La maestria redazionale degli evangelisti non sta tanto nella capacità letteraria (che pur p.es. non manca in quello di Giovanni), quanto piuttosto nel far sembrare vera una cosa falsa e falsa una cosa vera, prendendo spunto dalla realtà. In questo gli scrittori di origine ebraica restano insuperabili.
In via del tutto preliminare, prima di accingersi a leggere qualsivoglia pericope, bisognerebbe anzitutto fare una distinzione tra i concetti di "falsificazione" e "mistificazione".
Sul piano letterario una falso può essere un documento che descrive una realtà mai accaduta: p.es. la Donazione di Costantino, che indusse a credere per ben settecento anni nella legittimità del potere temporale del papato. Generalmente anche tutti gli Apocrifi, esclusi dal canone del Nuovo Testamento, sono palesi falsificazioni, in quanto pure e semplici invenzioni leggendarie, alla stregua dei miti pagani. Più interessanti semmai sono le svariate controversie teologiche che si celano tra le loro pagine.
Essi non sono però falsificazioni di testi originali che dicevano la verità o che si avvicinavano alla realtà con maggiore verosimiglianza. Più che nel genere delle "falsificazioni", gli Apocrifi andrebbero classificati in quello delle "invenzioni".
Anche i vangeli canonici contengono molte invenzioni (p.es. le genealogie del Cristo, i racconti sui suoi natali, i racconti sulla resurrezione...), ma questo genere letterario, nel suo complesso, andrebbe messo nella categoria delle "mistificazioni".
Mistificazione vuol dire falsificazione di dati reali. Mentre la falsificazione di un testo viene fatta su un testo precedente (questo, p.es., nel quarto vangelo è molto evidente), oppure è invenzione di cose mai accadute, fatte passare per vere (p. es. i prodigi miracolosi del Cristo, ma anche tutta l'Odissea di Omero), la mistificazione è sin dall'inizio una lettura deformata della realtà, una lettura che parte da un'interpretazione distorta delle cose, viziata da un difetto di fondo, che resta preliminare a tutto.
La mistificazione è la più difficile da scoprire, proprio perché essa, avvalendosi di fatti realmente accaduti, trae facilmente in inganno. Di fronte a molti testi si è ermeneuticamente incerti, come quando negli interrogatori di polizia non si sa se credere di più a chi nega tutto o a chi dice le mezze verità. E noi non possiamo "torturare" nessun redattore, nessun testimone, non solo perché questo – anche nel caso in cui fosse possibile - sarebbe umanamente indegno, ma anche perché qui spesso si ha a che fare con intellettuali che si lascerebbero facilmente martirizzare, nella certezza d'apparire più convincenti.
Occorre dunque indurre i testimoni a parlare da soli, spontaneamente, mettendoli di fronte alla realtà dei fatti, facendo soprattutto capire loro che le decisioni che hanno preso noi le giudichiamo "umanamente comprensibili", ancorché non "pienamente legittimate". Un esegeta deve "capire", non "condannare". Un giudizio è "storico" quando non fa il singolo responsabile di processi in cui la libertà s'è giocata in maniera collettiva.
Spesso all'interno delle mistificazioni s'incontrano ulteriori falsificazioni, di gravità minore: sono le cosiddette "interpolazioni" arbitrarie dei copisti, volute (per motivi ideologici) o accidentali (in questo caso dovute a distrazioni, errate interpretazioni ecc.). Bisognerebbe esaminare i due vangeli fondamentali: Marco e Giovanni, classificando ogni versetto, ogni pericope, nelle tre categorie fondamentali: mistificazioni, falsificazioni, invenzioni.
Giusto per fare un esempio, prendiamo la chiusura autentica del vangelo di Marco (16,1-8), cui segue quella posticcia a partire dal v. 9:
-
le donne, andate al sepolcro per imbalsamare Gesù, lo trovano vuoto:
descrizione apparentemente REALISTICA, in quanto è verosimile che siano potute
andare al sepolcro il giorno dopo la sepoltura, ma è del tutto inverosimile che
vi siano andate senza l'aiuto di qualcuno che aprisse loro l'ingresso della
tomba, chiuso con una pietra molto pesante;
-
le donne videro un giovane dentro il sepolcro: descrizione palesemente
INVENTATA in quanto magica o mitologica: il giovane che parla è in realtà la
coscienza “religiosa” della chiesa post-pasquale, intenta a giustificare il
proprio tradimento politico del messaggio originario del Cristo;
-
il giovane dice loro che Gesù è risorto ed è andato in Galilea, per
incontrarsi di nuovo coi discepoli: descrizione MISTIFICATA, in quanto si fa
coincidere arbitrariamente tomba vuota con resurrezione e questa con parusia,
con l’aggiunta di una contrapposizione tra Galilea e Giudea;
- le donne, spaventate, non raccontano niente a nessuno: descrizione FALSA con intenti MISTIFICATORI, in quanto le donne andarono effettivamente a riferire agli apostoli quel che avevano visto, ma sostenendo la versione del trafugamento del corpo, mentre la tesi della resurrezione viene fatta risalire esplicitamente all’apostolo Pietro.
La mistificazione evangelica, che è un'interpretazione arbitraria di un fatto accaduto, venne elaborata basandosi sulla costatazione della tomba vuota, a fronte della quale la chiesa post-pasquale non si limitò ad affermare: "Non sappiamo dove sia il suo corpo", ma pretese addirittura di sostenere il contrario: "È risorto, non è qui". Cioè il concetto di "resurrezione" venne applicato a un fatto che non era più "reale" ma era già un'interpretazione.
La tomba vuota non è stata interpretata come "evento umano ancorché inspiegabile", bensì come "evento spiegabile in senso divino". Pur non avendo alcuna prova della resurrezione, la si è data per certa (“Se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede”, dirà Paolo). È noto infatti che tutti i racconti che parlano delle apparizioni del risorto sono delle finzioni letterarie di tipo simbolico-evocativo, che spesso celano controversie reali tra i discepoli, come p.es. quella tra Pietro e Giovanni o quella tra Tommaso e gli altri apostoli.
Nei Sinottici l'uso dell'interpretazione ("è risorto") risulta così prevalente rispetto alla descrizione della realtà ("non è qui"), che gli evangelisti non hanno neppure avvertito il bisogno di citare il fatto che Pietro e Giovanni, quando entrarono nel sepolcro, trovarono la sindone piegata e riposta da una parte, come invece risulta nel quarto vangelo, dove, dopo che Giovanni l'ebbe vista, viene scritto: "E vide e credette"(20,8).
La parola "credere" è stata qui interpretata con intento mistificatorio da uno dei redattori (manipolatori) del quarto vangelo, che ha voluto aggiungere subito dopo: "Non avevano ancora capito quello che dice la Bibbia, che Gesù doveva risorgere dai morti"(v. 9). Il fatto ch’egli abbia avvertito l’esigenza di fare questa precisazione, induce inevitabilmente a pensare che il “credere” del v. 8 non voleva esattamente dire la stessa cosa. Infatti per l’evangelista Giovanni la sindone attestava che il corpo non era stato trafugato da qualcuno, ma era stranamente scomparso, senza che nessuno avesse mai potuto ritrovarlo o rivederlo ancora vivo e vegeto, quindi la tesi petrina della “resurrezione” andava considerata come un’arbitraria o molto ipotetica interpretazione, certamente non come un dogma di fede.
Il falsificatore doveva conoscere bene questa dubitativa posizione giovannea, altrimenti non avrebbe aggiunto al fatto ch’egli "credette" alla misteriosa scomparsa del cadavere, l’idea che ancora non aveva accettato la tesi mistica della resurrezione.
Anche da questa semplice ricostruzione dei fatti si evince bene che se il quarto vangelo è stato il tentativo di far luce sulle mistificazioni dei Sinottici, lo stesso vangelo è stato a sua volta alterato in modo da rendere quasi irriconoscibile l'originale.
Concludendo, oggi possiamo tranquillamente dire che i vangeli partono sì dalla realtà dei fatti, ma per stravolgerla completamente nel suo significato, che da umano diventa sovrumano, da politico diventa religioso. Il motivo per cui, invece che dare un'interpretazione realistica dei fatti, si sia preferita la soluzione mistica, va ricercato nell'incapacità che i discepoli di Gesù hanno avuto, dopo la sua morte, di proseguire il suo messaggio di liberazione così come lui l'aveva elaborato.
Detto questo si può qui aggiungere che forse l'aspetto che ci rende ancora interessanti i vangeli non è tanto quello di voler scoprire le loro molteplici mistificazioni, quanto piuttosto quello di vedere se in essi possono ancora sussistere degli elementi paradigmatici utili all'uomo contemporaneo, ovviamente dopo averli depurati da tutte le incrostazioni di tipo teologico che li caratterizzano. P.es. l'analisi della procedura processuale con cui venne condannato il Cristo potrebbe forse aiutarci a capire il formalismo giuspolitico della democrazia nell'ambito delle civiltà antagonistiche.
Assolutamente drammatici, degni di stare a fianco delle grandi tragedie greche, sono quei brani ove il popolo decide di far morire in croce il proprio messia, nella convinzione (stimolata ovviamente dai ceti intellettuali) che quella fosse la soluzione migliore per i destini di liberazione nazionale del proprio paese. Sono innumerevoli i passi evangelici in cui l'ambiguità delle parole pesa come macigni sull'interpretazione che se ne può dare.
Lo stesso Caifa, quando convinse il Sinedrio a decretare la morte di Gesù, era più che certo di compiere il bene del proprio paese. Persino Giuda probabilmente non si sentiva affatto un traditore, ma un uomo avveduto, prudente, politicamente moderato. La descrizione abietta che ne fanno i Sinottici è semplicemente ridicola.
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