Pensare in modo analitico tende a minare, almeno temporaneamente, le convizioni religiose. E’ questa la conclusione di una ricerca condotta da due psicologi dell'Università della British Columbia, Will M. Gervais e Ara Norenzayan, che la illustrano in un articolo pubblicato su “Science”.
“La fede religiosa e l'incredulità sono fenomeni complessi, determinati da più fattori e plasmati psicologicamente e culturalmente plasmati”, scrivono gli autori, osservando che, mentre sono state condotte diverse ricerche sperimentali sulle specifiche basi cognitive delle fede, esiste invece una significativa lacuna per quanto riguarda analoghi studi sull’ateismo.
I risultati ottenuti da Gervais e Norenzayan si basano su un classico modello della psicologia umana che individua due sistemi cognitivi, distinti ma correlati, per elaborare le informazioni: un sistema "intuitivo" che si basa su collegamenti mentali rapidi, scorciatoie utili per ottenere risposte rapide ed efficienti anche disponendo di poche informazioni sulla situazione, e un sistema più "analitico" che prevede la raccolta e la valutazione ponderata di informazioni e che conduce a una risposta motivata.
I due processi – che ogni persona tende a equilibrare in modo leggermente differente - lavorano spesso e volentieri insieme, ma in alcune circostanze, si può produrre uno squilibrio a favore dell'uno o dell'altro.
Nello studio in questione - che ha coinvolto 650 volontari canadesi e statunitensi - i ricercatori hanno cercato di valutare se la stimolazione dell’uso del pensiero analitico possa andare a discapito dell’altro, coinvolgendo le proprie credenze religiose. "Ricerche precedenti hanno messo in relazione le credenze religiose con il pensiero 'intuitivo'" spiega Ara Norenzayan. "I nostri risultati suggeriscono che l'attivazione nel cervello del sistema cognitivo 'analitico' possa minare, almeno temporaneamente, il sostegno 'intuitivo' alla fede." Varie ricerche hanno infatti suggerito che una serie convergente di processi cognitivi intuitivi agevolino e sostengano la fede nell’esistenza di agenti soprannaturali, un aspetto centrale di pressoché tutte le credenze religiose. Questi processi comprendono in primo luogo le intuizioni di tipo teleologico (ciò che avviene, avviene in vista di un fine), ma anche la percezione della mente altrui, l'immortalità psicologica e il dualismo mente-corpo.
Nello studio i ricercatori hanno sottoposto i loro soggetti a cinque esperimenti. Nel primo le persone sono state invitate a rispondere a una serie di domande volte a misurare in modo specifico il loro pensiero analitico. Quindi, hanno risposto a questionari volti a valutare il loro livello di credenza religiosa. I ricercatori hanno scoperto che le persone più inclini ad adottare un atteggiamento analitico tenevano in genere a mostrarsi meno religiose.
Successivamente, per escludere che si trattasse di un risultato casuale o di una correlazione non indicativa di un rapporto causa-effetto, hanno valutato il livello di fede dopo aver sottoposto le persone sia a compiti diproblem solving, sia a situazioni che potessero stimolare in loro la tendenza a ricorrere al pensiero analitico. E’ così risultato, fra l’altro, che la semplice osservazione dell’immagine di qualcuno che mostra di riflettere profondamente a qualcosa – come la scultura di Auguste RodinIl pensatore – induce anche chi guarda a mettere in moto le proprie risorse analitiche.
"Il nostro obiettivo era approfondire la questione fondamentale del perché la gente crede in un Dio in misura diversa" dice Gervais. "Una combinazione di fattori complessi influenza le questioni legate alla spiritualità personale, e queste nuove scoperte suggeriscono che il sistema cognitivo legato al pensiero analico sia un fattore che può influenzare l’incredulità."
Lo psicologo Joshua Greene, dell'università di Harvard, che lo scorso anno ha pubblicato un lavoro sullo stesso argomento, ha commentato positivamente la ricerca di Gervais e Norenzayan, apprezzandone in particolare la rigorosa metodologia. Intervistato da "Scientific American", Greene ha però aggiunto che i loro risultati pongono un interrogativo provocatorio ai credenti: "Ci sono milioni di persone perfettamente razionali che credono in Dio e questo studio non dimostra la non esistenza di Dio. Ma se Dio esiste, e se credere in Dio è perfettamente razionale, perché aumentando il pensiero razionale la fede in Dio tende a diminuire?"
Successivamente, per escludere che si trattasse di un risultato casuale o di una correlazione non indicativa di un rapporto causa-effetto, hanno valutato il livello di fede dopo aver sottoposto le persone sia a compiti diproblem solving, sia a situazioni che potessero stimolare in loro la tendenza a ricorrere al pensiero analitico. E’ così risultato, fra l’altro, che la semplice osservazione dell’immagine di qualcuno che mostra di riflettere profondamente a qualcosa – come la scultura di Auguste RodinIl pensatore – induce anche chi guarda a mettere in moto le proprie risorse analitiche.
"Il nostro obiettivo era approfondire la questione fondamentale del perché la gente crede in un Dio in misura diversa" dice Gervais. "Una combinazione di fattori complessi influenza le questioni legate alla spiritualità personale, e queste nuove scoperte suggeriscono che il sistema cognitivo legato al pensiero analico sia un fattore che può influenzare l’incredulità."
Lo psicologo Joshua Greene, dell'università di Harvard, che lo scorso anno ha pubblicato un lavoro sullo stesso argomento, ha commentato positivamente la ricerca di Gervais e Norenzayan, apprezzandone in particolare la rigorosa metodologia. Intervistato da "Scientific American", Greene ha però aggiunto che i loro risultati pongono un interrogativo provocatorio ai credenti: "Ci sono milioni di persone perfettamente razionali che credono in Dio e questo studio non dimostra la non esistenza di Dio. Ma se Dio esiste, e se credere in Dio è perfettamente razionale, perché aumentando il pensiero razionale la fede in Dio tende a diminuire?"