venerdì 29 novembre 2013

Il senso di una “festa della laicità”

laicite
Il 9 dicembre, in Francia, è una giornata speciale, quantomeno per i laici: si commemora infatti uno dei cardini della République, la legge del 1905 con cui venne approvata la storica legge di separazione tra Stato e Chiesa. La laïcité è uno dei cardini della comunità francese, una sorta di quarto valore dopo la libertà, l’eguaglianza e la fraternità di rivoluzionaria memoria. Tanto che tutti i partiti la fanno propria. L’inquilino dell’Eliseo, il socialista François Hollande, sta operando in maniera ancor più decisa a sostegno di uno stato laico, per esempio con un osservatorio ad hoc e la carta della laicità nelle scuole. ma anche l’Ump di Nicolas Sarkozy, e persino il Fn di Marine Le Pen, si dichiarano risolutamente laici, anche se spesso in funzione prettamente anti-islamica. Una realtà sovente incomprensibile per i vicini italiani: tanto che non mancano le sviste.

 
"dire che qualsiasi cosa possa diventare una “religione” è un cliché"

Lo spunto per parlarne arriva da un articolo dello scrittore Emanuele Trevi sul Corriere della Sera di ieri. Pezzo stimolante, perché è il punto di vista di un laico che mette in guardia da quelli che vede come eccessi, ma che è fermo nel contestare il clericalismo. L’autore esordisce lamentando la creazione di una “nuova divinità”, di “un’altra religione”, quella della laicità. Si lascia scappare, in un afflato di lirismo, che erano “mille volte meglio le vecchie, care monache di un nuovo ordine di sacerdotesse del materialismo, del disincanto, della geometria!”. Ormai dire che qualsiasi cosa possa diventare una “religione” è un cliché abusato; al di là delle forzature paradossali, se si guarda a ciò che accade ci si rende conto che fare paragoni con i giacobini (peraltro teisti) e compagnia laicante oggi come oggi lascia il tempo che trova.
 
A parte l’inizio, il resto è condivisibile. Trevi giustamente scrive che la laicità non è “un’opzione della democrazia”, come la scelta del sistema elettorale, ma “una condizione essenziale e irrinunciabile”. E non esita a ricordare come il nostro paese sia “terribilmente arretrato”, perché “concezioni metafisiche del tutto opinabili intervengono a ledere diritti fondamentali”. Il problema — e anche qui ci sentiamo di condividere — non sono tanto “i preti” che “fanno solo il loro mestiere”, ma l’arrendevolezza e la permeabilità della politica di fronte al clericalismo. Quindi invita, “qui in Italia, a trattenere per un po’ le pernacchie e tentare di capire perché in Francia si prendano tanto a cuore la vicenda”.

Il problema è che la vicenda da cui trae spunto l’articolo è la “festa della laicità”. Un box di spalla ricorda che, tale festa “è stata istituita nel 2011″. In realtà, il 31 maggio 2011, il Senato si è limitato ad adottare una risoluzione che chiede che la République istituisca una “giornata nazionale della laicità”, non festiva, durante la quale organizzare eventi e “fare il punto sulle azioni da intraprendere sulla materia”. Non risulta che la risoluzione sia mai stata tradotta in legge o fatta propria anche dall’Assemblea nazionale. Certo, qualcuno festeggia: ma come si festeggia (peraltro più diffusamente) anche la Fête des voisins, la festa dei vicini. E nessuno, almeno si spera, ha mai pensato di elevare a divinità i propri vicini.
 
Per chi è laico, è utile interrogarsi sui modi utili per affermare concretamente la separazione tra stato e religione. E il calendario non deve essere un tabù. Viviamo in un paese strano, dove non c’è nulla da ridire sul fatto che lo Stato riconosca una festa come quella dell’Immacolata, ovvero di un dogma cattolico proclamato da Pio IX nel 1854, secondo cui la Madonna sarebbe stata concepita senza peccato originale. Un espediente teologico, elaborato per uscire dall’imbarazzante prospettiva di una “madre di Dio” peccatrice come gli altri comuni mortali, diventa e resta festa nazionale. Tutto ciò non appare bislacco, mentre lo sarebbe una celebrazione legata a un principio cardine della democrazia — che per ironia della sorte cade proprio il giorno dopo?
 
"parte la reazione contro l’attentato alle “radici cristiane”"

Non ci si rende conto che la questione — che non c’è solo in Francia — è che i nostri calendari sono zeppi di feste cristiane riconosciute dallo Stato e che tutto questo rappresenta un privilegio a favore di una religione, oltre a creare problemi anche ai credenti non cattolici e non cristiani, non solo ad atei e agnostici. Una convenzione che ha motivi storici ed è stata imposta, e che è opinabile come qualsiasi convenzione. Le abitudini e le festività cambiano insieme alla società, che oggi si fa sempre più secolarizzata. Anche quando ci si rende di ciò, monta lo scandalo, specie da parte integralista, e parte la reazione contro l’attentato alle “radici cristiane”.
 
Per capire la questione, basti citare la querelle è in realtà nata da alcune dichiarazioni dell’antropologa Dounia Bouzar, esponente dell’Osservatorio sulla laicità francese. Intervistata a settembre da Challenges, aveva notato l’ovvio, cioè che il calendario ha troppo feste cristiane, aggiungendo però in maniera improvvida che due date cristiane andrebbero sostituite con lo Yom Kippur ebraico e la Festa del sacrificio islamica.
 
Ma la moltiplicazione delle feste, peraltro in senso multiculturalista, non è una soluzione. Piuttosto, se dovessimo proporre una strada, avrebbe più senso cambiare a monte l’impostazione e adottare un calendario laico, che celebri valori condivisi. Per affermare la laicità dello Stato non occorre una festa della laicità, servono piuttosto istituzioni e leggi laiche. Quelle che la Francia ha in abbondanza, e che in Italia latitano alquanto.