martedì 12 marzo 2013

Nati per credere. E per non credere più

mente e cervello
L’ul­ti­mo numero di Mente & cer­vel­lo dedica il dos­sier mo­no­gra­fi­co alle “radici evo­lu­ti­ve che pre­di­spon­go­no il nostro cer­vel­lo alla fede re­li­gio­sa”. Nel­l’e­di­to­ria­le di pre­sen­ta­zio­ne, il di­ret­to­re Marco Cat­ta­neo ri­cor­da che “il senso re­li­gio­so, ter­re­no della fi­lo­so­fia, non è stato ter­re­no di in­da­gi­ne scien­ti­fi­ca fino a re­la­ti­va­men­te poco tempo fa (ca­so­mai l’in­te­res­se è andato in senso con­tra­rio)”.
Ebbene, le cose stanno cam­bian­do. Da un lato la fi­lo­so­fia è sempre meno in­te­res­sa­ta alla me­ta­fi­si­ca e ha ormai perso ogni legame con la teo­lo­gia, no­no­stan­te la re­si­dua pre­sen­za di qual­che con­fu­so no­stal­gi­co à la Cac­cia­ri. Dal­l’al­tro, gli studi scien­ti­fi­ci sulla re­li­gio­ne au­men­ta­no. E si ri­ve­la­no in­te­res­san­ti.
 
"fuga ir­ra­zio­na­le a cui ri­vol­ger­si quando non sem­bra­no a por­ta­ta di mano so­lu­zio­ni ra­zio­na­li"
 
Il lungo ar­ti­co­lo di Sandra Upson fa il punto della si­tua­zio­ne. Alcuni degli studi citati sono stati già pre­sen­ta­ti sulle Ul­ti­mis­si­me Uaar, come la ri­cer­ca curata da Ed Diener, che ha mo­stra­to come la re­li­gio­ne rende più felici solo se c’è crisi eco­no­mi­ca e so­cia­le. Una sorta di via di fuga ir­ra­zio­na­le a cui ri­vol­ger­si quando non sem­bra­no a por­ta­ta di mano so­lu­zio­ni ra­zio­na­li: “chi vive in paesi in cui l’e­si­sten­za quo­ti­dia­na è dif­fi­ci­le è meno sod­di­sfat­to della vita. In questi paesi essere più re­li­gio­so sembra con­fe­ri­re un di più di fe­li­ci­tà ri­spet­to ai vicini meno re­li­gio­si. Se la vita è facile, però, cre­den­ti e non cre­den­ti pre­sen­ta­no li­vel­li di be­nes­se­re sog­get­ti­vo simili e re­la­ti­va­men­te alti”.
 
Pe­ral­tro, dove re­gi­stra­no alti li­vel­li di re­li­gio­si­tà si re­gi­stra­no anche alti li­vel­li di di­scri­mi­na­zio­ne nei con­fron­ti dei non cre­den­ti, e la cor­re­la­zio­ne è an­ch’es­sa fa­cil­men­te spie­ga­bi­le: alti li­vel­li di re­li­gio­si­tà spin­go­no ad af­fi­dar­si con mag­gior tra­spor­to ai leader re­li­gio­si. La cui mag­gior in­fluen­za sulla po­po­la­zio­ne sarà fa­cil­men­te uti­liz­za­bi­le nei con­fron­ti del potere po­li­ti­co, orien­tan­do la le­gi­sla­zio­ne in di­re­zio­ne an­ti-atea. Si può essere felici allo stesso modo quando le isti­tu­zio­ni ti so­sten­go­no e quando invece ti re­pri­mo­no?
 
Diener ri­cor­da al­tre­sì che “l’in­fluen­za della so­cie­tà è forte se tutti quanti in­tor­no sono cre­den­ti o no: verso la re­li­gio­si­tà spin­go­no forze legate alla so­cie­tà più che al­l’in­di­vi­duo”. Come nota Upson, “per i non cre­den­ti sono dati in­co­rag­gian­ti. Ciò vuol dire che gli atei non sono ta­glia­ti fuori da qual­che sor­gen­te di fe­li­ci­tà , anche se po­treb­be essere una buona idea tro­va­re una co­mu­ni­tà di per­so­ne affini”. Diener lo con­fer­ma: “la re­li­gio­ne può cer­ta­men­te aiu­ta­re la gente a essere felice, ma ci sono altre cose che pos­so­no fare lo stesso. Una so­cie­tà pa­ci­fi­ca e coo­pe­ra­ti­va, anche senza re­li­gio­ne, sembra avere lo stesso ef­fet­to”.
 
Ne ab­bia­mo già scrit­to com­men­tan­do la dif­fu­sio­ne dello studio di Putnam e Lim, pure citato dal Upson. È l’ap­par­te­nen­za a una co­mu­ni­tà ad ac­cre­sce­re il pro­prio ca­pi­ta­le so­cia­le e di con­se­guen­za la pro­pria per­ce­zio­ne della fe­li­ci­tà. E una co­mu­ni­tà non deve ne­ces­sa­ria­men­te essere una co­mu­ni­tà di fede. C’è una certa con­ver­gen­za, nel mondo ac­ca­de­mi­co, a con­ve­ni­re che “molti ele­men­ti della re­li­gio­ne si pos­so­no do­po­tut­to ot­te­ne­re al­tri­men­ti”. Tanto che libri come quello di Alain de Botton in­vi­ta­no aper­ta­men­te gli atei a far propri gli aspet­ti più “utili” della re­li­gio­ne.
 
Ciò non si­gni­fi­ca che bi­so­gna creare “chiese” atee, o che le as­so­cia­zio­ni atee deb­ba­no ne­ces­sa­ria­men­te al­lar­ga­re in­de­fi­ni­ta­men­te le pro­prie at­ti­vi­tà (ne ab­bia­mo par­la­to lo scorso 16 agosto). Ma, se­con­do noi, che le vie “atee” per tro­va­re sod­di­sfa­zio­ni sono assai più nu­me­ro­se di quelle con­sen­ti­te dalla fede.
 
"ca­rat­te­ri­sti­che na­tu­ra­li della mente che pre­ce­do­no la com­par­sa delle re­li­gio­ni"
 
Mente & Cer­vel­lo pub­bli­ca anche un ar­ti­co­lo di Pie­va­ni, Gi­rot­to e Val­lor­ti­ga­ra che con­den­sa e ag­gior­na quanto gli stessi autori hanno af­fer­ma­to in Nati per cre­de­re. Dio, scri­vo­no, “nel cer­vel­lo non sembra avere una rap­pre­sen­ta­zio­ne di­ver­sa da quella di un qual­sia­si altro agente”. Inol­tre, “le per­so­ne cre­den­ti, che con­si­de­ra­no Dio come un’en­ti­tà reale capace di con­trac­cam­bia­re le buone in­ten­zio­ni di un fedele, quando pre­ga­no re­clu­ta­no nel cer­vel­lo le aree pre­po­ste alle co­gni­zio­ne so­cia­le”. Le cre­den­ze re­li­gio­se e nel so­vran­na­tu­ra­le “pog­ge­reb­be­ro perciò su ca­rat­te­ri­sti­che na­tu­ra­li della mente che pre­ce­do­no la com­par­sa delle re­li­gio­ni”. Tut­ta­via, no­no­stan­te “ten­den­ze in­tui­ti­ve così forti”, vi sono per­so­ne che non ma­ni­fe­sta­no alcuna ten­den­za re­li­gio­sa. Il motivo è spie­ga­to da alcune ri­cer­che che mo­stra­no come “gli stessi mec­ca­ni­smi che so­sten­go­no le cre­den­ze re­li­gio­se pos­so­no, se al­te­ra­ti, fa­vo­ri­re quelle non re­li­gio­se”. In par­ti­co­la­re, è la pre­di­spo­si­zio­ne a forme di pen­sie­ro ana­li­ti­che a in­de­bo­li­re la cre­den­za nel so­vran­na­tu­ra­le.
 
Come ha mo­stra­to Phil Zuc­ker­man stu­dian­do le so­cie­tà scan­di­na­ve, “le isti­tu­zio­ni se­co­la­ri che ren­do­no la vita più sicura e che ri­du­co­no la mo­ti­va­zio­ne ad ade­ri­re a credi re­li­gio­si in­co­rag­gia­no allo stesso tempo l’i­stru­zio­ne scien­ti­fi­ca. Que­st’ul­ti­ma, a sua volta, ali­men­ta il pen­sie­ro ana­li­ti­co e la con­se­guen­za ten­den­za allo scet­ti­ci­smo re­li­gio­so”. In­som­ma, chiu­do­no Pie­va­ni, Gi­rot­to e Val­lor­ti­ga­ra, “anche se siamo nati per cre­de­re nel so­pran­na­tu­ra­le, ab­bia­mo stru­men­ti co­gni­ti­vi e forme di or­ga­niz­za­zio­ne so­cia­le per vedere il mondo con occhi meno in­tui­ti­vi”. Homo sa­piens, benché nato per cre­de­re, è anche nato per non cre­de­re più. Perché di Dio non ha alcun bi­so­gno.