoscenti, hanno sempre cercato di nascondere ogni loro rapporto col fenomeno religioso, per timore di dover renderne conto alle forze clericali.
Ebbene, è ora di affermare una maggiore libertà anche in questo campo, evitando di farsi venire complessi d'inferiorità ogniqualvolta si è costretti ad ammettere il proprio debito nei confronti di una certa cultura religiosa (peraltro, non esiste solo il cristianesimo nei cui confronti il pensiero laico-umanistico debba sentirsi debitore). Dobbiamo in sostanza cominciare a verificare nel dettaglio la celebre asserzione marxiana secondo cui "la religione è il sospiro della creatura oppressa".
Lenin, in questo senso, non ha fatto molti sforzi per valorizzare l'aspetto ideologico, di contenuto, della religione. Egli si è limitato (e ciò comunque non è stato poco) a tutelare i credenti che nell'ambito del partito combattevano per la rivoluzione; ha difeso i diritti del basso clero; ha proclamato solennemente con il Decreto del 1918 "Sulla separazione della chiesa dalla Stato e dalla scuola" la libertà di coscienza, ovvero la possibilità di professare idee religiose o ateistiche, ma non ha mai cercato di dialogare con la religione come tale (se non di riflesso, relativamente alla polemica anti-populista e anti-tolstoiana).
Per lui le opinioni religiose erano tutte reazionarie, di terz'ordine o delle chimere. "E' passato da un pezzo -scriveva a Gorki- il tempo in cui la lotta della democrazia e del proletariato assumeva la forma di lotta di una idea religiosa contro un'altra". Questo è senza dubbio vero (per quanto la religione, rinnovandosi continuamente, continui a permeare di sé gran parte della società, e per quanto il materialismo storico-dialettico, sul piano pratico, non abbia affatto dimostrato la propria superiorità), ma se da un'affermazione del genere si deve ricavare l'idea che uno studio culturale del fenomeno religioso (specie del cristianesimo) non serva a nulla per le motivazioni umanistiche e politiche delle moderne rivoluzioni, allora si finisce col cadere in una evidente assurdità.
Mitrochin è categorico nel sostenere l'irriconciliabilità delle dottrine religiose e marxiste. In realtà, l'ideologia marxista non è un fossile, ma una guida per l'azione, una dialettica in movimento, per cui nessuno può sapere in anticipo se marxismo e religione in futuro non riusciranno a trovare dei punti di convergenza. Certo è che se si considera il marxismo come un dogma, facilmente si finisce, quando si dialoga coi credenti, per dare più peso a ciò che divide che non a ciò che può unire. Cioè si finisce col porre fine a qualunque dialogo.
Che significa questo? Che dobbiamo forse cercare delle convergenze come fecero Gorki e Lunaciarski? Sì, se in questi tentativi non si rinnega il postulato fondamentale dal quale si parte: l'esigenza di superare il capitalismo per creare una società a misura d'uomo. Se un marxista crede o non crede in dio non fa molta differenza: è in fondo una sua questione di coscienza. L'importante è che non si sostenga l'esigenza di credere in un dio per giustificare la rinuncia alla transizione.
Sarà facile, in tal senso, trovare delle convergenze con la Teologia della liberazione. Ma non dobbiamo dimenticare che le convergenze vanno cercate anche con quelle teologie che, pur non aspirando a mutamenti rivoluzionari, si sforzano ugualmente di cercare la verità delle cose, soprattutto la verità storica, per la quale ogni uomo si dovrebbe sentire interessato (ad es. una teologia come quella di H. Küng meritava certamente più attenzione da parte dei marxisti). In fondo il giovane Marx, senza mettersi in rapporto a quei grandi critici della religione che furono Strauss, Bauer e Feuerbach, avrebbe mai potuto porre le basi del moderno ateismo-scientifico?