Nei paesi dove la religione islamica è dominante l'omosessualità è ancora un rischio mortale.
La primavera araba scatterà anche per il mondo omosessuale che in quei paesi vive terrorizzato dall’ostilità della società verso chi ama persone dello stesso sesso? L’Islam, la matice culturale più forte dei paesi arabi, è compatibile con la tolleranza verso gay e lesbiche? Il primo scrittore di fede islamica ad aver dichiarato la propria omosessualità esprime grande fiducia nei giovani delle piazze della primavera araba, mentre per chi vive in un territorio come la Palestina l’unica speranza per i gay in questo momento si chiama Israele.
IL PRIMO GAY – Abdellah Taïa è stato il primo artista e scrittore marocchino a dichiarare la propria inclinazione omosessuale. Un coming out storico, visto che nel suo paese nessuno prima di lui aveva osato sfidare i pregiudizi e l’ostilità del mondo arabo verso i gay. Chi ama le persone del suo stesso è costretto a rifugiarsi nell’ombra di una vita nascosta, tollerata solo finché non ermege dall’oscurità decisa dalla diffidenza islamica verso l’omosessualità. Abdellah Taïa è però felice, come racconta al sito online della comunità LGBT tedesca, della reazione provocata dal suo coming out. “Molte persone mi hanno difeso, ovviamente altri mi hanno attaccato, ma il fatto che tantissimi giovani e gran parte della stampa si siano schierati a favore della mia scelta mi ha rincuorato.” Molti tabù stanno cadendo nel Marocco odierno, ma l’omosessualità è ancora rimasta un’ossessione. “Il mio coming out ha fatto discutere molto, sia in senso positivo che negativo. Lo interpreto come un segnale positivo, il fatto che si sia aperto un dibattito pubblico sul tema. Certo le leggi, e la considerazione sociale verso gay e lesbiche non è ancora cambiata, purtroppo”. In Marocco però c’è chi nella comunità LGBT si è fatto coraggio e non ha avuto di sfidare la censura, non solo morale, della società e delle istituzioni arabe pubblicando il primo mensile per i gay e lesbiche del paese, Mithl, espressione della prima associazione LGBT marocchina, Kifkif. L’iniziatore di questa iniziativa si chiama Samir Bargachi, una personalità che entusiasma Abdellah Taïa. “E’ grazie a personalità come lui che il nostro paese sta facendo progressi”. Lo scrittore marocchino ha scelto però di continuare a vivere all’estero, anche se rimane molto legato alla sua terra. Al momento vive a Parigi, città dove risiede dal periodo in cui ha concluso i suoi studi. “Vengo da un luogo nel quale la parola destino ha un grande significato. Un posto dove si può parlare al cielo, e dove posso sentirmi musulmano, arabo e anche omosessuale”.
ISLAM E OMOSESSUALITA’– Per Abdellah Taïa non c’è infatti alcuna contraddizione tra la sua fede religiosa e la sua omosessualità. Per lo scrittore marocchino la religione è un modo per organizzare in modo libero il proprio rapporto con un’essenza superiroe. “Non voglio voltare alle spalle all’Islam come cultura. E’ una parte di me, di ciò che sono, delle mie credenze, dei miei ricordi su mia madre”. E aggiunge. “Tutto questo è un tema di controllo sociale, di repressione sociale. Io non mi faccio spaventare. E so che mi prendo questo diritto perché altri milioni di arabi si comportano esattamente come faccio io”. Accanto alla discriminazione omosessuale lo scrittore ha sempre posto il tema sul vero e proprio abuso fisico e morale che subiscono i gay nei paesi arabi. Tema affrontato in maniera autobiografica e molto diretta anche in alcuni dei suoi romanzi, così come in lungo articolo per il New York Times.A 12 anni Abdellah Taïa era preso in giro come zamel, omosessuale passivo, anche perché secondo il suo stesso racconto muoveva le sue mani e le sue braccia in modo vellutato, molto femminile. Anche per questo è stato abusato e violentato dai suoi compagni di scuola. Una violenza fisica piuttosto frequente per i tanti arabi che vivono la loro omosessualità in mezzo al branco. Ma l’ostilità verso i gay non è l’unica forma di disprezzo che Abdellah Taïa rileva e denuncia all’interno della sua società. “In Marocco così come negli altri paesi arabi c’è tanto razzismo, per questo affronto questo tema nei miei romanzi, per denunciarlo con forza così come scrivo sulle discriminazione subite da chi come me fa parte della comunità LGBT”.
LA PRIMAVERA GAY – Lo scrittore marocchino mostra però grande fiducia nel cambiamento del suo paese così come del resto del mondo arabo, una svolta che potrà essere realizzata grazie alla spinta delle giovani generazioni. Anche in Marocco, così come in Egitto e Tunisia, ci sono state modifiche costituzionali introdotte dopo i moti di piazza del 2011. Anche lì gli islamici moderati sono riusciti a conquistare la maggioranza relativa dei voti, ma la fiducia di Abdellah Taïa nella primavera araba non è stata incrinata. “ L’inverno non è arrivato, per nulla. Siamo appena all’inizio di un grande movimento, e mi ripeto, abbiamo visto solo la partenza di una rivoluzione inarrestabile. Anche se gli islamici moderati o quelli più radicali vincono le elezioni, il cuore di questa rivoluzione non si trova in quei risultati elettorali. Bisogna abbandonare questa ossessione islamica vissuta dall’Occidente. Invece bisogna proseguire a supportare i giovani arabi: loro hanno bisogno di noi. Io faccio quello che posso, ci metto la mia voce, le mie parole e il mio corpo”. Per Abdellah Taïa la primavera araba sarà una rigenerazione della società che permetterà anche ai gay e alle lesbiche di uscire finalmente allo scoperto, conciliando così la fede islamica con un orientamento sessuale che al momento non viene tollerato in molti paesi dell’area. Ma la speranza in futuro migliore di uno dei primi intellettuali dichiaratamente gay del mondo islamico cozza con la realtà di repressione e odio vissuta da chi appartiene alla comunità LGBT.
COMING OUT MORTALE – In Palestina, terra simbolo per eccellenza della regione, l’omosessualità è disapprovata in modo molto pesante. Chi dichiara il proprio orientamento gay o lesbo lo fa a volte rischiando la propria vita. Gli affetti si possono perdere in un istante, così che per gli omosessuali palestinesi rimane solo la speranza di fuggire nella vicina Israele, a Tel Aviv, la metropoli più gay friendly del Medio Oriente. Ma chi non riesce a scappare vive nella miseria,come racconta Jussuf a Der Spiegel. La sua prima volta con un uomo è accaduta molto presto, a 13 anni, quando si era appartato con un ragazzo più vecchio di dieci anni. “Lui veniva da una famiglia molto potente, e anche per questo sono stato buttato fuori dalla mia famiglia, perché l’avevo disonorata”. Jussuf fu picchiato selvaggiamente, subendo una commozione cerebrale e diverse rotture delle ossa. “A Hebron non potevo più vivere”. La fuga dalla sua città natale non aveva alternative, e Jussuf decise di trasferirsi nella parte israeliana di Gerusalemme, dove alcuni amici lo potevano nascondere. Ma dopo mesi di lavoro al mercato delle frutta i militari lo scoprirono come immigrato illegale. “Sono stato costretto a tornare a casa, dove ho dovuto affrontare l’ira dei miei familiari. I miei genitori, i miei fratelli e le mie sorelle mi rimproverano di avergli distrutto la vita perché ero andato a letto con un uomo”. In Palestina c’è chi crede che l’omosessualità si trasmetta geneticamente, e quindi avere un fratello gay significa “infettare” anche gli altri. “Mio padre mi diceva che nessuno avrebbe più voluto sposare le mie sorelle”. La soluzione per risanare l’onore ferito era la stessa morte di Jussuf. “Mi dicevano proprio così, e sono passati dalle parole ai fatti, rinchiudendomi in una stanza per farmi morire dissanguato dopo avermi picchiato”. Ma suo fratello più piccolo salvò Jussuf, aprendo la porta della stanza, così permettendogli la fuga. Le forze dell’ordine della Palestina non l’avrebbero mai potuto aiutare. “L’omosessualità viene vissuta come immorale, anti islamica. La polizia spera che le famiglie risolvano il problema da sole. A nessuno dà fastidio, se un gay muore”.
I NEMICI DI TUTTI- Tutti o quasi odiano i Luti, in Palestina. E’ così che vengono soprannominati gli omosessuali, con una chiara allusione al Lot della Bibbia. Jussuf evidenzia che chi mostra la sua vera inclinazione sessuale lo fa a rischio della vita, specie nei territori dove l’Autorità Nazionale esercita scarso controllo della popolazione. “Due miei amici gay sono stati sono fucilati su una collina vicino al loro paese. Un altro mio amico è stato impiccato nella piazza centrale. “Ecco perché sapevo che la mia unica possibilità di salvezza era Tel Aviv”. La città rappresenta per i palestinesi l’incarnazione dei peccati dello Stato d’Israele, ma per i gay come Jussuf Tel Aviv rappresenta il paradiso. “Qui c’è la massima libertà”. La vita di Jussuf era però molto difficile, perché da clandestino non poteva lavorare.” Mi sono prostituito alcuni anni, e all’inizio guadagnavo davvero molto, anche mille euro”. Con tanti soldi Jussuf si è dato alla vita selvaggia, diventando anche tossicodipendente. “Ho provato ogni droga, e alla fine la mia dipendenza mi ha costretto anche a rubare”. Sorpreso durante un furto, Jussuf è finito in prigione, e la cella è stata anche la tomba della sua prima, vera relazione, iniziata con un israeliano.
I LUTI DI ISRAELE - La storia tragica di Jussuf è piuttosto comune tra gli omosessuali palestinesi scappati in Israele. Schaul Ganon si occupa di loro da quindici anni per l’associazione più importante della comunità LGBT israeliana, e grazie al suo incarico ha conosciuto Jusuf. “I luti sono le persone più deboli che ci siano, ognuno prova a sfruttarli, e tra quelli che conosco quasi tutti hanno provato almeno una volta a togliersi la vita.”Jussuf ha tentato il suicidio già sette volte, ma è ancora vivo, e da un anno e un mese è pulito. Basta droghe, anche se la sua vita tra il carcere israeliano e la fuga dalla repressione palestinese probabilmente continuerà ancora. Essere gay aiuta ad evitare la mano dura della polizia israeliana, che quando vede la sua tessera di militante LGBT gli dice che può andarsene a casa, perché un arabo omosessuale è già stato punti abbastanza da Dio. Sepera di diventare cuoco, Jussuf, e così di ricostruire la propria vita. “Non diventerò mai israeliano, perché sono fiero di essere palestinese. Non tradirò la mia patria, anche se lei ha tradito me”.
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