Il 19 marzo la Chiesa cattolica celebra S. Giuseppe, ritenuto padre putativo di quel Gesù che molti considerano erroneamente fondatore del cristianesimo; in realtà il vero fondatore del cristianesimo fu Paolo di Tarso, che tra l’altro non incontrò mai Gesù, ma non è questo il tema dell’articolo che state leggendo. Giuseppe è il santo patrono di diverse città, tra cui anche la città di S. Croce Camerina in provincia di Ragusa, e come accade praticamente in tutte le città italiane la ricorrenza del patrono viene festeggiata in pompa magna e ad essa vengono associati riti tradizionali di vario genere.
Nel caso di S. Croce Camerina un certo numero di famiglie manifesta la sua devozione nei confronti del santo organizzando la cosiddetta “Cena di S. Giuseppe”; si tratta dell’allestimento di una tavola riccamente imbandita di piatti tipici, dolciumi, e del tradizionale “pane di S. Giuseppe”, presidiata da tre persone, un uomo un bambino ed una bambina, che rappresentano la sacra famiglia. Questa tavola viene poi aperta al pubblico, e infatti in genere viene installata nel “dammuso” (il piano terra della casa) affinché i passanti possano visitarla. E fin qui siamo nell’ambito della pietà popolare, pienamente legittima.
Quest’anno c’è una novità. Gli impiegati dell’amministrazione comunale santacrocese hanno dato vita ad un’iniziativa inedita, organizzando una cena di S. Giuseppe, con tanto di sacra famiglia simbolica, nei locali del palazzo di città. Per far fronte alle spese è stata organizzata una raccolta fondi tra gli stessi dipendenti e gli amministratori dell’ente pubblico. Ora, al di là del fatto che gli organizzatori si sono fatti carico dell’onere economico, fattore decisamente marginale visto che in genere i contributi pubblici per l’organizzazione delle feste patronali non vengono certo lesinati, che c’entra il comune con una manifestazione votiva? Perché un ente pubblico, rappresentante dell’intera comunità, che oltretutto nel caso di S. Croce è composta anche da un’ampissima fetta di immigrati maghrebini, permette che nei suoi locali trovi posto una manifestazione non già di mera fede religiosa, il che sarebbe comunque più che contestabile, ma addirittura di devozione nei confronti del santo patrono?!
Inoltre sembra che il comune non sia l’unico ente pubblico ad essersi attivato per l’organizzazione di una cena. L’articolo in merito sulla testata ragusana Telenova, ripubblicato tra l’altro per ben 3 giorni di fila (evento più unico che raro), dice che le cene organizzate quest’anno sono 17, e che due di queste stanno avendo luogo in due istituzioni scolastiche: il circolo didattico Falcone e Borsellino e l’istituto comprensivo Psaumide.
Un altro dubbio che passa per la mente riguarda la modalità con cui sono stati organizzati gli eventi. Visto che, per quanto ci risulta, il finanziamento della cena comunale è avvenuto in regime di autotassazione, come si è proceduto per la raccolta? C’é stato un invito pubblico a depositare il proprio contributo presso un responsabile, oppure è stato avviato un vero e proprio “offertorio”, mettendo magari in difficoltà coloro i quali, non condividendo l’iniziativa, hanno (o avrebbero) preferito astenersi? E nel caso delle cene nelle scuole, chi ha finanziato le spese? E con quali modalità? Purtroppo temo di conoscere le risposte, o almeno di poterci andare vicino. Chi è in grado di concepire l’organizzazione di un evento simile non ha nessuna cognizione di laicità, non è nemmeno in grado di concepire un punto di vista diverso dal suo. È partendo proprio da queste premesse che vengono ideati cimiteri per embrioni abortiti, che vengono etichettati come “zapateristi” innocui telefilm, che gli ospedali si svuotano di medici non obiettori… in una situazione di “eclissi di laicità”, appunto.
Massimo Maiurana, referente Uaar di Ragusa
http://www.uaar.it/news/2012/03/19/eclissi-totale-laicita/
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