“Non siamo scimmie assassine”. “Nuove teorie sull’origine della violenza”. “L’uomo è naturalmente buono”. Così ha scritto Pietro Greco su l’Unità del 30 maggio scorso. Nell’articolo vengono riferiti i risultati della ricerca biologica che hanno spinto illustri evoluzionisti, come Frans de Waal ed altri, a orientarsi verso un’origine sociale e cooperativa della specie umana. A ciò hanno contribuito lo sviluppo delle neuroscienze e in particolare gli studi di Rizzolati sui “neuroni specchio” che nell’uomo farebbero da substrato biologico a fenomeni come l’empatia, l’altruismo, ecc. Questo indirizzo era iniziato con Darwin che aveva cercato di leggere l’origine dell’uomo come estensione degli istinti sociali degli animali. Gli studi sul genoma di pochi anni fa avevano portato Rita Levi Montalcini all’affermazione risolutiva che «non c’è nel patrimonio genetico umano nulla che porti all’aggressività e all’assassinio». È importante registrare come ha fatto l’Unità che questo orientamento da pochi decenni sia prevalente, dopo che in passato avevano dettato legge i biologi “adattazionisti” che vedevano l’etica come una foglia di fico per coprire una inguardabile natura umana egoista e violenta. È importante perché se non ci sono evidenze di guerre di sterminio tra umani prima del neolitico, se per natura l’uomo non è assassino, allora viene confermata la teoria di Marx che gli uomini sono per natura esseri sociali. Le ricerche di Dawkins sul gene cooperante e non più egoista, la scoperta dei “neuroni specchio”, non sono nuove teorie sull’origine della violenza umana, ma dati scientifici che confermano la socialità dell’uomo, smentiscono il narcisismo neonatale e la pulsione aggressiva innata di Freud. Quando però Frans de Waal e gli altri parlano di “naturalmente buono o di cattiveria innata”, scivolano nel giudizio morale e nell’ideologia. E qui il discorso si sposta estendendosi alla cultura. Quella greca a partire da Platone adotta la massima socratica che fa coincidere il bene con la ragione e considera l’essere umano cattivo fin da bambino per l’elemento animalesco che lo anima e che solo con un certo tipo di educazione alla ragione, fatta da adulti maschi “amorevoli”, lo si rende adatto alla società.
La cultura cristiana riprende la favola sacra del peccato originale e della cattiveria di Caino che stavano portando il mondo nell’abisso e che ha reso necessario il sacrificio della croce, fatto di amore e di violenza, l’atto di amore del non umano che sacrifica l’umano. L’invenzione del male coincide con l’invenzione del monoteismo. Se c’è un Dio che è sommo bene, unde Malum? Agostino nelle Confessioni racconta come egli stesso abbia sperimentato le tre soluzioni date prima di lui al problema dell’origine e della natura del male. La soluzione gnostica di tipo dualistico (bene-male), la risposta filosofica del platonismo, come mancanza di bene (cioè di ragione) ed infine quella da lui adottata, cioè la concezione paolina che vede l’origine del male nel peccato originale. Questo, essendo trasmesso con la generazione, entrerebbe nel singolo uomo con lo spirito al momento del concepimento e dopo la nascita fisica l’individuo deve essere sottoposto al battesimo, necessario per dare quella identità umana, quella rinascita che solo può permettere la salvezza e la vita in comunità. Alla nascita di sangue, segue quella di “acqua e spirito”. Il battesimo non poteva essere dato a tutti ma solo “a chi era un essere umano a pieno titolo” (A. Prosperi). Non ai malati di mente, ai pagani, agli ebrei. C’era una quota di umanità che non giungeva a livello tale da poter ricevere il battesimo. È qui che germogliano i razzismi e le diseguaglianze? Oppure si nascondono nell’idea stessa di scissione dell’essere umano, fatto di corpo e di spirito, in cui lo spirito, questa “potenza” inconoscibile, viene attribuita a discrezione da uomini ad altri uomini. L’idea che il principio vitale è spirito porta all’idea che lo spirito non è soggetto ad evoluzione, è quello che è, cioè il più alto grado di essere. Se il pensiero è spirito, il pensiero non si può ammalare e se ci sono manifestazioni anomale, non possono essere legate che a malattie del corpo o alla presenza del Male. Diventa così velleitaria qualunque ricerca che si attivi per studiare le cause delle alterazioni della mente. Ogni proposito di cura e perfino di diagnosi sono visti come soprusi, una stigma e una limitazione delle libertà altrui. Ragione e male si incontrano in Kant che tentò di costruire un umanesimo capace di realizzare il bene dell’uomo della pace perpetua e della fraternità cosmopolita, ma alla fine si rese conto che per realizzare ciò il rigore della legge morale non era sufficiente. E ammise il male radicale, che è considerato anche da Goethe, un cedimento ai preti e al dogma del peccato originale. A Kant ripugnava l’idea di una “ragione maligna” e si inventa un dogma della ragione, piegandosi al pensiero cristiano. Con Hegel la guerra diventa non politica ma “natura”, come il vento e tempesta che impedisce all’acqua calma di diventare morta palude. In Psicologia delle masse (1921) Freud, un anno dopo aver parlato di istinto di morte, aveva caldeggiato un capo dal pugno di ferro per reprimere gli istinti pericolosi delle masse popolari mosse dal socialismo. Alla vigilia del nazismo, rispondendo ad Einstein, ribadisce la sua idea dell’Istinto di morte come radice ineliminabile della distruttività umana.
Ragione e religione non sono riusciti a fermare la violenza tra gli esseri umani. È qui che entra in scena il pensiero di Heidegger, un denken potente che cerca di andare oltre la religione e la ragione per fermare il nichilismo del peccato originale e del male radicale. Un pensiero che mette al centro il primato dell’agire rispetto al conoscere e considera la politica come “messa-in-opera della verità”. È da qui che bisogna partire per poter comprendere come nel tentativo di andare oltre il nichilismo del peccato originale e del male radicale si è precipitato nel “male assoluto”. È qui che si incontra Heidegger e il nazismo. Nel nazismo la politica e l’economia erano subordinati ad una concezione dell’uomo, autentico per razza e destino, che assume il suo essere proprio dal ritenersi diverso dagli altri umani, e vede la possibilità di accedere alla propria storia solo con un’azione di annientamento di altri umani pensati come subumani, portatori nella loro radice di un male radicale e originario, di una bestialità nichilista, l’“animale umano” di Himmler. Quando il nazismo salì al potere è salutato dal filosofo come un “manifestarsi dell’essere”. La decisione pura resta un’essenza del pensiero di Heidegger che scrive: «L’ente è diventato un problema» e si tratta ora solo di «essere all’opera». Il pensiero di Heidegger – la cui essenza nazista è sempre più complicato da nascondere perfino per un irriducibile come Vattimo - è ancora ben presente nella cultura, anche di sinistra, quella meno laica.
Oggi, è quanto mai necessario ribadire la scoperta ormai confermata dalla biologia e neonatologia che non ci sono istinti nella specie umana che portano a comportamenti predefiniti; che il pensiero proprio della specie è quello della nascita, quando la realtà biologica diventa realtà mentale. In quel pensiero, senza ricordo cosciente né ragione, sta l’identità dell’uomo, sta l’uguaglianza, la socialità, la sua fantasia, la sua origine, senza male radicale, senza violenza né pazzia. Senza tutto ciò che poi nello sviluppo dell’esistenza comparirà come malattia, per il rapporto con altri esseri umani che hanno perduto la nascita. Quegli stessi che oggi non possono più continuare a dominare con le favole di Satana, di Mr. Hyde e di Heidegger.