Oggi viene utilizzato per indicare quelle religioni che pretendono di imporre le loro norme morali a tutti i cittadini di una nazione, indipendentemente dalla loro adesione o meno a quella religione, utilizzando e forgiando le leggi secondo le loro direttive.
Oggigiorno si tende a utilizzare tale termine riferendosi all’Islam, che pretenderebbe di porre a base delle norme di legge la Shaaria e si prende come esempio eclatante l’Iran: mentre lo stesso concetto non si estenderebbe alla Chiesa Cattolica, la quale si nasconde dietro la celebre massima evangelica "Date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio", fingendo di ignorare che questa è una delle tante massime evangeliche da essa regolarmente disattese.
L’idea che la società debba essere guidata dal Vangelo e quindi dalla Chiesa, che se ne dice depositaria è stata una costante nella storia dell’umanità ed è tuttora sostenuta a spada tratta dalle autorità religiose cattoliche.
Nascita dei cristiano-cattolici
Nell’anno 347, pochi anni dopo la concessione della libertà di culto ai cristiani da parte di Costantino, il neoconvertito Firmico Materno esortava gli imperatori ad imporre a tutti i sudditi il culto del vero Dio abbattendo i templi pagani.
Ma, ancora prima, nel concilio di Nicea del 325, la Chiesa di Roma non solo formulò solennemente il proprio "Credo", ma indusse lo stesso imperatore Costantino a condannare l’arianesimo ed a comminare la pena di morte a chi fosse stato trovato in possesso di un libro di Ario e non lo avesse distrutto subito.
In tal modo, la Chiesa si proclamava l’unico cristianesimo legittimo, in opposizione agli altri definiti eretici, e rivendicava il diritto di imporlo con la forza.
Nel 380, l’imperatore Teodosio formalizzò tale stato di cose, proclamando religione di stato non il cristianesimo, come erroneamente si dice, ma solo quella dottrina professata dal pontefice Damaso.
I suoi seguaci, proclamava l’editto, si sarebbero chiamati cristiano-cattolici, mentre tutti gli altri, eretici, sarebbero stati puniti: "non solo con la vendetta divina ma anche dal potere che la Volontà Celeste ci ha accordato".
Né fu da meno l’imperatore Giustiniano, che introdusse leggi che punivano con la morte i colpevoli di omosessualità, ispirandosi, espressamente, alla condanna biblica di Sodoma; nel Medioevo, l’imperatore Enrico II, su richiesta di Benedetto VIII, impose la riduzione in schiavitù dei preti che violavano il celibato.
Il clero è più altolocato del re
Il dottore della Chiesa Giovanni Crisostomo proclamò, in una delle sue omelie, che il clero occupa una posizione più altolocata del re: "come l’anima sul corpo, come il cielo sulla terra".
Da allora, in perfetta continuità, Agostino invocò la forza dello Stato contro gli eretici e, a metà del sec. V, papa Leone I Magno, dottore della Chiesa e santo, affermò che "è dovere dell’imperatore sopprimere energicamente come nemici dello stato coloro che disturbano la pace della Chiesa" [4].
Il massimo teologo San Tommaso d’Aquino, nella sua Summa Teologica, ripeteva che "il potere civile è sottoposto a quello spirituale come il corpo all’anima".
Dall’anno Mille in poi, tutti i papi riaffermarono la teoria delle due spade .
Basta ricordare Gregorio VII che, in una lettera del 1076, indirizzata al vescovo di Metz così si esprimeva : "Dio quando diede a Pietro soprattutto il potere di sciogliere e legare in cielo e in terra non escluse nessuno.
Se la Santa Sede Apostolica decide e giudica delle cose spirituali perché non anche delle secolari?"
Concetto ribadito dal santo e dottore della Chiesa Bernardo di Chiaravalle : "I reami della terra e i regi diritti appartengono ai sovrani solo e unicamente secondo la misura in cui si conformano ai dettami e alle disposizioni di Dio".
Il delirio di onnipotenza è ben espresso da papa Innocenzo III, autore della crociata contro i catari, che così si esaltava: "Chi sono io che siedo in alto al di sopra dei re e detengo il trono della beatitudine?
Perché su di me il profeta dice : ti ho collocato sopra i popoli e i regni perché tu gridi e abbatta, distrugga e disperda, pianti ed edifichi.
Io sto come mediatore tra Dio e gli uomini, sotto Dio ma sopra l’uomo, più piccolo di Dio ma più grande dell’uomo" [5].
Da questa collocazione deriva che alla morale cattolica tutti devono uniformarsi con la conseguente equiparazione della violazione di una norma morale, il peccato, al reato.
Né è possibile dimenticare papa Bonifacio VIII che nella celebre bolla "Unam Sanctam" del 1302 così dichiarava: "Noi sappiamo dalle parole del Vangelo che nella Chiesa e nel suo potere ci sono due spade, una spirituale e una temporale e che ambedue sono in potere di essa: una deve essere impugnata per la Chiesa l’altra dalla Chiesa, la seconda dal clero, la prima dalla mano del re o cavalieri ma secondo il comando e la condiscendenza del clero perché è necessario che una spada dipenda dall’altra e che l’autorità temporale sia soggetta a quella spirituale!".
Nel Cinquecento, lo Stato Pontificio puniva con la morte l’aborto, la contraccezione, l’adulterio, l’omosessualità.
Sul piano politico-sociale furono condannate come eretiche tutte le dottrine che predicavano l’eguaglianza sociale e furono giudicate come "giuste e sante" le guerre contro infedeli ed eretici assicurando, come papa Pio V, la remissione dei peccati a chi andava ad uccidere in nome di Dio eretici e turchi come adesso Benedetto XVI dice che non si deve fare.
L’alleanza tra trono e altare
Anche quando la Chiesa si trovò a che fare con stati nazionali cha aspiravano ad un potere assoluto, sciolto da tutele, essa non rinunciò alla propria supremazia adattando il criterio dell’alleanza con il potere politico, ossia proponendo la Chiesa come sostegno politico dell’assolutismo in cambio del riconoscimento della religione cattolica come religione di stato.
Così si espresse papa Pio VI in piena Rivoluzione Francese , nel 1793: "La fede cristiana è il sostegno più solido dei regni poiché reprime l’abuso dei potenti e la licenza dei sudditi" e non mancò di definire l’uccisione di re Luigi XVI come martirio cristiano in odio alla fede cattolica [6].
Il sostegno della Chiesa ai principi in cambio della confessionalità dello stato fu ribadita da papa Pio IX e dal "progressista" Leone XIII.
Quest’ultimo, riandando ai bei tempi in cui " la filosofia del vangelo governava la società", ribadì che " Dio volle ripartito tra due poteri il governo del genere umano, cioè il potere ecclesiastico e quello civile, l’uno preposto alle cose divine l’altro alle umane e per questo è necessario che tra le due potestà esista una coordinazione la quale viene giustamente paragonata a quella che collega l’anima al corpo.
Ne segue l’obbligo per lo stato di onorare Dio adottando quelle forme e quei riti coi quali Dio stesso dimostrò di voler essere onorato e quale sia la vera religione senza difficoltà può vedere chi giudichi con metro sereno e imparziale" [7].
Da qui l’obbligo per tutti i cittadini di riconoscersi nella religione cattolica: "Da quanto detto consegue che non è assolutamente lecito invocare, difendere e concedere una ibrida libertà di pensiero, di stampa, di parola, d’insegnamento, di culto come fossero altrettanti diritti che la natura ha attribuito all’uomo" [8].
A ciò corrisponde l’imposizione della morale cattolica non solo sul piano sessuale e famigliare, ma anche in campo politico e sociale in modo del tutto funzionale agli interessi delle classi dominanti.
Ancora alla fine del secolo XIX questo papa "progressista" bollava gli schiavi ribelli: "se tra di loro taluno, allettato da qualche speranza di libertà, avesse ordito una violenta sedizione, sempre la Chiesa riprovò e represse quei peccaminosi desideri in quanto la proprietà privata, anche degli schiavi, è un diritto di natura che distingue l’uomo dal bruto e i diritti dei ricchi e dei principi vanno difesi anche se esercitati a capriccio e non è consentito a nessuno insorgere a proprio talento ma sperare di raggiungere il rimedio con la pazienza cristiana e con insistenti preghiere al Signore" [9].
NOTE
[4] Epistole 5, 13, 117, citato da Deschner, Storia Criminale del Cristianesimo, vol. III.
[5] Deschner, Storia Criminale del Cristianesimo, Vol. VII.
[6] "Quare lacrymae", 17 Giugno 1793.
[7] "Bolla Immortale Dei", 1 Novembre 1885.
[8] "Bolla Libertas", 20 Giugno 1888.
[9] Enciclica "Quod apostolicis muneris", 28 Dicembre 1878.
II
La teocrazia dei tre Pii
In pieno ventesimo secolo, le cose non vanno meglio con i suoi successori. Pio X anzi, non si accontenta di uno Stato confessionale ma vuole che esso assuma addirittura i fini della Chiesa: "E' un errore pericolosissimo pensare che bisogna separare lo Stato dalla Chiesa, perché così si limita l’azione dello Stato alla sola ricerca della prosperità pubblica in questa vita e non si occupa minimamente della beatitudine eterna, mentre non solo il potere civile non dovrebbe ostacolare questa conquista ma anzi dovrebbe aiutarci a compierla" [10].
E ancora papa Pio XI: "L’impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici o a coloro che, rigenerati nel fonte battesimale, appartengono a rigore di diritto alla Chiesa ma abbraccia anche quanti sono privi di fede cristiana. Se c’è un regime totalitario questo è il regime della Chiesa perché l’uomo appartiene totalmente alla Chiesa , deve appartenerle, dato che l’uomo è la creatura del buon Dio e il rappresentante delle idee, dei pensieri e dei diritti di Dio non è che la Chiesa!" [11].
La conclusione è sempre che a Dio e alla Chiesa, che lo rappresenta, deve obbedire anche chi non le crede poiché " in uno stato cattolico libertà di coscienza e di discussione devono intendersi e praticarsi secondo la dottrina e la legge cattolica" [12].
Seguirà a ruota Papa Pio XII che, nel 1956, parlando agli amministratori locali cattolici, così si espresse: "A Dio appartengono gli uomini e le cose, le strutture e le istituzioni, i continenti e le nazioni. Di Dio sono quindi le province e i comuni e anch’essi, come tali, devono dargli gloria, devono rendergli il dovuto onore".
La teocrazia camuffata
L’avvento al pontificato di Giovanni XXIII sembrò incrinare il sogno teocratico e segnare un momento di rottura e di discontinuità.
Esso fu in qualche modo il frutto della pressione della base cattolica stimolata dal mutato clima politico e sociale, che favorì il moltiplicarsi di fermenti innovatori.
Ma si trattò di un movimento effimero e in qualche modo negativo, perché alimentò l’illusione che la Chiesa potesse cambiare mentalità e atteggiamento.
La stessa enciclica "Pacem in terris" non si distacca dalla linea tradizionale, per quanto riguarda la ribadita supremazia della Chiesa sulla società civile.
Giovanni XXIII, come Pio X, ripropone il dovere dei pubblici poteri di attuare il bene comune "in modo non solo da non porre ostacoli, ma da servire altresì al raggiungimento del fine ultraterreno ed eterno" e raccomanda ai cattolici di operare in politica "in accordo con i principi del diritto naturale, con la dottrina sociale della Chiesa e con le direttive delle autorità ecclesiastiche, poiché compete alla Chiesa il diritto e il dovere non solo di tutelare i principi dell’ordine etico e religioso, ma anche di intervenire autoritariamente presso i suoi figli nella sfera dell’ordine temporale, quando si tratta di giudicare dell’applicazione di quei principi ai casi concreti".
E il "diritto naturale" cui si richiama è, in realtà, quello di cui parla Tommaso, ossia "ciò che è ritenuto diritto naturale e retta ragione dalla Chiesa in quanto si accorda con la sua dottrina".
Come sempre, è la Chiesa che deve guidare la società, rafforzata dalla convinzione di avere la ragione, oltre che Dio, dalla sua parte.
Se il Cattolicesimo pare meno sfrontatamente teocratico dell’integralismo islamico è solo perché, trovandosi ad operare in una società secolarizzata, (a differenza delle società islamiche) è, per un verso, costretto ad una maggiore prudenza formale e, per altro verso, deve e trova utile travestire da principi "naturali" e "razionali", che tutti devono condividere, valori che sono in realtà propri solo della Chiesa e non condivisi neppure da tutti i cattolici.
Questa gherminella, già usata da Leone XIII, è diventato un leit-motiv ripetuto ossessivamente, e senza le buone intenzioni giovannee, dai papi restauratori Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Nel 1988 il rilancio del fondamentalismo cattolico si ebbe con la ripubblicazione di un documento preconciliare, in cui i vescovi italiani sfrontatamente rivendicavano alla Chiesa "una superiore missione spirituale orientatrice, illuminatrice, vivificatrice nell’ordine temporale" [13] condannando come "laicismo" l’opinione di quanti rifiutano una vita pubblica guidata dalla "tradizione cattolica" e dal Vangelo.
Anche il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992, pubblicato da Wojtyla, invita i poteri politici a riferire i loro giudizi e le loro decisioni "alla verità su Dio e sugli uomini che è stata divinamente rivelata", ossia alla religione cattolica.
Tale opinione Wojtyla ribadì all’Angelus del 20 febbraio 1994 affermando che "con la risoluzione del Parlamento Europeo a favore delle unioni di fatto etero ed omo si è chiesto di legittimare un disordine morale. Il Parlamento ha conferito indebitamente un valore istituzionale a comportamenti devianti, non conformi al piano di Dio".
Con rara impudenza il papa rimprovera all’Europa laica e pluralista del XXI secolo di aver legiferato in maniera difforme da quello che la Chiesa ritiene il piano di Dio, cioè di non aver agito come l’Europa cristiana di Carlo Magno (che anche altre volte il papa porterà ad esempio).
La "sana" laicità di Benedetto XVI
L’escamotage consiste nel far credere che i comportamenti dichiarati "conformi al piano di Dio" non siano di per sé valori confessionali, ma esigenze etiche radicate nell’essere umano e appartenenti alla legge morale naturale.
Questo viene affermato nella Nota dottrinale circa i cattolici nella vita politica, del 2002, redatta dalla Congregazione per la dottrina della Fede, presieduta da Ratzinger ed approvata da Giovanni Paolo II, a conferma della continuità tra i due pontificati.
Questa impostazione, che cerca di sbarazzarsi delle accuse di "confessionalità", contrabbandando come "diritto naturale" le dottrine cattoliche, sarà riproposta continuamente da Benedetto XVI durante le campagne politiche contro unioni di fatto, aborto ed eutanasia, grazie alla servile complicità dei politici italiani.
"Una sana laicità dello Stato comporta senza dubbio che le realtà temporali si reggano secondo norme loro proprie - dirà nel discorso ai vescovi italiani del 2006 - alle quali appartengono però anche quelle istanze etiche che trovano il loro fondamento nell’essenza stessa dell’uomo e pertanto rinviano in ultima analisi al Creatore. E il rappresentante delle idee, dei pensieri e dei diritti di Dio, come ci ha spiegato Pio XI, non è che la Chiesa."
Il progetto di Ratzinger è anzi di trasformare in uno stato teocratico, cioè fondato sul cristianesimo, non solo l’Italia ma l’intera Europa: "Voi sapete di avere il compito di contribuire ad edificare, con l’aiuto di Dio, una nuova Europa ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo".
Il ruolo politico del fondamentalismo
Il cattolicesimo come tale, e non solo nelle sue piccole minoranze marginali, è un fondamentalismo che le tattiche raffinate per sopravvivere in un ambiente ostile, quello della modernità, hanno reso solo più insidioso di altri, più difficile da smascherare e più pericoloso per la democrazia.
Rimane ugualmente incompatibile perché, come ha scritto Rodotà: "impone ai legislatori cattolici di riferirsi non ai valori definiti nella Costituzione, ma a quelli di un diritto naturale di cui la Chiesa si fa unica interprete con una pretesa di monopolio, che svela un’attitudine autoritaria incompatibile con le regole di un sistema democratico" [14].
A chi protesta contro l’intromissione vaticana nell’attività del legislatore laico, si ribatte che la Chiesa ha il diritto di "dire la sua" e di esigere dai politici cattolici coerenza con la loro fede.
Ma il problema non nasce quando la Chiesa "dice la sua", bensì quando la sua consiste nel chiedere allo Stato (e nell’ordinare ai politici cattolici) di penalizzare e privare dei diritti i non cattolici, ad esempio di "non legalizzare" unioni diverse dal matrimonio monogamico o di vietare, in modi ipocriti e violenti, che il fine vita possa essere dignitosamente gestito dall’interessato secondo le norme riconosciute dalla Costituzione.
Né il tentativo e il ruolo politico del fondamentalismo cattolico è solo quello di imporre a tutti i cittadini una morale patriarcale, repressiva ed omofoba o di espropriarli del diritto a decidere della loro vita e della loro morte.
Esso assolve anche alla funzione di fornire un sistema di valori e un’ideologia di riferimento alla destra politica, aiutando il consolidarsi in Italia, sul piano politico e sociale, di un potere reazionario.
NOTE
[10] "Bolla Vehementer", 11 Febbraio 1906.
[11] "Discorso ai sindacati cristiani francesi", 1938.
[12] "Lettera al Segretario di Stato", 1929.
[13] "Il laicismo. Lettera dell’Episcopato italiano al Clero", 25 Marzo 1960.
[14] Rodotà, Il conflitto tra Stato e Chiesa e i diritti non negoziabili, La Repubblica, 21 Marzo 2007.
http://www.homolaicus.com/religioni/violenza.htm