lunedì 18 febbraio 2013

“L’omosessualità è contro natura”. Cosa dicono le scienze umane?


In quest’ultimo mese di campagna elettorale diversi politici hanno affermato che l’omosessualità è contro natura, una malattia da curare.



Da un punto di vista biologico sarebbe come dire che l’ornitorinco, in quanto mammifero che fa le uova, o le api, che lasciano il problema riproduttivo all’esclusiva competenza della regina, sono da curare. In biologia tutto ciò che esiste è di per sé naturale. L’obiezione secondo la quale se tutti fossero omosessuali si estinguerebbe la specie cozza contro il fatto che, spesso, le persone omosessuali hanno anche rapporti che portano alla procreazione e contro l’evidenza che nelle varie specie esiste una tendenza alla autoregolazione della fertilità. Nel caso dell’uomo assistiamo tra l’altro al problema opposto: l’esplosione demografica.

Da un punto di vista antropologico-evoluzionistico si afferma che il fine umano e naturale della sessualità è esclusivamente la riproduzione. Si dimentica che spesso una funzione dell’uomo ha diverse finalità. Nello specifico possiamo elencare altri due importanti scopi della sessualità presenti nell’omosessualità.
- la prima è il procurare piacere fisico. La ricerca del piacere è una potente ragione per vivere, per impegnarsi, sviluppare le proprie capacità intellettive e stare lontano dai pericoli che possono procurare lesioni fisiche o la morte. Senza la ricerca del piacere la distruttività potrebbe prevalere;
- la seconda è l’aspetto socializzante. Il bisogno sessuale rende l’essere vivente bisognoso dell’altro e, quindi, contrasta la tendenza ad isolarsi per facilitare la costituzione di comunità. I bambini sono molto più protetti e accuditi e hanno possibilità di sopravvivenza in una comunità in cui accanto alla madre e al padre vi sia un tessuto di relazioni sociali.

Da un punto di vista psicologico l’idea del “contro natura” deriva da una sorta di disgusto e avversione verso le manifestazioni di affettività omosessuale. Secondo la psicoanalisi il bambino nei primi anni di vita presenta una sessualità polimorfa che poi si modifica dopo la comparsa del complesso di Edipo. Senza soffermarsi troppo possiamo affermare che ogni essere umano presenta, nella normalità del suo sviluppo, una fase omosessuale da cui poi, nella maggior parte dei casi, si stacca per lasciare questa componente nella rimozione inconscia. Come spesso succede il distacco sarà più traumatico quanto più eravamo legati e coinvolti. Quindi, paradossalmente, si può affermare che l’avversione verso l’omosessualità è tanto più elevata quanto più sono presenti elementi inconsci di questo tipo. Colui che ha forti tendenze omosessuali represse sarà il più acerrimo fustigatore dei “froci”.

Da un punto di vista religioso l’omosessualità secondo varie religioni viene bollata come peccaminosa. Il concetto di peccato deve però essere associato a quello di accoglienza per cui, nelle stesse religioni, si afferma che tutti siamo peccatori e tutti possiamo essere accolti nella comunità.
L’American Psychiatic Association dal 1973 e l’Organizzazione Mondiale della Sanità dal 1990 hanno deciso di togliere l’omosessualità dall’elenco delle malattie. Alcuni studiosi ritengono che queste prese di posizione siano conseguenza di pressioni politiche influenzate dai movimenti civili e non frutto di valutazioni scientifiche per cui persistono nella definizione dell’omosessualità come una patologia.

Ma cosa è una malattia? La risposta non è semplice in quanto le definizioni fornite dai manuali “qualsiasi alterazione dello stato fisiologico dell’organismo” ci rimanda alla domanda di cosa sia fisiologico.
Alcuni tendono a definire come malattia qualsiasi situazione che acceleri la morte dell’organismo. Scopriamo però che seguendo questa concezione dovremmo definire come malato il comportamento di colui che non vuole fare attività fisica o di chi compie gesta molto pericolose.
Se affrontiamo la questione da un punto di vista statistico dovremmo definire come malattia ciò che si discosta in modo considerevole dalla media. Ma fino a che punto? Se, l’altezza media è 1,75 e il 99% delle persone si situa fra 1,55 e 1,95 a che punto definiamo il livello di bassezza o altezza patologico?
Il problema diviene di difficile soluzione se analizziamo quello che la gente “normale” pensa di sé. Per alcuni le rughe legate al passare degli anni sono normale espressione del proprio incedere nella vita per altri sono una patologia da contrastare con creme o lifting.
La definizione in quasi tutti i casi è soggettiva in quanto solo nella potestà della persona è insita la possibilità di decidere cosa per lui sia una malattia. Fanno eccezione quelle patologie in cui l’individuo non ha, a causa della malattia stessa, autoconsapevolezza del suo stato.

Di conseguenza solo la persona stessa potrà definire se la sua propensione sessuale sia un problema.

di | 17 febbraio 2013

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/02/17/lomosessualita-e-contro-natura-e-malattia/502775/